domenica 30 agosto 2015

da Chagall a Malevitch: alba e tramonto di un'utopia

Marc Chagall: Nu rouge relevé  1909
Di Chagall quest'anno ho fatto una grande scorpacciata: prima l'inverno passato la mostra a Palazzo Reale di Milano, poi il Museo Biblico a Nizza (http://www.saranathan.it/2015/07/chagall-davanti-alla-baie-des-anges.html) e ora eccomi al Forum Grimaldi di Monaco per questa riflessione espositiva sulle avanguardie russe. Come altri due pezzi da novanta del '900, Picasso e Mirò, c'è da dire che anche Chagall ha vissuto quasi il secolo intero e prodotto enormemente, non manca certo una pletora di sue opere da vedere e il Forum Grimaldi rappresenta un indirizzo da non perdere, ogni anno bellissime le mostre e pure gli allestimenti. Questa volta focus sui primi 30 anni  del secolo scorso in Russia, periodo di grande fermento e trasformazioni, l'alba di un secolo nuovo portatore di sogni e speranze di libertà in tutti i campi.
Chagall torna in Russia nel 1914 dopo il soggiorno parigino e berlinese. Nel '17 viene nominato Commissario dell'Arte e a Vitebsk, sua città natale, fonda una scuola e crea il Museo di Arte Moderna. L'artista rimane sempre legato al figurativo, alla rappresentazione di un mondo reale seppur tradotto con l'occhio poetico del visionario, non fa certo per lui l'astrazione geometrica proposta dal collega Malévitch capofila delle tendenze militanti avanguardiste, eppure le prospettive multiple, i diversi piani prospettici  del cubismo attraversano le opere di questo periodo presentandoci uno Chagall forse meno conosciuto. Significativi in questo senso "L'introduction au théâtre juif" (1920) immensa vivacissima  tela commissionata da Lenin per il teatro ebraico di Mosca e poi finita per anni nelle cantine della Galleria Tret'jakov per volere di Stalin, "L'amour sur scène" (1920), "Composition à la chèvre" (1917).
Natalia Gontcharova:  La Pesca (1909), Larionov: Ritratto di Igor Stravinsky (1915)
Natalia Gontcharova: "Il velocipedista" (1913); Alexeî Jawlensky: "Jeune fille au tablier gris" (1909)

