giovedì 30 settembre 2010

cara, la vuoi un'isola?

Le sedute dal dentista -no comment- si sa quel che sono, ma sfogliare le riviste in sala d'aspetto può riservare piacevoli sorprese. Alle isole, mia grande passione specialmente quelle piccole, un numero del Figaro Magazine di agosto dedica tutto un articolo. Di isole sul nostro pianeta pare ce ne siano all'incirca 130.000 fra cui una cinquantina private che ogni tanto vengono a noia al proprietario e tornano in circolazione, cioè sono rimesse in vendita. La scelta è vasta, si va da Cave Cay, 90 ettari nelle Bahamas a Santa Cristina nella laguna veneziana accanto Torcello e Burano, dai 5 ettari di Lavrec  e gli 11 di  Boedic che ha anche una cappella che guarda l'oceano in Bretagna a Trinity, solo 40 minuti da Atene o la minuscola Motu Moute neanche un ettaro, un bungalow di una sola stanza, isola pare di sogno con spiagge di sabbia finissima, acque cristalline, palme a profusione e vista  su Bora Bora, istanti di magico romanticismo assicurati. Giusto per fare due conti, Cave Cay  costa 84 milioni di euro, debolissima in matematica non so bene quanti zeri dovrei mettere, ma in laguna italiana la richiesta è ben più modesta, ne bastano solo 24, per non parlare dei pochi spiccioli per l'atollo in Polinesia Francese, con un solo milione virgola 33 te lo porti a casa. Certo resterebbe il problema del trasporto, ma tra jet, elicottero, yacht e qualche consiglio di James Bond si risolve senz'altro. Come, quale e dove scegliere? Gli oceani o il Mediterraneo? Un sole costante o la bizzarria di cieli e venti? L'intimità di pochi metri quadri o lo spazio per accogliere gli amici? Un dilemma pazzesco, per fortuna in assenza di miliardi sono esentata da questo stress e posso perfino, Fedro permettendo, fare come quella volpe con l'uva e scrivere che è molto più stimolante l'isola dei sogni che quella reale. Ma per dire tutta la verità, se il Principe Azzurro che notoriamente  esiste solo nelle favole di Andersen e dei Fratelli Grimm mi ponesse a bruciapelo l'impossibile domanda - cara, la vuoi un'isola?- io risponderei senza pudore- Siiiiiiiiiiiii!

mercoledì 29 settembre 2010

strada facendo


indietreggiare:indietreggiare non vuol dire scappare. Nella fuga  si voltano le spalle, non ci si gira a guardare. Passi lunghi e ben distesi all’indietro permettono invece di osservare la propria storia in relazione a se ed agli altri. Indietreggiare significa far luce, permettere alla luce di evidenziare la propria ombra, quella distanza necessaria per definire i propri contorni, né più piccoli né più grandi, i nostri. In assenza di terribili "bombe intelligenti" che piovono dal cielo, in prima linea nelle guerre tocca sempre combattere, il davanti diventa il luogo dello scontro e non dell’incontro, ma è nelle retrovie che si organizza la vita, si cerca di far fronte alle difficoltà, si tenta di salvare il compagno ferito. Indietreggiare è l’opposto di avanzare, inoltrarsi cioè negli altri, riducendo il loro spazio, negando inconsapevolmente all'altro la possibilità stupenda di venire incontro. Anche l'eccesso di generosità può diventare invasione prepotente. La psicologa Gianna Schelotto ha scritto un libro esemplare che si intitola “Per il tuo bene”; attraverso l’analisi di alcuni casi  insegna a diffidare con determinazione di coloro che ti dicono –lo faccio per il tuo bene- scappare a gambe levate, sono pericolosissimi, molto più proficuo  sbagliare da soli. Può capitare, se si è fortunati, che la fuga iniziale si trasformi, strada facendo, in un salutare indietreggiamento consapevole.      

