mercoledì 5 settembre 2012

ridere e sorridere

Domanda: Chi è uno psicanalista? Risposta: Un dottore ebreo che ha paura del sangue.
Domanda: Che differenza c'è fra uno psicanalista e un sarto? Risposta: una generazione. E questa storiella fa sorridere molto gli americani, perché maledettamente vera, gli ebrei emigrati oltreoceano erano davvero quasi tutti sarti, modesti Schneider emigranti dell'Europa dell'est. Comicità e umorismo non sono la stessa cosa. Il primo scatena la fragorosa risata, il secondo suscita solo un discreto sorriso. Il primo stronca senza appello, il secondo vuol far riflettere. Il primo è portatore di una carica di aggressività, allegramente incanalata certo, ma pur sempre fendente perchè concentra la sua attenzione all'esterno su qualcuno o qualcosa e attraverso la parola in qualche modo li  distrugge, il secondo è liberatorio e nobilitante. Liberatorio perché nel gioco del pensiero e della parola l'io si difende dichiarandosi invulnerabile, si contempla ma non si rassegna, trasforma la situazione perdente in una sfida. Saper ridere è una sfida. Nobilitante perchè destinatario e destinatore finiscono per coincidere, l'umorismo non suscita il riso fragoroso perché non nasconde strali di aggressività, nel sorriso bonario si introduce la convivialità con l'altro e con se stessi, l'umanizzazione del soggetto o della situazione crea la solidarietà. Deridda afferma forse che l'identità ebraica è debole? "Umanità claudicante" la definisce l'ermeneuta biblico  Haim Baharier. Rivendichiamola fieramente questa claudicanza, appartiene a tutta l'umanità, ma è dalla consapevolezza della sua presenza che si sviluppano forse gli anticorpi per combattere, reagire, tentare onestamente "quel mestiere di uomo" di cui parlava Pavese. L'umorismo, sguardo  disincantato sul mondo e su se stessi è uno di quegli anticorpi, una sorridente presa di coscienza di quella  incompletezza che trasforma la vittima in protagonista, un' ammissione della nostra limitatezza esistenziale che in quella rivendicazione trova la sua dignità, una rilettura ironica della vita attraverso le nostre fragilità.

 Ho riassunto sinteticamente e spero correttamente gli interventi dello psicanalista David Meghnagi e del rabbino Roberto della Rocca, ma molto altro è stato detto  domenica 2 settembre  alla Sinagoga centrale di via Guastalla a Milano nel corso della Giornata Europea della Cultura Ebraica che quest'anno aveva come soggetto: L'Umorismo Ebraico- Dal talmud al cinema.  Una volta ancora per questo appuntamento la Sinagoga e la cultura ebraica aperte al pubblico per conoscere e farsi conoscere, presenti esponenti del Comune, della Provincia e della Regione, membri della Comunità islamica milanese e molte altre personalità. Un minuto di silenzio e commovente ricordo da parte di tutti i partecipanti del Cardinale Martini, grande amico e fine conoscitore del mondo ebraico. Rav Laras, da lunghi anni suo personale amico, ha ricordato la tempra morale e la costante fiducia nella forza della parola e del dialogo del Cardinale che nel suo lungo sacerdozio ha sempre invitato a superare stereotipi e luoghi comuni e ad amare Israele "con cuore aperto". Ogni relatore nel suo intervento ha sviluppato una specifica sfacettatura dell'umorismo, dall'atteggiamento della tradizione ebraica in proposito come ha fatto il Rabbino Arbib, alla dimensione etica sempre inseparabile come ha sottolineato Haim Baharier, dall'analisi di molti fumetti nell'intervento "Dall'umorismo Yiddish a Omer dei Simson" di Andrea Grilli all'umorismo ebraico nel cinema.
In tempi difficili il Signor Abramovitch e il Signor Schlomovitch decidono di emigrare dalla Russia ed iniziare una nuova attività in Francia dove forse la vita sarà più facile; per non destar sospetti e confondersi nella massa cambieranno anche il cognome, sarà Dupont. Il primo cliente telefona e chiede di parlare con Dupont. Con quale Dupont desidera comunicare-domanda la segretaria- Abramovitch o Schlomovitch?
Sembra proprio che l'umorismo sia un antidoto straordinario contro molte malattie e prima fra tutte forse la superbia, perché senza gli occhiali deformanti dell'ironia si rischia di prendere tutto troppo sul serio, di mettersi al centro del mondo con conseguente pericolosissimo delirio di onnipotenza. E questa raccomandazione fa senz'altro bene alla composita galassia del mondo  ebraico, ma anche a tutti gli altri. ".....per il popolo di Israele ridere non è un verbo transitivo, ma riflessivo: non si ride mai dell'altro, si ride sempre di sé....ricorda Stefano Jesurum sul Corriere del 31 agosto.