Neo-Primitivismo, Raggismo, Cubofuturismo, Suprematismo, Costruttivismo: nuove tendenze artistiche, nuove direzioni di ricerca magistralmente espresse in più di 200 opere fra pitture, disegni, documenti, sculture che testimoniano dell'incredibile fermento  di quell'impero tzarista in procinto di diventare repubblica popolare, un linguaggio  rivoluzionario alla ricerca di una nuova identità, sociale, politica, artistica.
Diventeranno realtà le premonitrici parole di  Tolstoj di fine '800 nel suo trattato filosofico "Che cos'è l'arte", dove "l'arte buona è sempre comprensibile a tutti", dove sia gli attori, ovvero gli artisti che gli spettatori, coloro che osservano, non saranno esclusivamente più le élite del paese, ma la comunità umana nella sua globalità, le masse in cammino. Inebriante utopia di giustizia sociale, di libertà, di egualitarismo, di cambiamento, di sperimentazione....come non buttarcisi a capofitto? E poi, grazie alle grandi collezioni di Shukin e Morozov, a Mosca si conoscono i fermenti dell'arte a Parigi e nel mondo occidentale, opere cubiste o futuriste sono appese nei saloni di questi collezionisti -mecenati (http://www.saranathan.it/2011/11/shukin-e-morosov-brera.html). Nel campo della musica o della danza, della pittura o della scultura poco importa, gli artisti, sempre in prima linea come porta-parola di una società avida di cambiamento e di libertà, si metteranno a creare. nell'effervescenza di una storia che promette grandi novità.
Esemplare l'evoluzione di Malévitch in questa direzione di libertà espressiva, di semplificazione, di democratizzazione dell'arte; un percorso che lo porterà fino all'astrattismo, quello "zero delle forme" predicato dal suprematismo, la rivoluzione estetica più radicale del XX° secolo, il trionfo del fatto pittorico in quanto tale, un'arte che giunge fino ai confini della rappresentabilità; (per altre vie e con altre motivazioni, ma negli stessi anni, anche Mondrian e Kandinsky saranno pionieri della totale dissoluzione dell'immagine). A opere espressioniste come "l'autoritratto" del 1908 o "la natura morta" del 1910, seguiranno "Il Falciatore" del 1911 e  "La Mietitrice " dello stesso anno, poi " Composition suprématiste" e "Suprématisme- Composition non-figurative) (1915-16) per approdare infine a "Quadrato nero", "Croce nera", "Cerchio nero" intorno agli anni 1924-25.
Importante e interessante leggere gli anni della composizione delle opere, risulta più chiaro il percorso dell'artista e delle sue ricerche; si scoprirà così che negli ultimi anni Malévitch ritorna al figurativo e ai suoi "contadini". Perché? Quelle suprematiste erano state scelte formalmente troppo radicali? O è forse che il sogno di libertà si è solidificato in una dittatura, che la disillusione ha preso il posto di entusiasmo e speranza, che il regime impone un'arte di propaganda in cui l'artista stenta a riconoscersi? I suoi meravigliosi "Sportivi" (1930-31) sembrano fuori dalla Storia, solo manichini colorati, i "contadini" di questo suo secondo ciclo  non sono più uomini al lavoro nella campagna, non hanno più un volto e se ce l'hanno, hanno comunque perso i contorni della realtà, come icone senz'anima.
Natalia Gontcharova e Larionov già nel 1915 avevano lasciato la Russia per Parigi dove inizieranno a lavorare con Diaghilev concependo scenografie e costumi per i suoi famosi balletti, Chagall vuole la sua libertà creativa, far volare, se gli gira,  innamorati e capre, non può certo respirare la radicale air du temps del suo paese e se ne riparte per Parigi nel '22. Non è la rivoluzione che ha creato le avanguardie e la modernità, sono stati gli artisti ad essere stati rivoluzionari prima della rivoluzione stessa sperando che questa avrebbe incarnato e concretizzato i loro ideali. "La barca dell'amore si è spezzata contro la vita come si suol dire, l'incidente è chiuso": sono gli ultimi versi intensi del poeta Vladimir MaÏakovsky prima del suo suicidio a Mosca il 14 aprile 1930. Mi hanno fatto pensare al poeta giapponese Yukio Mishima anche lui morto suicida davanti alla televisione nel 1970, quarant'anni dopo. Uno di sinistra, l'altro di destra, il primo aveva perso ogni speranza nel futuro, il secondo provava nostalgia per il passato, in entrambi i poeti l'impossibilità di vivere e di accettare il presente. 
 Vladimir Tatlin: progetto di monumento costruttivista per la Terza Internazionale Comunista (1919) Di Tatlin anche l'opera sopra esposta "Pescivendolo" ((1911)
Mikhail Matouchine: "Movimento nello spazio" (1921)


