martedì 24 aprile 2007

Amritsar e il Tempio d'oro

Amritsar, città sacra per i Sikh, i discepoli di questa religione monoteista, sincretismo fra l'Islam e l'induismo. Luogo carico di misticismo, assolutamente magico e sublime. Palazzi bianchi formano una cittadella quadrata chiusa al cui centro,

circondato dall'acqua si erge il Tempio d'oro, il loro sancta sanctorum..
La gente deambula intorno al lago e poi si mette in fila per entrare nel cuore della sua fede, il tempio che solo espone il libro sacro L'Adi Granth, sforzo di creazione collettiva ispirato da Guru Nanak nel XVI secolo.
L'area del Tempio d'Oro è praticamente una specie di Vaticano: si discutono tutte le decisioni inerenti la religione, c'è la mensa ed il dormitorio per tutti i pellegrini, la scuola di formazione per i giovani credenti, qualche maestro qua e là che arringa tra la folla, uomini e donne con i loro vestiti tradizionali coloratissimi in silenzioso raccoglimento. I turbanti degli uomini hanno vari colori, quelli blu ho letto sono per i più religiosi.
Lo so che questi sikh passano per degli integralisti fanatici, i guardiani della fede, uno di loro ha assassinato a suo tempo Indira Gandhi, ma francamente sono proprio bellissimi
e qui dentro si respira un' atmosfera buona e poi chi è senza integralisti scagli la prima pietra.
Entusiasmante l'esperienza del treno. Deludenti le stazioni, quasi pulite, quasi ordinate, quasi occidentali, quasi senz'anima insomma, ma il treno no, il treno ed il ministro sul treno sono stati un'esperienza spassosissima. Con la mia amica Camille abbiamo due cuccette lungo il corridoio, distaccate dal resto del gruppo.
Di fronte 4 cuccette perpendicolari, due sotto due sopra, non c'è porta di chiusura, ma una tenda originariamente senz'altro bianca. 3 uomini sono seduti, ne arriverà un quarto accompagnato da due guardie del corpo con pistola sul posteriore e telefonini a gogò. Ogni 3 minuti porgono il telefonino che suona al personaggio che si rivolge a loro con tono altero e sprezzante; arriva il controllore, stupendo guaglione, lungo confabulare e gli altri 3 se ne devono andare. Ridiamo come matte,- ma chi è questo qui? un ministro? – dicogiusto per amore di battuta. Ebbene si, ci confermeranno, è proprio il ministro degli Interni del Rajasthan. Il ministro, vestito all'occidentale scompare e riappare 10 minuti dopo con pantaloni e tunica bianca, ciabattine ai piedi, tutto lindo, imborotalcato e profumato come un bebè che ha appena fatto il bagnetto. Si allunga sul letto e…..gli schiavi con pistola sul culo praticamente in faccia a me e Camille perché si curvano tutti per massaggiargli i piedi, uno per uno. Cosa?? Proprio così, Camille ed io tiriamo fuori le nostre stremità, chissà, ma non succede niente, non c'è nessuno che ci faccia una bella seduta di riflessologia. Vorrei attaccar bottone col ministro, sarebbe un colpaccio, ma ho riso troppo e ormai mi sono sputtanata. Pazienza, mi toccherà solo sentirlo russare vergognosamente tutta notte mentre gli schiavi la passeranno appoggiati in qualche modo in corridoio. Sul treno ti danno da mangiare e da bere l'ira di dio; la prima volta accetto, ma poi faccio un giro e vedo che non c'è la cucina, tutto lo smistamento alimentare avviene in corridoio, tra un cesso e l'altro, decine di persone che si spostano, chi sale e chi scende. Un immenso pentolone, un immenso mestolone, inginocchiato a gambe larghe per terra l'inserviente travasa i pasti nelle vaschette d'alluminio. Nei pasti successivi non ho detto niente ai miei compagni, perchè guastare loro l'appetito? ma ho mangiato zitta zitta la banana che mi ero portata dall'albergo.
Poi naturalmente abbiamo visitato alcuni templi indù , dei mausolei, la Nuova Dehli coloniale e Moghol, l' Ashram di Gandhi, insomma, rassicuratevi, ho fatto tutte le cose del turista perfetto. Ma veniamo all'India. Dov'era?
Sono veramente stata in India? Si, è vero, c'era il casino, lo sporco, le donne in sari coloratissimi, i bambini che ti guardano e ti sorridono, qualche mucca mica tanto magra che gironzolava, qualche scimmia che saltava di qua e di là, i marciapiedi sgarrupati, case negozi mercanzie gente tutti gli uni sugli altri, il barbiere sulla strada, quello che si lava i denti sopra una merda colossale, i rickchows, i tuk-tuk, il rumore assordante dei clacson, il caos agli incroci, la famigliola davanti la specie di casa con il vecchietto sdraiato ad aspettare di morire, ma gli ODORI? I SAPORI? Quell' ATMOSFERA particolare di cui hanno scritto Pasolini e tanti altri? La SPIRITUALITA'? l'ALTERNATIVA al nostro modello di sviluppo?
Il tempo dilatato? Francamente non ho visto né sentito nulla di tutto questo; in compenso gli uomini in jeens e tee-shirt- ragazzi che pedalavano sul rickchaw con il telefonino all'orecchio- strade palazzi centri commerciali e metro in costruzione- lottizzazioni in aperta campagna- immensi pannelli pubblicitari dovunque- villaggi lineari lungo le strade- bidonvilles ben nascoste dietro muri di mattoni- programmi immobiliari dappertutto- proposte informatiche di tutti i tipi- altro che fachiri al di fuori del tempo, circolano i primi obesi come da noi, programmi televisivi idioti fatti solo di pubblicità e telenovelas stile Bollywood-parchi ben puliti ed ordinati-palazzi restaurati- hotel che servono una cucina indiana "continentale- la certezza che le caste esistono ancora, eccome!, la nostra guida bramina per esempio non chiudeva con le sue manine neanche la finestra dell'autobus a 10 centimetri dal suo posto, ma chiamava lo schiavetto preposto seduto all'altra estremità. Ma allora, è il consueto dibattito con mio figlio Francesco, un paese per essere "autentico" deve avere le frotte di mendicanti, gli storpi, la corte dei miracoli e tutto fatiscente? No, anzi, meno male che non ho visto queste terribili situazioni, alla faccia del colore locale, chiaro che si dovrebbe andare avanti tutti, ma rimanendo se stessi, non uniformandosi ad un unico modello globale.
Sicuramente 12 giorni non sono niente, il mio circuito aveva un'altro taglio, il paese è immenso e multiforme, ma insomma l'impressione è stata di trovarmi in un qualunque paese del terzo mondo in via di sviluppo, come Tegucigalpa Guatemalacity o Benpasar, con tutte le contraddizioni e le difficoltà implicite. La grande delusione è stata che non ho intravisto un modello di sviluppo alternativo, quella era la mia speranza, ma il nostro modello occidentale imperante, o comunque questa è la direzione. La domanda è allora: per lo sviluppo esiste un'unica direzione, un unico modello?
Ringrazio i miei squisiti compagni di viaggio "gli amici dell'Associazione Le Corbusier"; pur non essendo io "un'addetta ai lavori", mi hanno accolto con calore e mi hanno spiegato un sacco di cose, insegnandomi a vedere.
Namastè a tutti

