martedì 29 marzo 2011

bell'Italia

La giornata porte aperte del Fai, fondazione straordinaria che restaura, gestisce e mantiene vive le bellezze del nostro paese più le amiche sempre curiose e disponibili sono il giusto mix per una domenica fuori porta, destinazione Vaprio d'Adda.
Prima meta i giardini di villa Melzi edificata nel 1482 su un progetto di Leonardo da Vinci che aveva conosciuto a Milano Giovanni Melzi, allora consigliere ducale alla corte degli Sforza. Leonardo fu ospite della famiglia in svariate occasioni e qui ha conosciuto Francesco, il figlio di Gerolamo Melzi, che divenuto il suo allievo prediletto, ha seguito il Maestro in Francia fino alla sua morte ed è stato l'erede di tutti i suoi scritti e disegni.
Durante il soggiorno a Vaprio, Leonardo si è dedicato a studi sulle acque, sulla navigabilità dell'Adda che scorre giusto ai piedi della villa, eseguito dipinti e schizzi. Non visitabile al suo interno, la dimora riprende la forma classica delle grandi ville del Rinascimento.
Dai giardini terrazzati  si gode di uno scorcio panoramico che non ha bisogno di aggettivi, il fiume, il parallelo canale della Martesana, la via sull'acqua per persone e merci,  trasportava i materiali ferrosi dalle Valli Camonica, Trompia e Seriana fino a Milano, allora fucina d'Europa. In lontananza, proprio sull'argine del fiume si scorge la Casa del custode delle acque, che doveva riscuotere i dazi per il passaggio e mantenere funzionante il sistema delle acque tra naviglio e fiume.


Per raggiungere a piedi l'altra villa in programma, quella di Castelbarco si scopre che a Vaprio, lungo l' Adda, si snodano senza soluzione di continuità una serie di ville nobiliari, una più bella dell'altra , La Villa Pizzi-Guidoboni e la Villa Monti-Robecchi per esempio, entrambe del XVII° secolo ed entrambe con giardino storico a picco sul canale.
Originariamente monastero, della splendida Villa di Delizia Castelbarco,  (così venivano chiamate queste dimore cinquecentesche in provincia di Milano, che abbinano il recupero delle parti storiche a nuovi spazi, eredi naturali dei casini di caccia e che diventano una sorta di museo privato, caverne di Alì Babà degli aristocratici proprietari amatori d'arte e collezionisti che vogliono stupire ed allietare gli ospiti), ora di una società privata che la mette a disposizione per congressi, feste e matrimoni, abbiamo visitato gli incredibili Sotterranei, realizzati nei primi decenni dell'800. 5 sale a tema: la sala romana, la sala del mare, quella rinascimentale, la sala egizia e quella etrusca. Davvero stupefacente il tappeto di mosaici di sassi di fiume e conchiglie che riveste pavimenti, soffitti e pareti.
Sosta ristoratrice in osteria  per gnocchetti al gorgonzola e noci e via a pochissimi chilometri di distanza per Crespi d'Adda, dall'autostrada Milano-Bergamo uscita a Capriate. Il villaggio Crespi, realizzazione esemplare in stile Liberty conservatosi integro fino ad oggi, patrimonio Unesco dal 1995, è un luogo che già conosco e che adoro, bella scoperta per le amiche.


 E' la più importante testimonianza in Italia del fenomeno dei villaggi operai (penso a quelli visitati in Germania ed a quelli concepiti dal Bauhaus in particolare). Nella povertà e nello sfruttamento, nella mancanza di servizi e di tutela sociale, nella difficile realtà dei malsani quartieri operai che la rivoluzione industriale ha drammaticamente comportato specie agli inizi, il villaggio Crespi, costruito a fine '800 rappresenta un'eccezione, una città giardino a misura d'uomo al confine tra mondo rurale e mondo industriale,  un autentico modello di ideale città operaia voluta dal fondatore, il lungimirante imprenditore Benigno Crespi.  
E' un microcosmo pressoché autarchico dove la vita dei dipendenti e delle  famiglie ruota intorno alla fabbrica di tessitura, ora non più in funzione. Al villaggio Crespi si può tranquillamente nascere e morire perché c'è tutto: parco per le passeggiate, scuola, piscina, ospedale, docce, lavatoi, albergo, cimitero, le villette dei dipendenti con orto e giardino, quelle ben più grandi dei dirigenti in fondo al villaggio.
 
Da buon imprenditore il Signor Crespi vede e controlla tutto, per questo c'è il suo eclettico castello dimora all'ingresso, proprio sulle rive dell'Adda e il suo Mausoleo nel cimitero all'altra estremità del villaggio. (a dire la verità da lontano sembra uno stupa, ma ne ho visti talmente tanti ultimamente che uno in più o in meno non fa certo problema).
Proprio una bella domenica, grazie!!!!


