venerdì 28 gennaio 2011

messaggio confidenziale

pssssssssss, lo dico sottovoce perché non si sa mai, fin quando l'aereo non decolla la partenza non è certa, ma sono venuta a sapere che la Sara ha in programma cinque settimane in Myanmar (ex Birmania) e Cambogia col solito Gastone. Porterà il suo pc portatile per prendere appunti e scaricare immagini, ma non avrà certamente il tempo per scrivere post e poi è incerto anche l'accesso ad internet. Che meraviglia, il suo blog resterà inattivo per un bel pò, occasione preziosa per assaporare il silenzio. Al suo ritorno si salvi chi può, probabilmente sarà un delirio di parole e fotografie vista la tabella di marcia da globetrotters delle due tipe, ma per intanto ci possiamo fare una bella dormita ristoratrice.

un'amica che vuole restare anonima  

mercoledì 26 gennaio 2011

ai nostri "vecchi"

Il viaggio di andata e ritorno non è esattamente lo stesso: si arriva al mondo urlando e piangendo, un gran baccano, si parte invece in silenzio in una fredda cassa di legno. La mia Queen Mother se n'è andata nel gennaio del 2009. Forse ha aperto la serie, da allora non ho fatto che partecipare a funerali di madri e padri di amici cari intorno a me. I nostri "vecchi", e uso questo aggettivo con la più grande tenerezza,  se ne vanno per lo più d'inverno, quando fa troppo freddo o in piena estate, quando fa troppo caldo. Hanno tutti età molto venerabili, dagli 85 in sù, diversi avevano superato abbondantemente i 90, ma un genitore che non c'è più lascia un vuoto di qualità insondabile, a qualunque età ci si sente improvvisamente orfani e soli al mondo. E' vero che la medicina ha fatto passi da gigante e la qualità dell'assistenza pure, credo però che i genitori della mia generazione fossero fatti di una pasta speciale, come noi non ce la sogniamo neppure. Per questo hanno faticato tanto a vivere, ma molti fra loro  anche a morire, malattie interminabili, il cuore che sembra non volere mollare mai e poi malgrado la definizione "valle di lacrime", non la vuole lasciare nessuno e tanto meno loro, anche se hanno vissuto quasi un secolo vedendone di cotte e di crude. Sarà stata la guerra, anzi due guerre mondiali nel terribile 900, saranno state le difficoltà del dopoguerra in un mondo tutto da ricostruire, sarà stata quell'energia che si sprigiona dall'impellenza di dare a noi figli certezze ed agi di cui loro non avevano goduto, ma che coraggio, che determinazione e che grinta hanno avuto i nostri genitori!  Sento sempre un grande imbarazzo nel porgere condoglianze formali, ma di fronte alla loro perdita non so mai trovare delle parole che abbiano un senso, forse  non ce ne sono.  

                                                 Ognuno sta solo sul cuor della terra

                                                     trafitto da un raggio di sole:

                                                         ed è subito sera.                  ( Salvatore Quasimodo)

martedì 25 gennaio 2011

eppi auar all'ombra della Madonnina


Come non fiondarsi al Museo del  Novecento, ambiziosa trasformazione del Palazzo dell'Arengario, appena inaugurato a Milano, per il momento con ingresso gratuito e all'ora del pranzo quasi vuoto? Non dovrebbe essere forse il nuovo fiore all'occhiello della capitale della moda e del design? Francamente l'impressione è fatta di luci, ombre e molte perplessità, ma cerco di spiegarmi meglio. Ricco e bello il contenuto, capolavori a profusione, il  900 italiano presente nella sua articolata varietà artistica e cronologica, una collezione di opere di tutto rispetto e per forza, sono stati svuotate le riserve degli altri musei cittadini e le civiche collezioni. Uno spunto di riflessione didattica iniziale, nella prima sala la collezione Jucker, le opere di Picasso, Braque, Modigliani, Mondrian, Kandinskij, Matisse, gli antesignani internazionali, i giganti della varie avanguardie che hanno vivificato il panorama del secolo appena finito rivoluzionando consolidati canoni estetici del passato. E poi,  arrivano in forza  " i nostri"....Pelizza da Volpedo col suo Quarto Stato, scelta molto politically correct che apre la mostra italiana e subito a seguire lo straordinario futurismo con tutti i suoi protagonisti, Boccioni, Balla, Carrà, Marinetti, Severini (foto), Funi, Depero (foto), Sironi, Soffici (foto).

