lunedì 30 settembre 2019

New Orleans: fra alligatori veri e finti

E dopo le Everglades visitate tanti anni fa nel sud Florida, eccoci nei dintorni di New Orleans a scoprire paludi e alligatori locali. Affidandosi a una delle tante compagnie che gestiscono i tours, una mezz'ora di macchina è sufficiente per raggiungere le Wetlands dei dintorni di New Orleans, quelle  terre bagnate, quelle zone umide dove acque di varia origine e terra, coabitando insieme, formano quell'habitat straordinario e naturale tanto prezioso per la biodiversità di animali e piante. Siamo in 14 e abbiamo una guida e una barca tutta per noi. Scivolando lentamente su un'acqua marrone, davanti agli occhi un tripudio di verdi di svariate gradazioni fra radici, arbusti e foglie di ogni forma, tanti cipressi con appese delle lunghe barbe grigie, eleganti aironi dalla corona d'oro, nidi di uccelli, cinghiali selvatici, procioni, pesci-gatto, gamberi, granchi e naturalmente gli incontrastati signori dell'acqua da queste parti, ovvero gli alligatori. Siamo sul Pearl river che la guida ci spiega non essere un affluente del Mississippi.
Durante il tragitto, la guida spiega...gli alligatori sono molto longevi, come i pappagalli possono vivere fino a 100 anni, pesano fino a 450 chili e arrivano a superare i 4 metri di lunghezza; la pelle la si vende e la carne la si mangia, pare che nei ristoranti dell'area ci siano varie proposte culinarie, ma la cosa non mi tenta. L'alligatore depone circa 80 uova e senza muoversi né mangiare le cura per due mesi (come la tortorella sul mio balcone quest'estate). Quando finalmente le uova si schiudono, l'alligatore se ne sta vicino ancora per una quindicina di giorni e poi le molla. Su 80 uova forse due soltanto diventeranno degli adulti perché sono in molti ad essere interessati al pasto di questa carnina tenera, i procioni, certe specie di uccelli, persino gli altri alligatori che evidentemente sono cannibali.  Sic!
Mi viene in mente quella riserva di coccodrilli giganteschi visitata alcuni anni fa vicino al lago di Tiberiade, la più grande del Medioriente;  qui di alligatori  ne avvistiamo tanti, ma per lo più di media grandezza e ben mimetizzati in questo loro habitat, a volte pare di intravedere dei tronchi d'albero. Sono soprattutto i piccoli però che voracemente si ergono a velocità supersonica fuori dall'acqua non appena la guida sporge un'esca di pollo attaccata all'estremità di un lunga barra di metallo. Sotto la pancia sembrano morbidissimi e verrebbe voglia di accarezzarli. http://www.saranathan.it/2015/12/tiberiade-e-dintorni-fra-frontiere.html
Lo so che business is business, ma nella boutique del centro mi ha davvero impressionata  la quantità di coccodrilli finti in tutti i materiali possibili, resina, plastica, vetro, pelle, pannolenci più naturalmente quelli veri imbalsamati. Come al solito la fine della bella gita ci ha visti intorno a un tavolo di ristorante dei dintorni consigliatoci dalla guida. Il menù era un'orgia di pesce fritto, alligatori esclusi, in onore però del più sfrenato kitsch sono rimasta incantata da un enorme pescecane che pendeva dal soffitto con dentro una testa. Questa è stata l'ultima esperienza vissuta insieme ai nipoti milanesi e figliolanza. Loro torneranno in Italia e noi vecchietti, con i novelli sposi, ripartiamo per Denver, con una sosta a San Antonio e al Canyon di Palo Duro, argomenti dei prossimi post per chi sarà interessato a leggerli.  