  


venerdì 25 marzo 2011

La Petra del Myanmar

Stupa, pagode e monasteri sono in genere adiacenti e nello stesso comprensorio, i nomi però cambiano, ogni paya ha una sua denominazione. Non so come funzioni esattamente  la gestione dei luoghi sacri, se ci sia cioè un'organizzazione centralizzata religiosa, statale o mista oppure se ogni luogo è autonomo, quello che è certo è che i fedeli si danno un gran da fare, li vedi sempre sui cigli delle strade  e nelle paya a raccogliere offerte che a quanto pare non mancano mai, contribuire al Sangha, la comunità dei fedeli (laici e monaci), edificare o restaurare luoghi sacri è veramente parte integrante del vivere quotidiano della gente, dovere imprescindibile e molto rispettato, chi non vuole assicurarsi una futura vita migliore attraverso opere meritorie? A dire il vero è anche patrimonio comune delle tre religioni monoteiste l'invito alla generosità e all' assistenza del prossimo e dei bisognosi, nell'islam e nell'ebraismo ci sono precisi precetti in questo senso, ma i birmani buddhisti sembrano molto più scrupolosi ed attenti  nell'ottemperare.
Pagoda  Bianca di Hsinbyume
Kuthodaw Paya









 Nella foto sopra la processione annuale della Pagoda Phaung  Daw Oo sul lago Inle, importante luogo di pellegrinaggio, una peregrinazione sull'acqua dei quattro fra i cinque Buddha ospitati al suo interno. La forma originaria si è persa annegata da tutte le foglie d'oro che la gente continua ad incollare e le statue sembrano degli irregolari birilli. Purtroppo non era il mese di questa grande festa sul lago e Gastone non sa fare miracoli, la foto è presa da una fotografia nel monastero. Condivido ora alcuni luoghi che esulano dalle strutture architettoniche più tradizionali. La Kuthodaw Paya o " il libro più grande del mondo" nei dintorni di Mandalay.  Mindon, penultimo dei re birmani, ha fatto incidere su 729 lastre di marmo il Tripitaka ed ha organizzato nel 1860 il quinto sinodo buddhista (durato otto anni) per chiarire ed emendare il sacro testo religioso. Ogni lastra, come i fogli sparsi di un immenso libro di marmo, è posata in uno stupa, 729 stupa identici  allineati uno accanto all'altro e all'epoca pare che 2400 monaci abbiano impiegato quasi 6 mesi per leggerlo tutto.

tempio di Thanboddhay
Il tempio Thanboddhay a Monywa, (all'interno non ci sono reliquie) è di costruzione recente, anzi, sembra la fabbrica del Duomo perché  costantemente si aggiungono nuove effigi. Ci è caro nel ricordo non tanto e non solo per i  600.000 Buddha (si, proprio 6 con 5 zeri) inseriti in tutte le nicchie di pareti, terrazze, piloni, colonne e stupa, ma anche è soprattutto perché con Gastone ci siamo lanciate, abbiamo fatto la nostra offerta con tanto di documentazione scritta ed abbiamo inserito il nostro Buddha in una nicchia ancora vacante.

Se la Kaunghmudaw Pagoda su modello di una famosa paya nello Sri Lanka con tutte le impalcature leggere e flessibili in bambù per avanzare nella purtroppo immancabile doratura, l'ho soprannominata forse in modo blasfemo "mammellone", alla pagoda Shwezigone nella piana di Bagan bisogna proprio mettersi gli occhiali da sole, perché tutto quell'oro fa concorrenza al sole e accieca. Nei dintorni di Monywa e al di là del fiume Chindwin,  la Bowin Hill con le  Grotte di arenaria di Po Win Taung. Il luogo è pieno di fascino ma il sito archeologico è in pessimo stato, sporco e non restaurato. Innumerevoli grotte grandi e piccole piene di antichi Buddha,(lasciamo perdere lo stratosferico computo usuale) e dipinti murali risalenti a tre-quattro secoli fa.
 Alle grotte, stordite dall'orgia di sacro che un viaggio in Myanmar necessariamente comporta, improvvisamente una salutare pausa profana e liberatoria, l'incontro con una mamma pelosa che amorevolmente spulcia il suo bambino e con una scimmia acculturata che legge il giornale; no, sembra solo, in realtà ha fregato un cono di gelato a una turista coreana e lo sta aprendo.
Sulla collina detta Shwe Baung, ovvero Montagna d'Oro che sorge appena al di là delle Grotte di Po Win Daung c'è un monastero e poi si accede ad un padiglione molto particolare che mi è piaciuto definire la Petra del Myanmar perché templi e case sono completamente scavati nella roccia. L'edificazione dei primi, ricchi di statue e decori murali, pare risalga al XVI secolo, poi a fine '800 i colonialisti britannici hanno ben pensato di farci anche costruire degli ostelli in stile per dare ospitalità per la notte e rifocillare  i pellegrini che giungevano numerosi al monastero. 