Seguiranno otto sale monografiche che vedono protagonisti  Boccioni, Morandi, Martini, De Chirico, Melotti, Fontana, Piero Manzoni, Marino Marini (in un corridoio un suo straordinario Cavallo e Cavaliere che certo non poteva mancare), seguiranno gli anni 50 con una sala interamente dedicata ad Alberto Burri e altri grandi maestri informali quali Vedova, Capogrossi, Novelli, Tancredi. L'ultima sezione è incentrata sugli anni 60 con esponenti della Pop Art italiana (non ho visto esposto niente del mio amatissimo Enrico Baj, ma nei testi di presentazione si parla del movimento nucleare da lui fondato e non si possono certo esporre tutte le opere contemporaneamente) per concludere con l'Arte Povera. Fulcro del percorso espositivo e assolutamente straordinario Lucio Fontana con  Neon ed  i Concetti Spaziali del '51 ed il soffitto del '56 proveniente dall'Hotel del Golfo di Procchio all'Isola d'Elba che trionfano nel salone della Torre dell'Arengario. In questa sala la fruizione del bello proviene da fonti molteplici: dalle opere certamente, ma anche dai grandi spazi e dalla loro posizione eccezionale, davanti al Duomo e la sua piazza, da interni ed esterni che si integrano reciprocamente e magicamente attraverso immense  luminose vetrate.

E veniamo alle note dolenti. Premetto la mia incompetenza, non sono né esperta né architetta, ma di musei in giro per il mondo ne ho visti tanti. Ho trovato molto deludente la distribuzione di certi spazi architettonici certamente condizionati dalla struttura del posto, l'allestimento museale che mi è sembrato provinciale ed obsoleto con l'armonia delle colonne interrotta, con le lunghe file di quadri appesi senza soluzione di continuità e nessun elemento che ne interrompesse la monotonia espositiva, con i pannelli di rivestimenti murali dai toni spenti e fané, i quadri male illuminati e offesi da brutte luci al soffitto che sembravano voler essere loro le protagoniste, divani e poltrone di una casa di prestigio, ma che risultano vecchie con quel vellutino già sporco e consumato che le ricopre. Fonte di grande perplessità anche la scelta delle rifiniture e dei materiali, i muri intonacati semplicemente di bianco sono già sporchi come pure i pavimenti che mostrano tutte le tracce del passaggio, non si direbbe certo che il museo ha due mesi scarsi di vita. 
Bellissima invece la rampa elicoidale circondata dalla spirale vetrata che si snoda verso i piani superiori e che ricorda il Guggenheim. "Quando" e "se" le innumerevoli vetrate verranno  pulite gli scorci esterni risulteranno ancor più valorizzati. Oltre al Museo del Novecento, all'uscita le amiche mi fanno scoprire la Vecchia  Latteria Vegetariana. E' un posticino modesto e minuscolo in via Unione, ma fanno dei timballi di verdure squisiti e poi, buono a sapersi, martedì e giovedì EPPI AUAR con musica Laiv.

  


venerdì 21 gennaio 2011

'na tazzulella 'e cafè

Albert Einstein sosteneva che la cultura è ciò che rimane dopo che ci si è dimenticati di tutto quanto si è imparato sui banchi di scuola. Parafrasandolo arbitrariamente ho pensato che l'amore, se c'è, è quel che resta "dopo".    Dopo il desiderio l'ebbrezza il sogno la rabbia il rancore la stanchezza l'abitudine l'indifferenza il silenzio la nostalgia. Apparentemente è una quantità irrisoria, ma concentrata ed autentica, come quella superba schiuma di caffè che riempie a malapena il fondo delle tazzine al sud. Nero nettare profumatissimo di  " 'na tazzulella 'e cafè".

venerdì 14 gennaio 2011

le "Nanas" di Niki al Mamac di Nizza

Nei paesi del Maghreb "nana" è il thè alla menta, ma nel francese familiare sta ad indicare donna, ragazza e nella comunicazione orale viene molto usata. La trovo parola bellissima:  sarà la dizione veloce, sarà la musicalità della sillaba ripetuta con l'accento sull'ultima vocale, ma è allegra e spiritosa  proprio come le Nanas di Niki de Saint Phalle, artista franco-americana, eclettica e cosmopolita, di cui si è detto di tutto e il contrario di tutto. .Al Mamacil Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Nizza, Niki, poco prima di morire  ha offerto 170 opere fra pitture, sculture, litografie, stampe, diversi documenti e naturalmente le sue "ragazze", queste donne gigantesche dell'universo femminile, soggetto d'elezione dell'artista,  spuntate come per magia da un suo mondo onirico.

