venerdì 29 novembre 2019

Napoli: in giro per Chiaia (2)

Piazza dei Martiri: Palazzo Calabritto ristrutturato nel 1756 da Luigi Vanvitelli

Di prestigiosi palazzi antichi in giro per la città se ne vedono proprio tanti, impossibile citarli tutti, alcuni sgarrupati e vistosamente bisognosi di restauro, altri già in perfetta forma e di questi ultimi nel quartiere di Chiaia se ne vede una bella concentrazione. Personalmente sono vie e vicoli, vecchi negozi, l'animazione quotidiana di strada ad attirarmi, ecco perché il quartiere di Chiaia ce lo siamo girato in lungo e in largo. Per i loro nomi ho notato il vicolo Belledonne e via Cavallerizza, in via Alabardieri 18 ho conosciuto e fotografato l'amabilissima proprietaria  che ha un negozio di fiori piccolo, ma così piccolo che dentro  ci stanno giusto lei e il marito e se per caso entra un cliente ciccione, francamente non so. Tra i vicoletti di via Bisignano  si fa notare il marmista Russo che in mezzo a capitelli e colonne, leoni rampanti, statue, puttini e acquasantiere, a giusto titolo si vanta di essere operativo da oltre 150 anni con la sua lavorazione artigianale di marmi e pietre.

Siamo in uno dei quartieri più  eleganti ed esclusivi, "in" come oggi si usa dire; il quartiere di Chiaia è la Napoli bene, punto di riferimento della movida locale e anche il salotto buono per lo shopping con i grandi marchi del lusso. Eppure anche a Chiaia, come del resto in tutta la città, vedi ammassi di spazzatura non raccolti magari proprio di fronte a una bella esposizione floreale, a un palazzo storico o a un museo. Come tutti ho letto negli anni di corruzione, pastette, camorra, cattiva amministrazione, problemi di inceneritori e chi più ne ha più ne metta, ma comunque non riesco capire, si progettano cose egregie, incontestabili le bellezze di tante realizzazioni, si va sulla luna e presto anche su Marte e non si riesce a risolvere il problema della spazzatura per strada. E come fanno certe megalopoli ad essere pulite?? Sarà un rammarico banale e scontato, ma Napoli non se lo merita, è un vero peccato e continuo a non capire!
                                                 
 In via Calabritto uno sguardo veloce al palazzo dall'omonimo nome e alla sua splendida scala, stupenda la limitrofa farmacia Internazionale tutta in legno e poi meritata sosta al bar ristorante La Caffetteria in piazza dei Martiri, altro storico locale partenopeo. Di squisita fattura il timballo di pasta ordinato per pranzo, più bello che buono però, a dire il vero.