lunedì 23 aprile 2007

India, la mia prima volta

Promesso, non parlerò mai più male dei turisti giapponesi che visitano tutte le capitali europee in una settimana, anzi, hanno la mia piena solidarietà perché sono una di loro. Come dice bene Castaneda, per il viaggiatore la meta non è la destinazione finale, la città la montagna o il museo che visiterai, ma il viaggio stesso con il suo bagaglio di incontri emozioni e sensazioni; il turista invece consuma ciò che vede, pronto per la tappa successiva. Ecco, sono tornata con la fame dell'India, perché in qualche modo ho l'impressione di aver solo"consumato" delle occasioni.

Ahmedabad-Udaipur-Jaipur-Agra-NewDehli-Chandigar-Amritsar-New Dehli, il nord-ovest dell'India in 12 giorni, 12 notti in 12 alberghi diversi. Aerei, autobus,treni, risciò, dorso d'elefante, piedi, è mancata solo l'esperienza del tappeto volante.

L'India è un paese sterminato, lo so, praticamente un continente e di Indie ce ne sono tante, so pure questo, ma mi chiedo quale ho visto io. Forse quella "moderna" e non turistica di Le Corbusier, architetto mitico del '900 che conoscevo solo di nome? Nel fervore di una rivoluzione epocale, finalmente la sua indipendenza, l'India si vuole aprire al cambiamento ed alla modernità offrendo il paese all'architettura contemporanea. Ad Ahmedabad città colta ed industriale Le Corbusier progetta alcune ville private, fra cui quella della famiglia Sahrabati,

ricchi industriali tessili e la camera di commercio dei tessitori,

luogo d'incontri e di rappresentanza per gli operatori del settore. Anche Louis Kahn raccoglie la sfida e progetta un'università di architettura moderna, grandiosa ed austera.