Ho parlato di magia e mondo onirico, valenze positive che non corrispondono alla realtà interiore dell'artista drammaticamente abitata invece da orribili fantasmi: "J'ai écrit ce livre d'abord pour moi-meme, pour tenter de me délivrer enfin de ce drame qui a joué un role si déterminant dans ma vie. Je suis une rescapée de la mort, j'avais besoin de laisser la petite fille en moi parler enfin. Mon texte est le cri désespéré de la petite fille". Une rescapée de la mort, una sopravvissuta alla morte si definisce Niki de Saint Phalle nel  suo libro autobiografico e scritto a mano "Mon Secret" del '94. Il suo terribile segreto è l'incesto del padre all'età di 11 anni. L'orribile violenza lascia dei segni, segni di ciò che non è più, ma la cui assenza è scolpita nell'esistenza. Già parlarne, scriverne è un atto di trasgressione- perché la violenza è segreta- nominare una cosa immonda è darle nuovamente vita, risuscitarla dai propri anfratti più profondi mentre si vorrebbe seppellirla, dimenticarla. Niki de Sain Phalle dirà l'indicibile, il suo indicibile, attraverso l'arte, strumento vitale per esorcizzare la morte.Dapprima l'ospedale psichiatrico a Nizza, tranquillanti e barbiturici, nella borsetta sempre a portata di mano un paio di forbici, un coltello, le sue Nanas degli inizi sono pallide, fatte di stoffa e di stracci, a guardarle bene da vicino sono un ammasso di cocci di bambole rotte, arti disarticolati incollati o cuciti qua e là, tubi di pittura, pettini, un mondo tragico e scomposto, contrasto fra l'apparenza e certi attributi, i seni a volte paiono dei mitra spianati. Poi la pulsione di vita riprende il sopravvento e le Nanas offriranno tutta la loro femminilità esuberante, diventeranno sontuose veneri sgargianti e luminose di colori , una rivoluzione ludica di quella bimba che vuole di nuovo  sognare. 

Mi piacerebbe tanto andare in Toscana, a Garavicchio, una frazione di Capalbio: c'è il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, creato su un terreno messo a disposizione dell'artista dalla famiglia Caracciolo. Troverei le sue creazioni ispirate alle figure degli arcani maggiori dei Tarocchi, opere monumentali e talvolta abitabili, miscuglio di scultura, pittura ed architettura, chissà forse rifugio e fortezza in un mondo "altro".

lunedì 10 gennaio 2011

per favore, lasciateci le lacrime!!!

Sul Corriere della Sera di sabato 8 gennaio ho letto un articolo a firma Maria Luisa Agnese che mi ha molto turbato. La giornalista relata di uno studio apparso sulla rivista scientifica Science di un gruppo di ricercatori israeliani dell'Istituto Weizmann. Oggetto della ricerca: la dinamica delle lacrime umane, partendo dall'analisi di quelle delle donne perché notoriamente ce ne sono molte di più in circolazione. Porco mondo, non si può nemmeno più piangere in pace! Le lacrime sono state osservate, vagliate, analizzate, studiate, vivisezionate, è venuto fuori che buttando in pattumiera millenni di commozioni, emozioni, gioie, sogni e delusioni, tutta la sfera dei sentimenti al gran completo finisce alle ortiche; nella comunicazione fra maschio e femmina la lacrima non sarebbe altro che un preciso segnale sessuale di rifiuto,  il suo codice chimico informerebbe che non è il momento di conoscersi bibblicamente, se ne riparlerà più tardi, il maschio annusa e i suoi livelli di testosterone si abbassano. Tutto qui? Aiuto!!! E io tutte le mie lacrime passate presenti e future dove le metto? Cuore in subbuglio, tormenti dell'anima, sussulti e fremiti di tutto il corpo, esplosioni di acqua a catinelle, silenziose gocce che inumidiscono il volto, occhi rossi, tutto questo trambusto interiore ed esteriore solo per comunicare che non è il momento di scopare? No, mi dispiace, rimarrò un'ignorante obsoleta sentimentale, ma non ci sto, che la scienza faccia  il diavolo a quattro, che indaghi pure negli anfratti più profondi del corpo, della psiche, del mondo minerale, animale, vegetale, siderale, che studi tutto quello che vuole, ma le mie lacrime no, quelle non si toccano e al diavolo le riviste scientifiche. 

Picasso e Antibes



Fredda domenica festiva ad Antibes: si vagabonda per le stradine della città vecchia, un salto al mercatino sempre aperto fra artigianato e i soliti prodotti gastronomici regionali, una sosta al bistrot d'angolo la Fontaine des Délices per un caldo caffé e via per la passeggiata sugli spalti della cittadella fortificata. Vista stupenda sul mare, sul porto, non più piccolo e raccolto come un tempo, qualche anno fa lo hanno ampliato costruendoci il cosiddetto Quai des Milliardaires per le super barche da crociera come quella della regina Elisabetta o il Nabila del miliardario saudita Kashoggi. Altro che porticciolo di pescatori.