lunedì 27 settembre 2010

Jonathan Livingston

Volare: tutta colpa di quel gabbiano che fa di nome Jonathan Livingston. Ci ha fatto venir voglia di volare, ci ha fatto dimenticare che noi non siamo uccelli, ma bipedi. Il nostro territorio non sono gli spazi del cielo, le immensità celesti non ci appartengono, chi ci ha provato si è bruciato le ali, è sulla terra che dobbiamo faticosamente camminare. Monti, valli, pianure, città, paesi, autostrade e sentieri, Forrest Gump nella sua saggia inconsapevolezza  si è messo in marcia e si è misurato col terreno, ogni volta diverso. Pare che abbiamo però la fantasia, pare che talvolta il sogno ci abiti, spazi consentiti per librarsi in aree senza confini, ma con moderazione, sennò il risveglio è traumatico.

sabato 25 settembre 2010

Costa Azzurra: j'aime mon jardin


Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: Rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma però...
c'è sempre disopra una stella,
una grande, magnifica stella,
che a un dipresso...
occhieggia con la punta del cipresso
di rio Bo.
Una stella innamorata?
Chi sa
se nemmeno ce l'ha
una grande città.


Di "villages perchés", paesini e villaggi arroccati su pendii e montagne in Costa Azzurra, o dipartimento Alpi Marittime secondo la dicitura ufficiale, ce ne sono proprio tanti e taluni conosciutissimi come Eze Village, Vence, Saint Paul , les Hauts de Cagnes, Gourdon, Biot, giusto per citarne qualcuno. Il fatto è che, per quanto mi concerne, li trovo ormai impraticabili soffocati come sono da boutique, negozietti, bancarelle, saponi, spezie, ceramiche, oli ed essenze di tutti i tipi, tovaglie provenzali, souvenir, insegne, atelier, masse di turisti, aiuto, si salvi chi può, veramente troppo di tutto.


 In crisi da "pieno" urge allora ritrovare degli spazi interiori ed esteriori di vuoto, di silenzio, di lentezza, di semplicità apparentemente fatta di niente. Finalmente a Falicon, borgo sulle colline nizzarde, mi è venuta in mente quella poesia di Palazzeschi, studiata sui banchi di scuola e mai scordata. 
Per dire la verità Falicon è più grande di Rio Bo, ben più di tre casettine, i tetti non sono aguzzi e non c'è neppure il ruscello, ma vagabondando per le stradine vuote e silenziose, l'impressione di quiete è la stessa, stessa emozione di fronte a un tempo sospeso chissà dove, nel cammino fanno eco i propri passi,  un badile attaccato a una porta d'ingresso rivela il sentire della proprietaria "J'aime mon jardin", e il giardino non è un interno segreto, ma  la piazzetta prospiciente.


Come al solito tutto dipende dalla prospettiva: da un certo punto di vista a Falicon non c'è niente ed è per questo che mi piace tanto. Le vecchie case proteggono dallo sguardo gli inquilini, si intuiscono solo abitate, nessun negozio, a parte un minuscolo spaccio tabaccheria dagli orari misteriosi perché lo trovo sempre chiuso, due ristorantini, uno all'ingresso del villaggio che propone dei ravioli fatti in casa ripieni di stufato semplicemente divini e un'altro vicino alle fontane. Nessuna insegna, nessuna possibilità di vendere o comprare qualcosa, silenzio e strade deserte. 

Si può anche dire però che a Falicon c'è tutto: la fontana, il municipio, l'asilo con un parco giochi per i bambini nascosto fra vecchie mura, la chiesa con accanto la confraternita dei Penitenti Bianchi, creatasi come altre aggregazioni religiose nel Medio Evo con finalità non solo spirituali, ma anche sociali quali l'assistenza ai poveri, agli orfani, agli ammalati, ai condannati a morte. Nel borgo ci sono bellissime case dipinte e recentemente restaurate, angoli di poesia che con grande pudore e modestia  si lasciano ammirare.