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martedì 25 agosto 2015

Gérard Garouste: figlio-pittore-pazzo

Per dire il vero non avevo alcuna intenzione di andare a vedere alla Fondazione Maeght l'esposizione di quest'estate 2015 dedicata al pittore Gérard Garouste. Un artista a me sconosciuto e l'unica sua creazione, che mi era sembrata misteriosa, l'avevo vista mesi fa a Parigi  allo spazio Baccarat (http://www.saranathan.it/2014/06/parigi-art-is-good-for-you.html). Poi l'amica Michelle, la gallerista francese con cui collaboro da molti anni per la versione italiana del suo sito, (http://www.mchampetier.com/) mi suggerisce di leggere assolutamente l'autobiografia che Garouste ha pubblicato nel 2009 "L'intranquille. Autoportrait d'un fils, d'un peintre, d'un fou" . -Interessanti- mi dice- troverai il libro e il personaggio molto interessanti- e aveva perfettamente ragione, ho divorato le pagine tutto d'un fiato ed è divenuto indispensabile andare a vedere la mostra.
Con il libro in mano, tento l'analisi delle singole tessere di questo autoritratto così singolare. "L'Intranquille" per cominciare, un neologismo sia in francese che in italiano, per dire di un uomo irrequieto, senza pace interiore, sempre in cammino, sempre in ricerca, condizione dolorosa dell'essere umano eppure necessaria per un percorso di crescita, per diventare autenticamente quello che si è nel profondo. Mai chiedere la strada a chi la sa, si rischierebbe di non smarrirsi, bisogna invece perdersi nella "selva oscura" per ritrovare poi una propria strada percorribile, per raggiungere un qualche spiraglio di luce nel marasma dell'esistenza. Ce lo insegna Dante nel suo percorso iniziatico e ce lo ricorda Rabbi Nachman di  Breslav, uno dei più grandi Maestri chassidici. Questa frase è posta all'ingresso della mostra e la dice lunga sul tormentato cammino di Garouste, l'Intranquille.
La fôret obscure   1986- 87
                                 
Phlégyas, Dante et Virgile   1986
Caved    2007
"Autoportrait d'un fils..." Difficile essere genitori e altrettanto essere figli. La figura del padre autoritario dalle certezze granitiche in tutti i campi che intrattiene un rapporto di amore sado-maso con la madre, che suscita terrore nel giovane Gérard, che professa regolarmente propositi antisemiti, che, come mercante di mobili, si è arricchito durante la guerra recuperando e rivendendo i beni degli ebrei spoliati e deportati, è il grande nodo primario dell'artista.  Garouste sarà presente al suo funerale "senza lacrime" dopo tre anni che non lo vedeva: "Je n'étais pas venu depuis trois ans. La dernière fois, ou l'avant dernière, nous nous étions battus. Je suis donc arrivé sans larmes". Ai suoi due figli Garouste tiene a dire che in tempo di guerra spuntano eroi e mascalzoni e che il loro nonno faceva parte della seconda categoria: "Il n'avait pas pu faire héros. Alors il avait fait salaud". E secondo la frequente logica dei figli, per liberarsi da pregiudizi e condizionamenti, da segreti e menzogne dell'educazione ricevuta  Garouste percorrerà un cammino opposto a quello tracciatogli dal padre: sarà pessimo allievo a scuola, farà il pittore e non il rivenditore di mobili, si sposerà con una ragazza ebrea, si metterà a studiare la Bibbia, l'ebraico, la cabala, seguirà dei nuovi maestri di vita che gli insegneranno che non esistono le certezze definitive: "Ils font de la Torah, que les chrétiens appellent Ancien Testament, un vieux cours d'eau qui parcourt et caresse le monde sans jamais rien lui imposer". Caved in ebraico significa "onorare", ma nella radice della parola è compreso anche il significato di "pesante" ciò che apre nuove possibilità interpretative al comandamento di onorare il padre la madre invitando a considerare anche il peso che i genitori possono rappresentare. Quadro chiaramente autobiografico, nella tela le figure sono sottosopra, i corpi scomposti, il conflitto evidente, la violenza altrettanto. "Il m'aura fallu du chemin, un long apprentissage pour abattre tous les murs, tous les fondements de la maison où j'avais grandi et trouver enfin quelque chose de beau dans les gravats...."