Lungo la strada  si incontra la prestigiosa galleria d'antiquariato ed arte Gismondi, con delle gigantesche chiocciole blu in plastica riciclata mediante stampaggio rotazionale del Cracking Art Group, artisti che vogliono giocare con la città proponendo opere ed installazioni di rottura rispetto alla tradizionale immagine urbana. Pochi metri prima, arroccato sul mare l'atelier del grandissimo  pittore Nicolas de Stael, russo e di aristocratici lombi. Nel '55 muore suicida a soli 41 anni gettandosi dalla finestra di questo suo studio.

Austero e imponente si erge il Castello Grimaldi, cioè l'attuale Museo Picasso. Fondato sull'antica acropoli della città greca di Antipolis, abitato fino al XVII° secolo dalla famiglia Grimaldi che le ha dato il nome, poi Municipio, caserma e acquistato infine nel '25 dalla città di Antibes che lo adibisce a museo. Picasso, gigante dell'arte del '900 e non solo, abituale frequentatore della Costa Azzurra, si entusiasma per questo posto, ne decora alcune pareti e vi realizza numerosissime opere. Nel '46 con la compagna dell'epoca Françoise Gilot ne fa il suo atelier occupandone  una parte. Dal 1966 il Castello Grimaldi diventa ufficialmente il Museo Picasso, il  primo consacrato all'artista, seguiranno poi quelli di Barcellona e Parigi. La collezione museale si è creata nel tempo grazie ai doni eccezionali degli artisti che vi hanno esposto ( per esempio De Stael e Hartung, Picasso stesso offrirà 23 pitture e 44 disegni e molte ceramiche realizzate nella vicina Vallauris all'atelier Madoura, Jacqueline Picasso arricchirà ulteriormente la collezione con altre opere) e alle progressive acquisizioni della città di Antibes. 

Il museo è stato magistralmente restaurato in anni recenti ed il nuovo conservatore sta organizzando mostre ed iniziative culturali di alto livello, rubando lo scettro alla Fondazione Maeght di Saint Paul de Vence.   
Proibito purtroppo fotografare le opere all'interno, sono giusto riuscita di straforo a  prendere una parte dell'allestimento di piatti che occupava incredibilmente tutta una parete.


straordinaria la vista dalla finestra del secondo piano, come pure la terrazza: delle sculture La Vierge Folle del '46 di Germaine Richier, una Dea del Mare di Mirò del 1968.




"A' douze ans je savais dessiner comme Raphael, mais j'ai eu besoin de toute une vie  pour apprendre à peindre  comme un enfant" esclama Picasso (qui immortalato con Françoise Gilot in una storica foto di  Robert Capa). A novant'anni suonati dipingeva ancora furiosamente ed in piena produzione erotica (bella a questo proposito la mostra "La Collezione Segreta" di qualche anno fa a Milano alla Fondazione Trussardi). Senza nulla togliere a questo immenso genio artistico, continuo a pensare che in fatto di creatività e bellezza il primo posto spetti sempre a Madre Natura.



   

venerdì 7 gennaio 2011

una storia d'amore: Renoir e Cagnes

Di tutte le proposte museali, le case d'artista sono in assoluto quelle che preferisco. Magari sono polverose e trasandate, magari necessiterebbero di un restauro, spesso rimangono poche opere perché i capolavori sono finiti nei prestigiosi musei del mondo o presso fortunati collezionisti, ma senza voler fare parapsicologia  da quattro soldi, hanno un'anima, c'è lo "spirito loci" che aleggia e qui sta il bello. Ho goduto del privilegio di vederne diverse, da quelle di Hemingway a Key West e Cuba a quelle di Goethe a Francoforte e Weimar (dove c'è anche la casa di Schiller), dalle costruzioni Bauhaus a Dessau dove hanno vissuto  Klee e Kandinsky  allo studio di Freud a Vienna e Londra fino alla dacia di Cechov l'estate scorsa a Yalta per non parlare del cabanon di Le Corbusier e della straordinaria casa-fondazione di Henry Moore a una trentina di chilometri da Londra e ogni volta è stato un incanto, non sono mai stata delusa, i luoghi parlano e raccontano delle persone che li hanno abitati e questa atmosfera particolare e familiare, nessun museo la può restituire.
Per una grave forma di artrite gli arti inferiori di Renoir  si paralizzano, il Maestro vede con terrore  deformarsi progressivamente anche le mani e teme il momento in cui non potrà più tenere il pennello fra le dita;  ha bisogno di caldo e con  la moglie Aline ed i tre figli, comincia a frequentare il sud, vicino al Mediterraneo. Soggiorna a Magagnosc, Cannet, Nizza e infine nel 1907 acquista il "Domaine de Collettes" a Cagnes-sur-mer, una fattoria modesta ma con tre ettari  di terreno fitti fitti  di aranceti ed ulivi  secolari.
 Renoir adorerà l'olio di quegli ulivi, lo chiama "un régal des dieux" un ricco dono degli dei.  Versato su una fetta di pane grigliato caldo con un pizzico di sale sarà sempre il primo a gustare la nuova spremitura dell'anno come racconta il figlio Jean, famoso cineasta  nel suo commovente libro di ricordi "Pierre-Auguste Renoir, mon père" (ed folio Gallimard). Nel grande parco viene costruita una casa con tutte le comodità dell'epoca, per il pittore un grande atelier interno ed uno esterno tutto vetrate. Ogni angolo un diverso riflesso di luce, un nuovo spunto interpretativo.