 




 Naturalmente per i vicoli i gatti la fanno da padrone, immobili solo quelli scultorei che si impigriscono al sole. 
Si, lo penso veramente, come a Rio Bo a Falicon non manca niente, basta guardarsi intorno e poi......


Una stella innamorata?
Chi sa
se nemmeno ce l'ha
una grande città.

venerdì 24 settembre 2010

ma va là l'osteoporosi, la nonna ha gli ossi porosi

Evviva la fantasia ed evviva i giovani, sono straordinari e sempre migliori degli adulti, perché diventar grandi è dura e il perfezionamento conquista rara, difatti per non crescere a certi viene addirittura il complesso di Peter Pan, ne sanno qualcosa gli psicanalisti. Durante i miei anni da insegnante liceale, "prof" si suole essere apostrofati, esperienza stupenda perché 50 bulbi oculari che ti ascoltano ridendo sono meglio di una pera di ossigeno d'alta montagna, di perle di fantasia ne ho sentite tante e ora mi mancano. Forse quanto scrivo può suscitare l'indignazione generale, parlo di perle di fantasia mentre andrebbe definita ignoranza crassa, ma tutto è sempre molto relativo, dipende dal punto di vista, dal solito bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, dall'approccio tragico o comico nell'osservare il mondo e poi siamo tutti portatori sani di vuoti culturali stratosferici e di castronerie immense, con l'esperienza del tempo e le rughe si impara solo ad occultarli meglio. L'idea di sfruttare editorialmente ingenuità e ignoranza degli altri non è nuova, cominciò Battaglia con "Lettere al direttore" e qualche anno fa Marcello dell'Orta con "Io speriamo che me la cavo", curando la presentazione di sessanta temi di bambini napoletani. Adesso leggo sull'inserto del Corriere "Sette" che ci prova Gianmarco Perboni, pseudonimo di un prof. toscano con Perle - 280 sublimi strafalcioni scolastici ovvero c'è del genio nell'ignoranza crassa per i tipi della Rizzoli. Si accomodino, Signore e Signori, alcune perle del libro sono a disposizione e un abbraccio affettuoso a tutti gli inconsapevoli giovani artisti:

Così parlò Kamasutra

La musica tarocca

Ai posteriori l'ardua sentenza

Un referto archeologico

Martin Lutero, altrimenti conosciuto come Martin Luther King

Nella Divina Commedia i dannati all'Inferno subiscono la pena del contrabbasso

Le prime opere che Manzoni scrive dopo la morte sono....

i babilonesi vivevano all'interno dell'Eufrate in un paese pieno di tigri  (questa la trovo semplicemente favolosa)

Gli indiani d'America che scamparono ai massacri furono messi nelle conserve

il fondamento dell'evoluzione è che un organismo vivo ha più probabilità di riprodursi di uno morto

Solgenitsin viveva in Russia in un gulasch  (esilarante, sic!)

Un corpo immerso in un liquido si bagna

il tipo di anime che si trova nel Purgatorio sono le anime che si devono spurgare

il sottosuolo è pieno di orgasmi microscopici

aperta parentesi grappa

il futurismo è un movimento che riguarda le cose che accadranno nel futuro.  

giovedì 23 settembre 2010

L'étoile de mer, Corbu e Robert

A volte mi chiedo perché si viaggi in paesi lontani alla ricerca di eden esotici quando angoli di  paradiso sono a un tiro di schioppo, vicini e facilmente raggiungibili. Domanda banale dalla risposta però complessa e articolata, le ragioni sono molteplici, ma lasciamo stare, questa è un'altra storia. A Cap Martin, pochissimi chilometri dopo Ventimiglia, si trova un sogno di posto. Oltre che naturalmente in macchina,  ci si può arrivare a piedi da Mentone, oppure in treno, scendendo alla minuscola stazione di Roquebrune-Cap Martin


Si prende la direzione del cartello, Promenade Le Corbusier e lungo una stradina romantica e piena di fascino (che porta a piedi da un lato  fino a Mentone e dall'altro fino a Montecarlo) si comincia a godere a pieni polmoni della vista tutt'intorno: scorci verdi e blu, la spiaggia del Buse, il mare con la rocca di Monaco sullo sfondo, il borgo medievale di Roquebrune sulle alture a destra con tanto di castello (ci abitava con la sua schiera di bambini adottati in giro per il mondo Josephine Baker, la Venere Nera, che cantava "J'ai deux amours" con la mitica gonnellina di banane). Certo il sole è un ingrediente fondamentale, ma lui  da queste parti c'è quasi sempre.