 Come Odessa, anche Napoli sembrerebbe composta di due città, una sopra ed una sotto. Catacombe, gallerie, cavità, articolate aree immense che non vedono la luce del sole, molto si è già scoperto e valorizzato e molto pare resti ancora da svelare del ventre profondo partenopeo; un vastissimo mondo sotterraneo fatto di tufo, la roccia solidificata delle eruzioni vulcaniche. Molto interessanti le catacombe di San Gennaro e avrò occasione di scriverne, ma in questo caso, seguendo una dritta dell'amico Paolo, da piazza dei Martiri passiamo al 61 di via Domenico Morelli per visitare la Galleria Borbonica. -Stai attenta, ci si entra da un anonimo parcheggio- il suo consiglio e aveva ragione, bisogna proprio saperlo per entrarci. Una galleria sotterranea commissionata nel 1853 dal re delle Due Sicilie Ferdinando II  che doveva collegare il Palazzo Reale di piazza Plebiscito con il mare e con la caserma di Chiaia per assicurare una rapida via di fuga in caso di pericolo. Un percorso che non è mai stato completato  e lasciato all'abbandono fino alla seconda guerra mondiale quando i sotterranei sono preziosamente serviti come rifugi antiaerei (proprio come a Odessa). Dopo un nuovo periodo di incuria, usati come discarica di residuati bellici, a partire dal 2010 sono aperti al pubblico e merita di andarci.
Nella parte iniziale di via Chiaia, proprio accanto al monumentale palazzo Cellammare (foto sopra) e ad un arco, noto un ascensore che porta a Monte di Dio, il  quartiere chiamato anche Pizzofalcone. Ripeto mentalmente Monte di Dio, Monte di Dio, il nome non mi giunge nuovo, ma ci metto un po' per collegarlo a quel "Montedidio" di Erri de Luca, libro bellissimo che ho tanto amato e che mi sono andata subito a rileggere. Una storia dello scrittore che parte da lì, da Monte di Dio, una collina di tufo millenario, un quartiere di povera gente stretto fra i vicoli. "Scrivo in italiano perché è zitto e ci posso mettere i fatti del giorno, riposati dal chiasso del napoletano"...."Dice che tutti gli occhi per vedere hanno bisogno di lacrime, se no diventano come quelli dei pesci che all'asciutto non vedono niente e si seccano ciechi. Sono le lacrime, dice, che permettono di vedere...." ..."In italiano esistono due parole, sonno e sogno, dove il napoletano ne porta una sola, suonno. Per noi è la stessa cosa".... 
Da ultimo, scoperta per caso sulla via del ritorno a casa, con l'atmosfera da salotto di certi passaggi parigini, la "Passeggiata Colonna" fra la trafficata piazza Amedeo e via Vittoria Colonna. Una elegantissima, silenziosissima via privata piena di fiori e di boutique eleganti ma non scontate. Un piccolo viale interno abbandonato per anni che ora è risorto a nuova vita grazie all'intraprendenza di tre architette e del proprietario di uno di quelli spazi ambiti della Napoli chic.







martedì 26 novembre 2019

Napoli: arte e cioccolato a Chiaia (1)

Prendiamo una volta ancora la linea 2 della metropolitana e stavolta scendiamo alla stazione di piazza Amedeo, alle spalle la bella collina del Vomero raggiungibile con la funicolare Chiaia a pochi passi. Niente funicolare, è il quartiere di Chiaia che desideriamo visitare incamminandoci per via Vittoria Colonna, non senza una preventiva sosta da Scaturchio  per il primo corroborante caffè della giornata. Già al numero 4 della via ci imbattiamo in un monumentale edificio di fine  '800, Palazzo Scarpetta, così chiamato perché commissionato da quell'Eduardo Scarpetta (1853-1925), attore e commediografo celeberrimo, l'iniziatore del teatro napoletano moderno e il capostipite della dinastia teatrale degli Scarpetta-De Filippo.  Imponente l'atrio con tre statue che l'attore aveva fatto scolpire per celebrare il successo di una sua commedia. E' in questo palazzo che hanno abitato sia gli Scarpetta che i De Filippo, Eduardo,Titina e Peppino e questa è ora la recentissima sede della Fondazione Eduardo de Filippo fortemente voluta dal figlio Luca per la salvaguardia e il recupero del teatro della tradizione napoletana.

