venerdì 29 maggio 2015

i cinesi a Milano

No, oggi non vorrei parlare del milione di turisti cinesi previsto e aspettato a Milano per l'Expo 2015, numero ambizioso però sono una popolazione sterminata di ben oltre un miliardo e tutto è possibile. Vorrei scrivere invece di quelli presenti in città dall'inizio '900, legati in certo qual modo all'Esposizione Internazionale, ma a quella del 1906, che mise all'epoca Milano al centro della carta geografica trasformandola in una città simbolo della modernità. Per quell'occasione il Padiglione Cinese era stato edificato nell'area alle spalle del Castello Sforzesco, proprio accanto all'Acquario Civico, l'unica costruzione non demolita e tuttora esistente e guarda caso il loro futuro quartiere sarà proprio da quelle parti, tra via Canonica, via Paolo Sarpi, via Bramante e tutte le strade limitrofe.

Ho attinto queste e molte altre informazioni durante l'interessante serata tenuta alla scuola comunale di via Giusti, ovviamente nel quartiere in questione, dal Professor Daniele Brigadoi Cologna esperto sinologo che si occupa specificatamente di migrazione cinese. Per la verità all'incontro la presenza cinese era molto modesta e questo è un vero peccato, ma forse sono soprattutto i milanesi abitanti della zona che ne vogliono e debbono sapere di più: conoscere e conoscersi, è cosa notoria, facilità il dialogo e l'integrazione. ( http://icgiusti.it/wp-content/uploads/2015/05/I-cinesi-del-borgo-degli-ortolani.pdf )
Spiega il Professor Cologna che l'insediamento cinese a Milano inizia negli anni '20 del secolo scorso con una massiccia immigrazione  in questo quartiere che per il particolare tessuto urbanistico favoriva la concentrazione di laboratori nel cortile con le abitazioni adiacenti. I nuovi arrivati giungono dallo Zhejiang, regione di forti tradizioni, dove la vita sociale è organizzata in clan, dove il culto dei morti è molto sentito e per loro si costruiscono mausolei, dove si pratica l'artigianato e un'agricoltura di montagna. Responsabile di questa nuova migrazione anche l'Expo del 1906 che ha titillato gli appetiti commerciali dei ricchi borghesi cinesi che hanno intravisto le possibilità di business; interessano al mercato europeo (Francia, Olanda, Belgio) gli oggetti d'arte in pirofillite che i cinesi usano adoperare per le loro creazioni, interessano soprattutto le prime perle artificiali che una grossa società giapponese aveva proposto sul mercato di Shangai e che riscuoteranno in occidente grandissimo successo. Un'altra motivazione può essere rappresentata dal fatto che durante il conflitto 1914-1918 la Francia aveva richiesto mano d'opera cinese a basso prezzo da impiegare nelle sue industrie svuotate di personale. Al termine del conflitto, molti di tali cinesi, con la perdita del lavoro, si sono dispersi per tutta l'Europa e alcuni di essi si sono stabiliti a Milano. 
A partire dagli anni '30 saranno abbastanza frequenti i matrimoni fra cinesi e donne italiane; la chiesa incoraggia queste unioni miste che rappresentano un'occasione da non perdere per convertire e battezzare. Anche gli altri abitanti del quartiere erano immigranti, italiani del sud, ma pur sempre immigranti e in comune con i cinesi le stesse difficoltà, lo stesso disorientamento. La stampa fascista invece sarà contraria a questa integrazione in nome, of course, della difesa della razza e seguirà il divieto di matrimoni fra cinesi e milanesi, poi però tollerato.
Durante la guerra verranno considerati nemici e sui 400 cinesi presenti in Italia, 300 verranno internati dal giugno 1940 al 1944. A guerra finita molti faranno ritorno in patria, ma poiché la seconda generazione è mista (mamma italiana, papà cinese), l'Italia sarà nuovamente la loro meta. Per la comunità cinese in Italia si parla di tre flussi migratori, il primo negli anni '20, un secondo fra gli anni '50-'70 e un terzo dagli anni '80 a oggi.  Sono sempre le stesse motivazioni per lo più di ordine economico ad accomunare i vari flussi migratori: la fuga dall'indigenza e la ricerca di fortuna in altri lidi. La tipologia migratoria negli anni è cambiata profondamente, non più singole persone ma coppie e interi nuclei familiari e i matrimoni misti in genere non vengono più praticati.