  Un centinaio di metri e sono arrivata dagli amici Magda e Robert, se  casa loro non è un eden perfetto, perché sono assenti il serpente e l'albero della conoscenza, grappoli gonfi d'uva invece di mele tentatrici, poco ci manca.  D'estate loro abitano qui, all'Etoile de Mer che sta per Stella di Mare, in quella trattoria preservata gelosamente come un tempo che Thomas Rebutato ha aperto nel luglio '49 in questo angolo di paradiso. Thomas, che si fa chiamare Robert perchè il suo nome non gli piace, è un signore semplice ed alla buona, ha un'impresa idraulica a Nizza, ma anche un buon naso e soprattutto ci vede lungo: il suo ristorantino ruspante sul mare avrà un gran successo, futura meta alla moda per tutta la crème internazionale della Costa Azzurra che ama andare a mangiare sulla terrazza davanti al mare il pesce appena pescato. Corbu sta per Le Corbusier, uno dei grandi architetti del XX° secolo, uno che cerca "la poesia nel rigore"  che sarà il primo cliente dell'Etoile de Mer. L'architetto conoscerà il posto ed i Rebutato durante un soggiorno nella villa a pochi metri di distanza della designer internazionale Eillen Gray e Jean Badovici ( villa decorata dei suoi affreschi murali). Robert o meglio Robertino (per distinguerlo dal padre) sta per Robert Rebutato, il figlio di Thomas, che a 11 anni aiuta papà, servendo i clienti a tavola, mentre la mamma spignatta in cucina. L'incontro e la consuetudine di frequentazione con Le Corbusier,  guida  e maestro per Robertino, ne segnerà tutta la vita. 

Thomas racconta un sacco di palle agli ingenui commensali che adorano ascoltarlo, fa colore locale: si inventa lupo di mare mentre branzini ed orate li compra in realtà al mercato, definisce scoiattolo la pantegana  appena passata di soppiatto, sforna ricordi impossibili sulla sua  presunta partecipazione alla campagna militare dei Dardanelli, quando in quell'epoca non era ancora nato. A Corbu questo posto piace proprio tanto,  un giorno in due ore dipinge il suo Thomas-Robert sulla facciata esteriore dell'Etoile de Mer e poi la parete tutt'intorno ( per ovvie ragioni di preservazione, l'attuale è una copia, l'originale è stato esposto alla sua morte alla Galleria Denise Renée di Parigi in Bd. Saint Germain). Secondo le teorie pittoriche del maestro, che non è solo architetto, il quadro viene concepito "non come una superficie, ma come uno spazio" in cui gli oggetti si articolano sulla parete come i volumi nello spazio architettonico

Le Corbusier si mette d'accordo con Thomas che lo autorizza a costruire lì attaccato nel 1951 il Cabanon: 15 metri quadrati in cui tutto è previsto per chi sa sbarazzarsi del superfluo, due letti che fungono anche d'armadio, una sedia, uno sgabello, un lavandino, vista superba sulla baia di Monaco. Struttura  minuscola, funzionale ed essenziale,  com'è nel suo stile, sarà il suo "Castello sul mare" per le vacanze del mese di agosto, il suo regalo di compleanno alla moglie, luogo privilegiato ed amatissimo per meditare, disegnare, scrivere. Cassina l'ha riprodotto e presentato nel giardino della Triennale durante la Fiera del Mobile di Milano di qualche anno fa. C'è il progetto di installarlo in uno spazio davanti alla stazione per proteggere dall'usura delle visite quello originale. 