venerdì 27 settembre 2019

New Orleans: da Plaza de Armas a Jackson Square

Ebbene si, lo confesso, il nostro cedimento turistico non si è limitato al barcone a ruota sul Mississippi, c'è stata anche la passeggiata in calesse per le stradine del French Quartier, detto anche Vieux Carré, a significare il primo nucleo cittadino francese. Faceva un caldo micidiale, i bimbi erano contenti del cavallo e noi abbiamo messo a riposo le stanche membra fra una scarpinata e l'altra. Il giro inizia in Jackson Square, piazza immensa e bellissima, cuore della vecchia  New Orleans. Dire che Jackson square si è chiamata prima Place d'Armes e poi Plaza de Armas mi sembra riassumere sinteticamente la storia della città, fondata dai francesi come loro avamposto nel 1718, protettorato spagnolo (1762-1803), poi per pochi giorni nuovamente francese e infine americana con l'acquisto nel 1803 dell'intera regione, ( il Louisiana Purchase) e la successiva vittoria della guerra anglo-americana che sancisce definitivamente l'indipendenza e questa nuova realtà. L'eroe Jackson, vincitore della battaglia di New Orleans, di cui ho già scritto precedentemente, ha l'onore di un'imponente statua nel centro della piazza. Degli amerindi, cioè i nativi americani che vivevano da sempre in quest'area,  cacciati o decimati  dall'arrivo sul continente dei primi europei, c'è scarsa documentazione, come se la Storia con la S maiuscola della Louisiana iniziasse solo con la colonizzazione. 
Durante il periodo coloniale (1718- 1803), poco importa se Place d'Armes o Plaza de Armas, la piazza è stata teatro  di moltissimi avvenimenti, sfilate militari, la lettura dei proclami dei re di Francia e di Spagna, punizioni ed esecuzioni pubbliche, mercato di frutta e verdura, masse di schiavi e uomini liberi che ballavano nei giorni di festa; adesso per fortuna è tutta un'altra storia,  caffè, musica, passeggio animato e dolce far niente. Davanti al magnifico parco, domina la neoclassica St Louis Cathedral, la terza chiesa edificata sullo stesso posto e questa costruzione è di metà '800,  con a sinistra e a destra due imponenti edifici di fine '700 di identica struttura, il Cabildo e il Presbytère, entrambi a vocazione museale. Abbiamo visitato il Cabildo che con ricca documentazione ripercorre la storia della città e che deve il suo nome al fatto che durante l'occupazione spagnola e lungo tutto il periodo coloniale è stato la sede del Consiglio del Governo; è nella sala detta "Capitular" del secondo piano (foto sopra) che la Francia firma la cessione della Louisiana.
Colonizzatori e decine di migliaia di schiavi tragicamente importati dall'Africa, tanto che la città è stata un porto di centrale rilevanza per il commercio degli schiavi, formano il primo nucleo umano della nuova città appena fondata. A un ipotetico appello risponderebbero "presente" francesi, canadesi, tedeschi, irlandesi, spagnoli, africani, haitiani, creoli, persino una delegazione di italiani emigrati qui  nei primi decenni del '900, a quanto leggo c'era infatti una "Little Sicily". Come si può constatare la lista delle origini degli abitanti di New Orleans è molto lunga. Questo straordinario melting pot umano è senz'altro la cifra peculiare della vivacità e del fascino di New Orleans (a suo tempo avevo avuto la stessa sensazione di cosmopolitismo e libertà visitando Odessa). Da queste parti la ricchezza della diversità si è amalgamata e tradotta in tutte le declinazioni del vivere, dalla musica (dixieland, blues, jazz...)  alla cucina (creola, cajun, europea, fusion), dal sincretismo religioso all'architettura. 
In apparenza  preponderante nel Vieux Carré, dove abbondano strutture e decorazioni in ferro battuto, l'impronta francese, ma in realtà due grandi incendi nel 1788 e nel 1794 hanno distrutto buona parte del nucleo originario e le ricostruzioni risalgono piuttosto al periodo spagnolo e sono rappresentative del suo stile coloniale, cui si aggiungono, of course, riferimenti architettonici italiani, anglo-americani, caraibici e africani . Avrei voluto visitare il Tremé, il più antico quartiere afroamericano, purtroppo ne è mancato il tempo, ma abbiamo percorso tutta la bellissima  Esplanade avenue, un lungo viale alberato al confine fra il French Quartier e il Tremé con numerose eleganti dimore creole vecchio stile. Per finire e sempre nella stessa area, il Louis Amstrong  Park, dove trovare una statua del grande musicista e il Mahalia Jackson Theater, due pezzi da novanta nati entrambi a New Orleans. 