"Autoportrait d'un peintre..." In grande difficoltà scolastica, ma non in disegno, una passione da subito: "Je ne savais que dessiner. Depuis tout petit, j'étais le dessinateur de ma classe......Quand sonnait l'heure du dessin, envolés le bonnet d'âne, les sarcasmes,les complexes, je jubilais, j'existais. Et je voulais faire toujours mieux, toujours plus". Garouste si iscrive inizialmente come auditore libero alla Scuola del Louvre perché sente che per lui nell'arte ci sarà una via d'uscita, che la sua forza sta in fondo alle sue dita "la peinture c'est le prolongement de la pensée par les mains." E cosa creare dopo un Picasso che "è la pittura stessa e la sua espressione ultima", dopo Marcel Duchamp, "punto finale della rivoluzione dell'arte", si interroga Garouste. "...Il restait tant de choses à faire et à dire. J'étais comme le pianiste, quatre-vingt-huit touches sous les doigts et pourtant une musique infinie.....Moi si je peins parfois de très grandes mains, pleines de doigts, c'est un hommage que je leur rends. Tant qu'il y aura des mains, il y aura des dessins d'enfants et des tableaux". E Garouste ama gli enigmi che distribuisce generosamente sulle sue tele, ama cercare le chiavi di quegli enigmi, ama Don Chisciotte che "nasconde verità profonde dietro la pazzia e l'humour", Un giorno dice all'analista che è stufo dell'eleganza e della bella pittura, vorrebbe fare qualcosa di cattivo gusto, di non accademico, "Faites de la peinture laide" gli viene allora suggerito. Garouste diffida della bellezza: "Mais je me méfie de la beauté, c'est du bluff, une manipulation qui peut laisser totalement passif celui qui le regarde. Je préfère lui suggérer une question... 



Tour de passe-passe (autoportrait)  2002
Dérive  2010

"Autoportrait d'un fou..." E poi, altro fondamentale tassello del suo puzzle,  le improvvise crisi di pazzia, la prima a 28 anni: "Le délire c'est une fuite, une peur très grande d'être au monde, alors, on préfère se croire mort, tout puissant, ou juste un enfant"... "Vivre était tout simplement au délà de mes forces"... "Le délire c'est une manière de se jeter dans le vide quand on a peur du vide"... E' Garouste stesso che spiega in un'intervista all'Express la sua malattia e il quadro "Chartres": "Je suis atteint d'une maladie maniaco-dépressive qui m'a souvent conduit dans les hôpitaux psychiatriques. Ce tableau raconte l'un de mes épisodes délirants. Je devais aller à la gare de Dreux, mais ma voiture m'a conduit à Chartres. C'était un dimanche. Je suis entré dans la cathédrale. Il y avait un mariage. J'ai traversé le labyrinthe dessiné par Villard de Honnecourt. Dans une chapelle, des fidèles priaient, j'ai pris les cierges et je les ai les brisés. J'ai senti l'affolement autour de moi. Alors je me suis enfui. J'ai croisé des policiers et, le lendemain, j'étais enfermé à Sainte-Anne. C'est cette scène de folie que j'ai représentée. Lorsque j'étais enfant, j'étais nul à l'école, mais je savais dessiner, c'est ce qui m'a sauvé. Ce tableau illustre ma façon de m'exprimer en images lorsque les mots me manquent." Delirio e creatività, pazzia e acutezza dello sguardo e del pensiero, pazzia e solitudine, temi di sempre nella storia dell'arte e Garouste nella sua autobiografia ne è pienamente consapevole: "Le fou parle tout seul, il voit des signes et des choses que les autres ne voient pas. Je veux peindre ce qu'on ne dit pas. Et si le fou dérange, je veux que le peintre dérape".
Le Sarcophage  2012


80 quadri, sculture e disegni alla Fondazione Maeght ci propongono di avvicinare il mondo di Gérard Garouste, artista complesso che pensa e ci costringe a pensare, che si interroga e ci invita a fare altrettanto, un sapere pittorico classico pervaso da tutti i questionamenti, i dubbi e le paure dell'uomo moderno. Con lui è impossibile limitarsi ad essere spettatori passivi, dire quel quadro mi piace oppure no, lui scava in fondo e fa un suo percorso provocando nello spettatore la riflessione. 
A fine esposizione, nella terrazza della Fondazione ho guardato quella panchina verde sul tetto, opera del 2011 di Luigi Mainolfi, e mi è venuta un gran voglia di potermici sedere sopra, essere anch'io fra "quelli che volano", Gérard Garouste ne fa parte senz'altro.   

domenica 2 agosto 2015

sul mare: Monopoli e Ostuni

                                                        MONOPOLI
Di Monopoli la Lonely scrive che è la località più grande di questo tratto di costa adriatica e la meno turistica, cosa che renderebbe la cittadina non altrettanto candida e curata quanto gli altri siti dei dintorni ma più autentica. Sono perfettamente d'accordo, mi è piaciuta tantissimo Monopoli. è profondamente vera col suo dedalo di vicoli, ringhiere e davanzali in ferro battuto, sagrati di chiese che spuntano inaspettatamente dietro gli angoli, case e palazzi con l'intonaco scrostato che vernice e restauri non li vedono da un bel pezzo, il mare, nascosto mentre te ne vai a zonzo per la città e che appare all'improvviso dietro all'imponente castello svevo  col vecchio porto e qualche peschereccio.