 Inizialmente vengono assunti dagli italiani perché è forza lavoro a basso costo, si lavora e si vive in umidi scantinati, casa e bottega come si suol dire, ma poi l'intraprendenza e la capacità lavorativa prendono il sopravvento, un cinese su tre attualmente è imprenditore o lavoratore autonomo. Il Professor Cologna ricorda che il 70% dei giovani cinesi oggi non giungono da fuori, ma sono nati a Milano anche se l'idioma rappresenta tuttora una grossa barriera linguistica-culturale.


Interessante ascoltare la testimonianza del Signor Angelo Ou, imprenditore sino-italiano di successo e figura di spicco della comunità cinese in Italia che racconta i suoi ricordi di splendida convivenza fra le due anime del quartiere, il padre che giocava a scopa d'assi con il macellaio e l'ortolano dei negozi accanto. o di via Canonica 35 dove i cinesi solevano riunirsi per chiacchierare, giocare e mangiare. Avrà certo ragione il Professor Cologna nel sostenere che non ci sono nuovi immigranti, ma sarà che le giovani generazioni si sposano presto, sarà che fanno più figli degli italiani, rimane il fatto  che anche il mio quartiere adesso non lo riconosco più, andando in giro da via Monteceneri a piazza Prealpi e guardando i negozi e i volti di adulti e bambini a volte mi chiedo in quale paese sono finita.



sabato 23 maggio 2015

Milano: saremmo diventati dei wuerstel?

Niente da fare, per vedere le mostre più ricche e interessanti di Milano bisogna andare alla Triennale, un  indirizzo prezioso e una certezza, ma cominciamo dagli esterni fra scoperte belle e altre meno. Nuovo fiammante il bar-ristorante sul tetto da cui si gode fra le più belle viste di Milano, in pole position al di là degli alberi i nuovi grattacieli che ruotano intorno al quartiere Garibaldi e a piazza Gae Aulenti, il Castello sforzesco e la Madonnina.

Dirigendo lo sguardo in basso si vede il parco della Triennale insolitamente e forse fin troppo pieno, oltre alla fontana di de Chirico nuovamente restaurata di cui ho già avuto modo di scrivere, (http://www.saranathan.it/2012/07/e-avanti-col-kitsch.html), una mega bottiglia di ketchup pronta forse per il "Big Big Mac" di Tom Friedman esposto in mostra, strutture illuminate e il Teatrino dei Burattini che passa attraverso la cultura dei saltimbanchi e della commedia dell'arte progettata dall'atelier Mendini; e per le note mondane, solo durante i mesi dell'expo la gestione del bar in giardino è in mano nientepopodimeno che al marchio Cova di via Montenapoleone, roba da "sciuri" come si dice in milanese.


Le note dolenti sono rappresentate dal fatto che il cantiere davanti all'ingresso è ancora aperto e i lavori non ultimati. Passi per alcune fermate della metropolitana viola non ancora pronte e operative, ma si sapeva da un bel po' che la Triennale sarebbe stato il polo dell'Expo in città, il primo Padiglione di Expo 2015 aperto al pubblico fin dal 9 di aprile e ci sono ancora le ruspe e il manto stradale per aria. Semplicemente.....imperdonabile!!!

Ma entriamo ora nel vivo della mostra vera e propria "Arts & Food" curata dal direttore artistico della Fondazione Prada a Milano e della Fondazione Vedova a Venezia, quel Germano Celant, scopritore dell'Arte Povera e deus ex machina delle avanguardie, che così la spiega: " un viaggio molteplice nella pluralità dei linguaggi che dal 1851, anno della prima Expo a Londra, fino a oggi hanno ruotato intorno al cibo e alla nutrizione".


Perbacco che progetto ambizioso, qui si tratta di dar conto di più di 150 di storia e poiché nelle intenzioni del curatore il viaggio è molteplice e i linguaggi sono plurali, non manca niente, ma proprio niente, la mostra è un inarrestabile fiume in piena di opere, sfila un intero universo legato al cibo e ai riti del mangiare in tutte le possibili declinazioni e rappresentazioni del passato e del presente, figurative, astratte, reali, simboliche, immaginarie, ironiche, grottesche, provocatorie.