Secondo i ricordi del figlio Jean, Cagnes-sur-mer ai tempi di Renoir era un villaggio di prosperi contadini, non si interessavano alla pittura dell'illustre artista che con loro si sentiva a proprio agio informandosi di come era andato il raccolto, ognuno possedeva il suo giardino con l'orto, le galline ed i conigli,  i fiori degli aranceti venivano raccolti per le profumerie di Grasse, i pescatori vendevano le alici argentate appena tolte dalle reti che per Renoir erano "le migliori al mondo".
Una casa semplice, una vita semplice, come semplice era l'artista, eppure viveva su una sedia a rotelle, dipingendo fino all'ultimo soffio di vita scorci di natura, i figli che giocavano e crescevano e l'universo femminile, sue modelle sovente le cameriere che giravano per casa, "purché il loro incarnato non respingesse la luce": "Ces sont des études d'après mes bonnes. J'en ai eu quelques-unes d'admirablement faites, et qui posaient comme des anges. Mais il faut ajouter que je ne suis pas difficile. Je m'accomode fort bien du premier cul crotté venu...pourvu que je tombe sur une peau qui ne repousse pas la lumière" (Ambroise Vollard: En écoutant Cézanne, Degas, Renoir ed. Les Cahiers Rouges Grasset). Le mani malate del pittore dalla pelle sempre più sottile e fragile vengono avvolte in panni per poter in qualche modo agguantare il pennello senza essere ferito dalla durezza del legno del manico.

Renoir amava ricevere, (da lui si mangia la miglior zuppa di pesce, la bouillabaisse, sostiene il pittore Caillebotte), Renoir amava la gente, la casa era sempre piena ed a Collettes sfileranno estimatori (Jean racconta di un giapponese venuto a piedi dalla frontiera italiana per vedere il Maestro all'opera), numerosi artisti, da Cézanne a Matisse, i più grandi mercanti d'arte dell'epoca, i Durand-Ruel, i Vollard, i Bernheim, quelli che hanno creduto negli impressionisti e li hanno sostenuti e fatti conoscere quando in Europa non li voleva ancora  nessuno, mercanti divenuti nel tempo amici dell'artista. A Collettes Renoir dipingerà "Les grandes Baigneuses" , opera che l'artista ritiene essere quella della maturità, un momento d'arrivo e di completezza della sua cifra artistica. Alla morte del padre i figli decidono di donarla al Louvre che all'inizio -scrive sempre Jean- declina l'offerta, i responsabili del museo trovano i colori del quadro troppo "chiassosi". Solo l'offerta di acquisto da parte del magnate di Filadelfia Barnes, naso fino e meno miope dei professoroni europei, fa cambiare idea  e il dono viene infine accettato dal tempio dell'arte, dov'è tuttora.

"Cagnes  semblait attendre Renoir et lui-meme l'adopta, comme on se donne à une fille dont on a revé toute sa vie et que l'on découvre à sa porte après avoir parcouru le monde entier. L'histoire de Cagnes et de Renoir est une histoire d'amour.... (Jean Renoir: Pierre-Auguste Renoir, mon père)

A Cagnes in lontananza si scorgevano le montagne che Renoir amava, ma da lontano, sullo sfondo, come nei quadri di Giorgione, soleva dire. Dalla terrazza a Collettes poteva invece godere di questo panorama; nelle belle sere d'estate si metteva con la famiglia a guardare i pescatori che rientravano al porto ed era sempre Renoir a scorgere la prima barca.