   


  

mercoledì 23 marzo 2011

stupa, pagode e monasteri (2)

Lo stupa ( zedi in birmano) ovvero il tumulo funerario è il prototipo per eccellenza del santuario buddhista. Secondo la tradizione canonica Gautama Buddha sarebbe morto nello stesso giorno della sua nascita e della sua "Illuminazione" e le ceneri del suo corpo cremato (in Myanmar non tutti i monaci però si fanno cremare ed abbiamo visto diverse tombe tradizionali) sarebbero state divise in dieci stupa. Circa tre secoli  dopo l'imperatore Asoka le avrebbe fatte riesumare e suddivise in 14.000 parti interrate in vari stupa sparsi nel mondo buddhista. Lo stupa è un edificio a forma di campana e senza spazi interni, alla cui base,  inaccessibili, vengono deposte le reliquie. Negli stupa più importanti le reliquie sono vere e proprie parti del corpo del Buddha (frammenti di ossa, denti o capelli). 
Osservando il cospicuo numero  di stupa esistenti e con minimo buonsenso risulta evidente che in realtà siano ben pochi gli stupa contenenti "autentiche" reliquie del Buddha (mi sono chiesta più volte per esempio quanti denti il Maestro avrebbe dovuto avere), sovente il reliquario contiene  oggetti religiosi sacri o un'antica copia del Tripitaka (il testo più antico del Canone Buddhista redatto dopo la morte del Buddha in pali, la lingua letteraria del sanscrito con i discorsi del Maestro e le regole monastiche) o le ceneri di qualche monaco la cui vita esemplare è di insegnamento a tutti. In fondo penso sia irrilevante verificare se e quali reliquie siano presenti nello stupa, il bisogno di "credere" fa parte della storia dell'uomo e le "leggende" vanno accolte come patrimonio prezioso che alimenta da sempre questo bisogno.
  Il ventaglio religioso-architettonico è larghissimo: si va dagli stupa più piccoli e modesti o non restaurati, quelli che preferisco senza oro e segnati dalle rughe del tempo, al più incredibile e spettacolare di tutti, quello che sta nel cuore della magnificente Shwedagon Paya a Yangon, il luogo più sacro di tutto il paese che ogni birmano sogna di visitare almeno una volta nella vita. Eretto sopra la preziosa stanza  che custodirebbe otto capelli del Buddha, si ritiene risalga a 2500 anni fa, ma  questo paese ha subito diversi terremoti e integrato collettivamente, per formazione religiosa, il concetto di effimero e caducità delle cose umane. Come per quasi tutte le antichità del Myanmar è stato dunque  ricostruito molte volte e la sua forma attuale risalirebbe alla fine del XVIII° secolo.  Inizialmente la costruzione aveva solo una piccola guglia, innalzata nel 15° secolo fino a 98 metri e ricoperta tutta d'oro. E' un tripudio visivo di scintillii multicolori, nella luce del giorno e nel progressivo avanzare della notte l'oro regala mille riflessi. A Shwedagon come in tutte le altre pagode non c'è solo l'immenso  zedi centrale, tutt'intorno un assortimento incredibile di zedi più piccoli, statue, templi, tabernacoli, immagini  ed anche alcuni monasteri adiacenti uno all'altro. Il rivestimento d'oro della parte centrale dello zedi viene rinnovato ogni anno (la tradizione di dorare gli stupa e le immagini del Buddha risale al XV° secolo), grazie alle quotidiane generosissime offerte dei fedeli e l'apice della guglia  è tutta incastonata di migliaia di diamanti e gemme preziose. A guardia degli ingressi ci sono i chinthé, i leggendari "leogrifi" per metà leoni e per metà grifoni, simbolo d'amore filiale.
Per i buddisti non esiste un momento prestabilito per recarsi alla pagoda, tutti i giorni sono indicati, tutti i momenti vanno bene. I pellegrini vengono per adempiere un dovere spirituale e compiere il percorso rituale, la deambulazione circolare intorno allo stupa, si viene per chiedere aiuto in un momento difficile, per ringraziare di una grazia ricevuta, per sentire quella scintilla interiore che l'atmosfera di silenzio e pace del luogo trasmette. Sugli altari del Buddha, in segno di gratitudine per il suo insegnamento si offrono dei fiori, profumatissimi rami intrecciati di gelsomino; i fiori, simbolo della vita per eccellenza, fioriscono ed appassiscono a testimoniare che  nulla è permanente, chiave per accettare ed affrontare le difficoltà con calma e serenità.
  Si asperge di acqua fresca la postazione dedicata al giorno della settimana corrispondente a quello in cui si è nati (ci ritornerò, ma i calcoli astrologici, retaggio induista, sono importantissimi nella vita del birmano). Acqua, sinonimo di purezza, le parole "freschezza" e "pace" hanno lo stesso termine in comune, l'acqua fresca spegne simbolicamente il fuoco della sofferenza. Nella pagoda si può passare giusto il tempo di un momento di raccoglimento, ma anche giornate intere e si prega, si mangia, si medita, si dorme. Fedeli allineati come un corpo di ballo avanzano con le loro scope in mano e tengono il suolo pulito.
Ogni spazio se associato al Buddha diventa sacro. Anche il cosmo è sacro. La cupola centrale di uno stupa sta a simboleggiare il monte Meru, la montagna cosmica buddhista che segna il centro dell'universo. Compiere il giro rituale intorno a uno stupa non è solo rievocare la vita del Buddha, ma anche orientarsi saldamente al centro del cosmo.