Accanto una capanna se si può ancora più piccola, lo studio, o il "pensatoio"  come mi piace definirlo.                                                                                          


In cambio, nel 1957, Corbu fa edificare le Unités de Camping,  5 stanze appollaiate su delle palafitte che i Rebutato  potranno affittare nei mesi estivi ai vacanzieri, idea utilissima, perchè fonte di reddito per quando l'Etoile de Mer cesserà la sua attività come ristorante nel 1969.  Sulla parete il famoso "Modulor", sistema di proporzioni armoniche applicate dall'architetto in tutti i suoi progetti: l'altezza dell'uomo in piedi e quella  dell'uomo in piedi col braccio alzato. Molte altre misurazioni dipenderanno sempre dalle posizioni più frequenti assunte dall'uomo, in piedi, seduto, appoggiato coi gomiti. Le Corbusier cerca fin da giovane di penetrare il mistero dell'equilibrio delle forme, dell'armonia degli spazi e dei volumi e il Modulor sarà il risultato delle sue ricerche negli anni, la sua "sezione aurea", il suo "numero d'oro" come per i costruttori dell'antichità.
In semplicità e familiarità, fra i tre, padre, figlio e mitico architetto nasce una grande amicizia che durerà tutta la vita, fino a quel 27 agosto 1965 in cui Le Corbusier ha una crisi cardiaca che lo stronca in mare, durante la sua solita, lunga nuotata. Quella volta era da solo, difatti non si era tuffato dai suoi soliti scogli sotto casa, ma dalla spiaggia; per 16 anni lui e Robertino hanno sempre nuotato insieme uno accanto all'altro, insieme hanno preso l'aperitivo, mezzogiorno e sera, insieme hanno fatto a piedi la passeggiata digestiva dopo cena verso la stazione e ritorno.



Autodidatta, Le Corbusier è stato un avversario risoluto di scuole ed accademie, logico che anche al suo  giovane amico Robert, seguito per tutta una vita e poi divenuto collaboratore, abbia fatto fare la dura gavetta in tantissimi cantieri, da manovale a specialista in cemento armato, da impiegato dell'ufficio tecnico al prestigioso atelier d'architettura parigino. Per scrivere questo post per la prima volta ho provato a cercare Robert Rebutato su google e ci ho trovato circa 30 pagine; urca, non lo sapevo che fosse così importante. Per architetti ed estimatori la più piccola costruzione del maestro Le Corbusier è un luogo di pellegrinaggio, per me venire all'Etoile de Mer significa semplicemente venire a trovare gli amici Magda e Robert e agli amici  vuoi bene e basta senza studiare il loro curriculum vitae. C'è molta documentazione in circolazione per saperne di più, per la preservazione dei luoghi ci sono per fortuna gli sforzi della Association pour la Sauvegarde du site Eileen Gray et Le Corbusier à Roquebrune Cap-Martin di cui Robert è presidente. A me interessava solo raccontare della bellezza del posto, della  storia privata di questa amicizia con i ricordi in diretta di Robert e della discreta sorella Monique, delle palle di papà Thomas rievocate ridendo, del menù di quegli anni dell'Etoile de Mer: zuppa al pesto, ricci di mare, spaghetti al pomodoro e parmigiano, trippa, i farciti nizzardi e poi naturalmente vino rosso e aperitivo a base di pastis.
  