sabato 21 settembre 2019

New Orleans: Mississippi e voodoo blues


Sarà anche super turistico e banale, ma come essere a New Orleans senza salire sul mitico battello? Dove lo mettiamo l'immaginario collettivo? Certo, come spesso succede, la realtà non corrisponde alle aspettative della fantasia e il giro di qualche ora lungo il grande Mississippi non è stato così entusiasmante come avevo vagheggiato.  Moderna la zona dell'imbarcadero, bello il barcone con la ruota a pala perfettamente rispondente alle immagini che siamo stati abituati a vedere, ma sono le sponde del fiume nei dintorni della città a non comunicarmi particolari emozioni, da un lato i grattacieli della moderna New Orleans, dall'altra cantieri navali e un vecchio zuccherificio, il Domino Sugar, totalmente in disarmo che sta a ricordare, con la lavorazione del cotone, l'altra redditizia attività economica del periodo coloniale e schiavista.
Durante il tragitto sul fiume era prevista una sosta al Chalmette Battlefield, un'area che fa parte del Jean Lafitte National Historical Park and Preserve. E' il sito dove si è svolta la cosiddetta battaglia di New Orleans nel gennaio 1815, l'ultimo atto della guerra che per tre anni, a partire dal 1812, ha visto contrapporsi  in campi avversi americani e inglesi. Un mese dopo, nel febbraio 1815, la ratifica da parte del Congresso Americano del  Trattato di Gand sancirà definitivamente il controllo degli Stati Uniti sul fiume Mississippi, sullo strategico porto di New Orleans e sui territori della Louisiana e della Florida. Finite una volta per tutte le rivendicazioni coloniali degli stati europei (gli inglesi avevano sempre sostenuto che l'acquisto statunitense della regione, il Louisiana Purchase del 1803, fosse illegittimo). Questa battaglia, non ingente per il numero di forze sul terreno, ha però assunto un grande significato simbolico nella storia americana, la resistenza e la vittoria a stelle e strisce contro ogni ingerenza straniera ed ha segnato anche l'inarrestabile ascesa politica del comandante delle forze americane sul campo Andrew Jackson, celebrato come eroe nazionale e futuro presidente degli Stati Uniti nel 1829.  La foto mostra la villa ad arcate di ispirazione greca Malus-Beauregard, dai nomi dei primi e degli ultimi proprietari che hanno abitato la magione costruita negli anni '30 sul sito della battaglia, prima che tutta l'area divenisse patrimonio storico nazionale.  
E dai campi insanguinati della Storia passo senza colpo ferire alla religione, sissignore, la religione voodoo, una religione dai caratteri sincretici e fortemente esoterici, africana all'origine e poi, via la tratta degli schiavi, approdata in America (da Vodu, termine africano che letteralmente significa "spirito", "segno del profondo"). A dire il vero zombi, scheletri e teschi fanno parte integrante del panorama cittadino e si ritrovano simpaticamente agghindati in ogni foggia e nelle più svariate situazioni nelle vetrine del French Quartier, ma questo è solo business, lo sfruttamento mercantile di simboli e stereotipi. Il nipote David, invece,  aveva la curiosità di saperne di più e ci ha portati al 724 di Dumaine street  per visitare il Museo del Voodoo.  Chiamarlo museo è una parola grossa, diciamo che si trattava di un appartamento poco illuminato, forse per creare l'atmosfera un po' misteriosa e magica,  alcune stanze polverose e sovraccariche  dove si alternavano immagini, santini, altarini, bambole, sculture africane, strani talismani, ex-voto, un bric-a brac composito che potrebbe fungere da primo approccio ravvicinato dell'universo voodoo.  
 Per profonda ignoranza e superficialità, l'occidente ha spesso interpretato i riti voodoo  solo come stregoneria, nefasta manifestazione di magia nera, ma si tratta di un'irrispettosa semplificazione, come sempre la realtà è molto più complessa e articolata. Nell'incontro fra  credenze, riti ancestrali e tradizioni  orali secolari di varie etnie africane con le diverse spiritualità locali dei paesi di approdo e con l'imposizione della conversione cristiana da parte dei colonizzatori, risulta inevitabile il formarsi di sincretismi religiosi. Nel suo drammatico percorso in catene lo schiavo africano non ha portato con se le valigie, ma la sua storia e l'ha integrata con la storia dei nuovi paesi in cui si è trovato costretto a vivere e con la religione dei "padroni".  A Cuba e in particolare a Santiago, per esempio, era questione di Santeria. http://www.saranathan.it/2010/03/santiago-de-cuba-barbaro.html
Non me la sento di avventurarmi a scrivere di terreni che non conosco, propongo due link che mi sono sembrati sinteticamente chiari per delle informazioni di base e mi limito a mostrare le bambole voodoo del museo. Nella panoplia generale,  ho avuto piacere di incontrare anche Santo Espedito, molto amato in Brasile, che mi ha fatto conoscere anni fa il mio amico Simone suo grande devoto. Espedito, come dice il suo nome, è un santo molto attivo e intraprendente, leggo che a New Orleans è il più invocato e ci si rivolge a lui per tutti i piccoli problemi del vivere quotidiano. Per finire questo post mostro una scultura vista in una galleria d'arte in Bourbon street. Non so chi rappresenti e chi ne sia l'autore, ma la trovo davvero bellissima.