Costruzioni molto interessanti quelle di Le Corbusier, di primo acchito mi sembrano un orrore: enormi volumi squadrati di cemento invecchiato male. Poi entri, guardi, giri e la bellezza ti si rivela, con alcune soluzioni che si ritrovano puntualmente, e che difatti rivedrò a Chandigar, una città tutta intera progettata a tavolino dall'architetto.

Pochissimi spazi chiusi e grandi volumi aperti, una intera parete dipinta colorata che spezza e vivifica la severità monotonale del grigio cemento, porte immense che sembrano sospese nel vuoto,

nel cielo, nella natura e regalano scorci inattesi, soluzioni architettoniche inaspettatamente rotonde che magari ospitano un bagno, ma che servono ad interrompere la severità delle forme squadrate, finestre con vetri a svariate dimensioni, lunghi e stretti, come una melodia che si snoda dallo spartito, si chiama "modulor" una sinergia studiata dal maestro tra architettura e musica. Chandigar è interamente inventata dal nulla

e concepita sul foglio bianco come Brasilia, secondo principi e criteri dell'architetto. Tutto è stato pensato, voluto, pianificato: il parlamento, il tribunale, le piazze, le strade alberate, i quartieri, i negozi, le scuole, i luoghi d'incontro, gli spazi del vivere sociale e privato insomma. L'urbanistica pensa ai bisogni dell'uomo, ma in questo caso li ha preceduti, sono gli abitanti che si sono dovuti adattare alla città e non viceversa. Bello? Francamente non so, perché io ci ho sentito una forzatura, una violenza, l'imposizione di una città che non si è costituita "naturalmente nel tempo". Interessante? Si, perché ti rendi conto di come l'habitat condizioni l'organizzazione di vita. Gli indiani che vivono a Chandigar dicono di essere molto fieri di abitare questa città "modello", larga e spaziosa, a me è sembrato invece che "giustamente" tentino di "indianizzarla" con il casino, il traffico, il rumore, le cose, la gente, la merce accatastata, senza in realtà riuscirci veramente perché la struttura stessa della città non lo permette ed impone altre modalità. Una città per l'uomo oppure un uomo per la città? Non sono un architetto e non ne capisco niente, però sarebbe interessante rifletterci.

Udaipur, Jaipur, Agra, del giro in Rajasthan non dico niente. Ci sono talmente tanti libri e reportage che illustrano la magnificenza,

vera magnificenza delle costruzioni Moghol . L'austerità dell'architettura, la nobiltà dei materiali, la ricchezza degli intarsi,

il tripudio dei colori, l'immensità degli spazi, l'essenzialità del bello parlano da soli, si guarda ammutoliti e basta;

mi dispiace però pensare che in qualche modo il bello assoluto porti con sé qualcosa di mortifero: non lo si tocca, non lo si vive, è da guardare in religioso silenzio, ma non ci appartiene, non fa parte del nostro vivere di tutti i giorni; come nei musei, quadri da capogiro, là fissi, immobili, poi torni a casa tua e guardi il poster in bagno o se ti va bene una litografia di qualità. Mi piacerebbe che il bello assoluto facesse parte della nostro quotidiano, quello di tutti s'intende, non solo appannaggio del marajà di turno, del magnate americano o del principe saudita.. Che so, una stanzetta con uso cucina da Ramses II ad Abu Simbel, un loculino dietro il Taj Mahal, "l'uomo che cammina " di Giacometti davanti al letto per ogni tuo risveglio, le bocche di Bonifacio sotto il davanzale. Le mie solite stronzate utopistiche!!!

Però dell'Osservatorio Astronomico a Jaipur devo dire di più, troppo bello. Si comincia con l'incantatore di serpenti fuori dall'ingresso che aspetta i turisti coglioni come me per offrirti non gratis naturalmente foto con sorriso sdentato e turbante in testa; si prosegue con un sole, un sole cocente che Napoli e Salvatore di Giacomo al confronto sembrano persi nella calotta polare ed infine tra le brume dei calori torridi si vede LUI, l'osservatorio, grandi costruzioni di pietra giallo-rosa distribuite sul suolo pronte a misurare il cielo ed i suoi misteri secondo una logica che ha le sue ragioni scientifiche, beato chi le conosce, strumenti di misurazione del 1700 dalle forme misteriose, tributo di un marajà illuminato alla scienza. Atmosfera surreale da brivido, ti senti meravigliosamente persa nel torpore metafisico e ti rendi conto che De Chirico non ha inventato niente, c'è già chi l'ha fatto prima di lui.