martedì 7 settembre 2010

Varna: amnesie e dintorni


Non l'ho scritto subito perché me ne vergogno, imbarazzante dover ammettere che il cervello se n'è andato in pappa, ma in Bulgaria, a Sofia e Varna ci sono già stata per un breve viaggio con i miei genitori qualche lustro fa, quando avevo diciott'anni. Ho martoriato le meningi, mi sono spaccata la testa frugando negli anfratti più profondi dei labirinti della memoria alla ricerca di un granello, un vero disastro, non ci ho trovato quasi niente, a Varna è stato veramente come se avessi visitato la città per la prima volta. Ma cosa caspita avevo in testa allora? a cosa pensavo? dov'ero? L'unico frammento di ricordo di quel viaggio di gioventù a cui mi sono disperatamente attaccata è stato il soggiorno di due giorni al mare a Zlatni Piassatsi o Golden Sands, come la chiamano adesso. Tutto il litorale a nord di Varna è il più frequentato dai turisti fin dagli anni 60, allora esclusivamente per i quadri del Partito dei differenti paesi del blocco comunista e per gli stranieri, portatori di valuta pregiata, dagli anni 90 finalmente accessibile anche per i bulgari. Ricordo bene questo particolare, con papà ci eravamo  profondamente indignati per la discriminazione. Era un albergone immenso, classica architettura di regime, senza charme ne stile, prezzi occidentali, molta prosopopea e non funzionava niente, rubinetti che perdevano, radio rotta, lenzuola bianco giallo e una lentezza esasperante, due ore di attesa per un caffé e una banale prima colazione. Of course con Gastone ci siamo fatte una gita di un giorno da queste parti, passando per Sveti Constatin i Elena e altri complessi turistici, le Rimini locali. Una cementificazione terrificante, non me la sono sentita di fotografare: la maggior parte delle strutture alberghiere sono ormai privatizzate, offrono una vasta gamma di cure termali, acque minerali e fanghi, certi alberghi dal di fuori sembrano ultra moderni e lo standard dei servizi sarà sicuramente all'altezza, ma l'impressione ricavata è orribile ora quanto lo fu un tempo.


Avevo fatto un bagno bellissimo in mare con mia madre, unico ricordo di qualità cui sono profondamente legata; da nordica polacca avvezza ai monti Carpati non aveva consuetudine del mare, il desiderio di nuotare si mescolava in lei a una fifa blu, si aggrappava a me e insieme ridevamo; nell'acqua c'erano delle immense meduse totalmente innocue, i bambini si divertivano a prenderle e farle sciogliere al sole.


L'autobus ha continuato fino a Capo Kaliatra, questo sì, un bellissimo posto, e lungo la strada miriadi di strutture eoliche a danzare col vento. A parte le vestigia delle fortificazioni romane del IV° secolo  e l'intimità della minuscola cappella proprio sulla punta del promontorio, da non perdere è la maestosità della roccia calcarea che dall'alto dei suoi settanta metri sovrasta il mare.
Sulla strada del ritorno verso Varna, una sosta a Baltchik, la "Città Bianca", nascosta in un anfratto della roccia costiera, come un anfiteatro offerto al mare. Terzo porto bulgaro del Mar Nero dopo Varna e Burgas, Baltchik ha una lunghissima storia dietro di sé, ne sanno qualcosa greci, romani, bizantini, ottomani, bulgari e rumeni che l'hanno via via occupata ed abitata.  La regina Maria, nonna del re Michele di Romania sceglie questo posto stupendo per farsi costruire negli anni '30 (il periodo "rumeno" va dal 1913 al 1940) la sua residenza estiva, regnanti e preti hanno notoriamente buon gusto. La proprietà si trova a soli due chilometri dalla cittadina e se il fascino del palazzo della regina risiede solo nella sua posizione incredibile davanti al mare con minareto attinente, i giardini sono un incanto e vale proprio la pena goderseli.
                                                                                                             
Questo è l'ultimo post dell'avventura, tre settimane intense con gli occhi sempre spalancati ed il cuore spesso in subbuglio. Ho fotografato Gastone nel roseto regale, il luogo mi sembra appropriato al nostro percorso. Le rose sono belle ma spesso pungono, come i ricordi, come le nostalgie, come i rimpianti. La ringrazio profondamente di avermi accompagnata e capita, tutta sola  forse non avrei osato intraprendere questo "viaggio della memoria". 




Quanto a me, mi sento come questa rondine sospesa ad un filo, filo sottile ma robustissimo, credo di averlo già scritto.