Al 22 di via Colonna la chiesa barocca Santa Teresa a Chiaia e a pochi passi, ma siamo già in via dei Mille, il PAN ovvero Il Palazzo delle Arti Napoli,  che dal 2005 ha sede nel settecentesco Palazzo Carafa dei principi di Roccella che ha conosciuto più rifacimenti e destinazioni d'uso fino al 1984, anno in cui è stato acquisito dalla municipalità. E' un museo di arte moderna e contemporanea ma che si propone anche come dinamico centro di cultura attraverso conferenze, incontri, presentazioni di libri e seminari. Attualmente in tabellone "Il linguaggio dei segni" del grande catalano Joan Mirò "il più surrealista di tutti noi" come lo ha definito una volta André Breton, il capo indiscusso della banda del surrealismo; naturalmente ci siamo subito fiondate e ne valeva la pena, una mostra di qualità. ( "Dipinto" - 1953- olio su tela;  "Testa d'uomo"- 1935- olio e vernice a smalto su cartone; "Figura e stelle nella notte" -1965- gouache, pastello, acquerello e collage su carta nera; "Il canto degli uccelli in autunno"- 1937- olio su celotex)
Interessante la scelta delle opere, bello l'allestimento della mostra, chiari e articolati i pannelli esplicativi che tracciano via via il percorso e l'evoluzione creativa dell'artista. Semplificando progressivamente il suo linguaggio formale, a partire dagli anni '20 Mirò attribuisce al segno valore di sostituto di qualcosa che non è più fisicamente presente, il segno grafico come surrogato di una rappresentazione che non c'è più; una semplice linea potrà significare un corpo, un semicerchio una testa o il profilo di un seno. Poi, col procedere degli anni e della maturazione artistica il segno non vorrà sostituire o rappresentare più nulla, un segno che ha forza e significato in sé, divenuto contenuto stesso dell'opera, pura armonia di composizione cromatica. Seguiranno i collage: carta, chincaglieria, chiodi, foto o persino rete metallica, semplici oggetti del quotidiano che nella composizione assurgeranno a dignità artistica combinandosi col segno grafico, quasi a cavallo fra pittura e scultura. Collaborando negli anni '70 con il tessitore Josep Royo, in fitte trame di juta, lana, cotone, canapa preparate da Royo, Mirò incorpora oggetti comuni e vecchi sacchi di zucchero e farina possono diventare lo sfondo degli oggetti. In qualche modo da una parte l'artista cancella il segno, ma dall'altra gli da  nuova vita trasformandolo in elemento materico.  (foto sopra: "Personaggio" - 1967- bronzo dipinto (fusione a cera persa). Ultima foto in basso "Sobreteixim 4" - 1972- lana, filo, acrilico, tubo di cartone e collage su arazzo realizzato da Josep Royo) 

E siccome  Napoli è generosa e noi non ci siamo fatte mancare nulla, eccoci passare dal piacere degli occhi alle sollecitazioni della gola andando a visitare la fabbrica di Gay-Odin che un articolo di giornale romano titola nientepopodimeno come il re del cioccolato doc. Di cioccolaterie Gay-Odin ne ho viste diverse per la città, ma la fabbrica si trova  in vico Vetriera che finisce poi nella strettoia privata Giuseppe Maglietta. Capiamo di essere nel posto giusto alla vista di una commessa che, in pausa, chiacchiera al telefono per strada  e di un vecchio camion d'antan con l'insegna. Non essendo in un gruppo organizzato con la guida non ci è stato permesso vedere i locali di fabbricazione, ma già la grande stanza museo all'ingresso fra le vecchie macchine di produzione, foto, forme, riconoscimenti al marchio, confezioni regalo, leccornie e cioccolatini a forma di tazzina da caffè come non avevo mai visto, è stata una delizia.  Ci è stato gentilmente offerto un opuscolo che racconta la storia dei fondatori che da fine '800 deliziano le papille con la loro produzione artigianale di alta qualità.
L'ultima chicca del post è il palazzo Mannajuolo del 1912 all'incrocio fra via dei Mille, via Filangieri e lo slargo prospiciente che si chiama I gradini di Andrea . Particolare e di grande effetto la sua  architettura ad angolo ideata dall'architetto Giulio Ulisse Arata, il padre del liberty napoletano;  magnifico anche  l'ingresso del palazzo, ma il capolavoro tecnico ed estetico, vero trionfo dell'art nouveau, è rappresentato dalla soluzione ellittica della scala interna che il portinaio, se glielo chiedete, vi condurrà a vedere. Non mancatela, è una bellezza nascosta che va scoperta!!!