Dai "Contadini al lavoro" di Boccioni alle foto di Giovanni Gastel, dal "Paese di Tarantelle" di Fortunato Depero ai "Vecchi utensili di cucina" di Daniel Spoerri, dalla "Leaning fork with meatball and spaghetti" di Oldenburg alla "Scrivania ricoperta di cozze" di Marcel Broodthaers, da una vecchia macelleria al bar YSL di Lalanne, dai vestiti "alimentari" di Ken Scott al "Cézanne Still Life 4" di George Segal, dalla "Mozzarella in carrozza" di De Dominicis, una solitaria  mozzarella comodamente adagiata sui sedili interni di una vera carrozza a una gigantesca caffettiera e altri oggetti cult per eccellenza con il tappeto "Belpaese" di Cattelan che riproduce la scatola dell'omonimo formaggio Galbani  appeso alla parete che sovrintende, iconoclasta, a questo nostro mondo in esposizione.

Impossibile e impensabile dare una panoramica esaustiva di così tante opere, non a caso il catalogo della mostra è un volumone che non finisce più, ma vorrei per esempio mostrare il percorso nel tempo della cucina, stanza imprescindibile del nostro vivere che con il bagno ha forse subito i più grandi cambiamenti. 

Si inizia con una cucina liberty presentata nel 1908 alla prima Esposizione Universale milanese, seguono una realizzazione del cubismo cecoslovacco con i suoi motivi geometrici risultanti da combinazioni di bianco, nero e marrone, una futurista che vorrebbe transformare il mangiare in un'esperienza multisensoriale, quella funzionalista degli anni '20 con l'obbiettivo di ottimizzare gli spazi e rispondere a criteri di igiene e utilità. Ulteriore passo avanti in questa spinta alla modernizzazione la cucina Type 1 del 1955 di Le Corbusier, concepita per l'Unité d'Habitation della Cité Radieuse di Marsiglia dove i principi funzionalisti vengono applicati a uno spazio abitativo collettivo. (http://www.saranathan.it/2013/10/la-casa-del-matto.html). Sempre negli stessi anni '50 Jean Prouvé risponde all'appello dell'Abbé Pierre fondatore di Emmaus per assistenza e ospitalità agli emarginati creando una casa essenziale di 57 mq. montabile in poche ore, Consagra penserà invece a un mobile particolare e Munari con Mari a una macchina per il caffé.

 Monet si dedica allo "chef Père Paul", Kirchner al "Pasto della famiglia contadina", Andy Warhol alla sua interpretazione dell "Ultima Cena", Picasso, Braque, Morandi, Wesselmann e tanti, tanti altri dipingeranno nature morte e still life a volontà.


Parallelamente servizi, piatti, teiere, tazze seguiranno stili, epoche e gusti

Nella mostra, di opere esposte che mi hanno stupita e disorientata suscitando ogni sorta di perplessità ce n'erano a bizzeffe e come al solito riguardano soprattutto la contemporaneità. Con qualche difficoltà intuisco l'ironia del "Food situation for a patriotic banquet" di Miralda anche se la muffa dei piatti in decomposizione è veramente orrida. 
Trovo dirompente nella sua muta asetticità la denuncia espressa dalla fotografia del supermercato stipato all'inverosimile, consumismo sfrenato allo stato brado, ma i sassofoni  in mezzo alle noci di cocco, l'igloo di pane azzimo di Mario Merz, la rappresentazione umana risolta in un tavolo antropomorfo e la "Bread House" di Urs Fisher non  suscitano in me veramente alcuna emozione, anzi vorrei sapere chi è il collezionista privato di quella casa di pane. 
Probabilmente di questi tempi fine dell'arte non è più suscitare emozioni, ma denunciare e far riflettere e se così è,  novello Duchamp del XXI° secolo è senz'altro l'autore, di cui mi scuso ma non ricordo il nome, di  quei salsicciotti giganti sdraiati per terra nei sacchi a pelo con il fuocherello che arde nel mezzo. Avrebbero ragione la Bibbia, Ippocrate, Feuerbach, "siamo quel che mangiamo" e poiché una parte del mondo, solo una parte ed è la nostra, mangia troppo e male, eccoci trasformati in tristissimi wuerstel in sacco a pelo.