sabato 28 marzo 2009

India: paradiso e inferno sempre vicini, c'est la vie!

Vorremmo andare a Kannur, l'estremo nord del Kerala, ma Ravi storce in naso, troppo lontano, non ne vale la pena, non l'avevamo concordato prima, optiamo quindi per Thrissur, indicata dalla bibbia Lonely come la capitale culturale di questo stato, a 160 km da Munnar e le sue favolose piantagioni di the', un viaggio comunque di 4 ore , perche' le strade indiane non sono esattamente come le nostre. Lasciate le verdi montagne e i loro misteriosi silenzi, la brezza sopraffina, si torna in pianura, al casino, ai clacson, alla guida "si salvi chi può". Certamente una zona ricca, si intravedono fabbrichette, commerci, villoni brianzoli, brulicare di tutto, gente, macchine, tuc-tuc, pedoni che rischiano la vita in media 30 volte al giorno ( qui vince il prepotente che strombazza, il passante e' solo un numero fra mille).
Thrissur, mi perdonino le indianofile (con gattofile e cinofile invece non ho problemi) mi appare come tutte le citta' indiane viste finora, sporca, caotica rumorosa, impossibile da vivere, ma ci sono alcuni bei viali alberati non visti a Madurai e alcune case fascinose e decadenti, testimoni muti del loro passato coloniale. Nel cuore della citta' un'immensa piazza verde con tempio nel centro. E' il Kwakkunathan (termina col mio cognome) Kshetram Temple, uno dei piu' antichi dello stato, rigorosamente vietato ai non indu', nella classica architettura del Kerala, niente statue a profusione e niente colori supersgargianti tipo templi incas e atztechi visti nel Tamil Nadu (Madurai), ma costruzioni bianche di grande semplicita' e purezza e soffitti riccamente lignei.
Ci accontentiamo di sederci davanti all'ingresso ed osservare i fedeli che entrano ed escono. In fondo molti gesti rituali sono gli stessi delle nostre chiese: il cattolico all'entrata e all'uscita della chiesa si genuflette e fa il segno della croce con l'acqua benedetta, qui uguale, cambia solo la forma del segno e il suo destinatario, non l'altare e cio' che rappresenta, ma un' altissima e svettante colonna in bronzo di cui non ho ancora capito il significato (sara' la difficolta' di comunicazione, ma resta ancora un mistero, forse un pennone per una bandiera).
Al mattino seguente si va al museo locale: nel parco un fascinoso palazzo coloniale con polveroso museo che chiamano di archeologia ma che e' in realta' di scienze naturali, con allegato zoo -lager. Un'immensa pena davanti alle creature in gabbia (da noi per fortuna gli zoo li hanno quasi eliminati), ma mi innamoro perdutamente di un gufo che condivide l'amara sorte con altri compagni di sventura in una grandissima voliera. Lui gira il collo a 360 gradi, straordinario, segue con lo sguardo e giramento di collo tutti i miei movimenti, due giganteschi occhi gialli che ti guardano, un miracolo di bellezza. Anche di fronte a feti animali in formaldeide esposti in polverose bacheche siamo sempre rigorosamente a piedi nudi, lerci, ma fa niente, questione di rispetto, non so bene per chi e per che cosa.
Ultimo regalo di Thrissur, il Sakthan Thampuran Palace, di due secoli fa, una delle residenze della famiglia reale di Cochin.
Povera famiglia reale, ma dove sono finite le testimonianze dei fasti di un tempo? Rimangono solo alcuni ritratti (bruttissimi) quattro mobili, tre poltrone, dei giganteschi recipienti di terracotta, malandati ricordi di meraviglie che solo la fantasia puo' resuscitare.
Ciao Thrissur, non credo ti rivedro' mai piu', torno verso il sud e l'acqua, l'acqua che non delude mai.
La tappa successiva doveva essere Cochin, ma on the road si puo' cambiare, e questo e' il bello. Leggo che sul nostro percorso ci sono Parur, paesotto nella foresta tropicale con una stradina tutta piena di vecchie case di bramini (la casta piu' alta) e Chennamangalam dove c'e' la piu' antica testimonianza della presenza ebraica in India, con minuscola sinagoga restaurata e stele in ebraico del 1236. Ravi impazzisce per trovare questi posti in culo al mondo e cosi' lontani dai suoi soliti giri turistici, ma io sono gasatissima, finalmente un po' di avventura. Accanto alla sinagoga, a pochi passi nella foresta tropicale , ci sono anche una moschea, un tempio indu' ed una chiesa, piu' ecumenico di cosi' si muore.
Proseguendo sulla strada principale ci sorprende anche la chiesa dedicata a S. Antanio da Padova (benedeto elo!!!) in pieno fermento. Il sincretismo indiano colpisce un'altra volta: un orrendo gesso del Santo emerge da un profluvio di collane di fiori hawaiane. Quando il povero Antonio non ce la fa piu' , sommerso dai fiori, c'e' chi provvede a rimuoverle in blocco e a rivenderle prontamente a nuovi fedeli che arrancano in ginocchio verso il Santo.
Finiamo la giornata in gloria, ma veramente in gloria a Cherai Beach, un resort da "fine du munno" su Vypeen Island, a 25 km da Cochin, tra i canali d'acqua delle backwaters e l'oceano. Gastone deve farsi perdonare i giacigli precari delle ultime notti, non bada a spese, siamo veramente in paradiso.: ponticelli stile Kyoto, cottage tradizionale in legno in mezzo all'acqua, nella stanza un albero che perfora il tetto e sfida il cielo (Gastone l'aveva letto sulla guida e ne sognava ad occhi aperti), solo la voce dell'acqua, postazione su palafitta per meditare. Vero, tutto vero, vero anche purtroppo che Gastone non e' Richard Gere.
Pochi chilometri di distanza separano inferno e paradiso .
Pensierino della sera: Gastone mangia sempre a quattro palmenti perche' le piace maledettamente tutto, io, con 'sta storia del piccante, vivo a chapati, banane e riso lesso, praticamente la scimmia Cita.
Sempre con amore
Sara.

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