Siamo alle solite, come per molte altre località di mare il doversi difendere dall'esterno e il pericolo dei bellicosissimi turchi provenienti dalle acque dell'est hanno condizionato la configurazione architettonica della cittadina, case alte e strette a ridosso una dell'altra, finestre irrangiungibili, porzioni di cielo fra i vicoli, un centro storico rinchiuso su se stesso per proteggersi meglio. Monopoli è dominata dalla Chiesa-Basilica-Cattedrale e Santuario Maria SS della Madia che ha perso le sue caratteristiche del XII° secolo quando è stata originariamente edificata per diventare barocca, coerentemente con la moda del tempo, nel completo rifacimento del 1700. All'interno, dal pavimento al soffitto sfarzosi marmi policromi e dipinti di grandi maestri, di rilievo anche scalinate e sacrestia.
A Monopoli chiese, palazzi e piazze si sprecano, ce ne sono veramente in ogni dove e esprimono grande fascino. In piazza Palmieri, la più antica, nessuna frotta di turisti vocianti, i giovani locali se la raccontano tranquillamente di fronte all'omonimo palazzo. Non se la passava niente male nel '700 il marchese Palmieri.
OSTUNI
Tutt'altra atmosfera turistico-mondana-vacanziera nell'immacolata Ostuni  che difatti chiamano la Città Bianca. Poggiata su tre colli calcarei della Murgia meridionale, come Locorotondo si trova in posizione dominante e la sua fama risale più lontano nel tempo rispetto a tutte le altre località della Val d'Itria. Si vede che Ostuni ha una lunga consuetudine turistica e l'abitudine di farsi ammirare e frequentare, pulitissima, bianchissima, curatissima, ogni anfratto valorizzato, quasi fin troppo per i miei gusti, si prevede persino l'appetito degli ospiti.
Interessante il Museo di Civiltà Preclassiche della Murgia, l'unico di Ostuni, ospitato nel complesso costituito dall'ex convento delle carmelitane di clausura e da una chiesa e siamo a metà '700. Più che lo scheletro di una giovane donna incinta dell'alto paleolitico, personalmente ho apprezzato la particolarità dell'esposizione museale in un luogo simile e la bellezza di certi angeli o putti, non so.
A differenza della discreta Monopoli che si lascia scoprire sommessamente poco a poco, Ostuni, col suo candore accecante e i suoi palazzi tirati a lustro è spavalda da subito, a partire da piazza della Libertà dove si incontrano la città nuova e quella vecchia, un anfiteatro di eleganti edifici intorno a una guglia in stile napoletano del 1700 con Sant'Oronzo, patrono della città, sulla sommità. Accanto il Palazzo Municipale con la sua facciata neoclassica, antica sede di un convento francescano.
Inerpicandosi poi per via Cattedrale che attraversa tutto il centro storico si arriva a quel gioiello che è la Cattedrale di fine '400 con la sua facciata in stile romanico-gotico-fiorito e i suoi rosoni che sembrano lavorati in filigrana da un orafo; all'interno marmi policromi, soffitto dipinto e altari stupendi.  Accanto la sobrietà del palazzo vescovile unito al Palazzo del Seminario da una loggia ad arcate. Che fascino questo angolo di Ostuni!
Passeggiare, ammirare e il sole allo zenith mettono fame e come a Cisternino è finita in gloria con carne alla brace scelta direttamente al banco e cotta al momento, a Ostuni abbiamo fatto la stessa cosa, ma stavolta col pesce. Gastone si è scelta un polipo che non finiva più.