lunedì 29 aprile 2013

il monarca caduto

Lasciamo la meravigliosa strada costiera e l'imponente castello Hearst dal numero di camere infinito e via per il Parco Nazionale Yosemite che occupa una parte della Sierra Nevada, la catena montuosa che si estende lungo la parte orientale della California. Montagne considerate inizialmente solo un ostacolo da oltrepassare finché  con la scoperta delle sue risorse minerarie non sono diventate una calamita, "accalappia-pionieri".

Finito lo sfruttamento minerario, oggi la Sierra è nota soprattutto per le sue opportunità naturalistiche e sportive, offre terre incontaminate e protette grazie ai numerosi parchi statali e federali, montagne da scalare, foreste a perdita d'occhio, gole profonde, cascate, più a nord il lago Tahoe e i resti di un recente passato vulcanico. Via via che ci allontaniamo dalla costa e dall'oceano sfilano prima estensioni infinite coltivate a vite, mica per niente è famoso il vino della California, poi progressivamente il terreno si fa sempre più brullo.

All'ingresso del parco l'incontro reale e non fumettistico della prima "ranger" con l'imprescindibile cappello in testa; la parola "ranger" mi appare ricca di fascino perché evoca certe letture giovanili  e mi viene subito in mente Tex Willer e Blek Macigno con l'eccentrico Professor  Occultis.

Al  Yosemite Wiev Lodge proprio sul fiume,  adoro il suono dell'acqua che scorre, con quella invidiatissima semplice praticità americana, non abbiamo singole stanze ma un unico grande appartamento prenotato da Jere, i letti sono king size e ci stiamo tutti e nove sistemati qua e là, più problematici i soli due bagni, ma insomma ci si arrangia. Mi colpisce  l'intensa programmazione di tutte le varie attività possibili nel parco trovata appesa nella hall, ma in fondo è comprensibile, Yosemite Park è visitato da oltre 4 milioni di turisti all'anno.

Se la storia geologica di Yosemite è vecchia di 500 milioni di anni, il granito (se ne contano 16 tipi diversi) che caratterizza quest'area era originariamente magma sotterraneo formatosi fra 200 e 50 milioni di anni fa, spuntato in superficie a seguito della collisione fra due placche tettoniche continentali. I corsi dei fiumi divenuti più ripidi hanno inciso la roccia granitica e formato delle gole e durante l'era glaciale i ghiacciai hanno iniziato a scorrere lungo il corso dei fiumi scavando ampie valli.  Ne è risultato il paesaggio straordinario e articolato  che vediamo oggi sapendo che agenti atmosferici ed erosione contribuiscono comunque sempre a modificare morfologicamente il Parco.
Dopo lo Yellowstone National Park istituito come primo parco americano nonché mondiale nel 1872, gli scritti del naturalista John Muir e le lotte civili contro lo sfruttamento minerario e la ferrovia che avrebbe dovuto passare per quest'area sono stati decisivi per convincere il Congresso americano a preservare questo territorio vergine e a farne nel 1890 il secondo parco nazionale. Comprensibilmente, vista la maestosità e la bellezza dell'area, gli americani nutrono un forte sentimento di orgoglio e appartenenza nei confronti delle loro aree protette.





Gli indiani di lingua Miwok, fra cui gli Ahwahneeche, che vivevano nella Sierra Nevada da sempre, la loro è una storia vecchia  di almeno 4000 anni, furono drammaticamente costretti a lasciare Yosemite ai pionieri americani e europei nel 1851, si era in pieno gold rush. Avevano dovuto abbandonare tutto: le loro dimore, la terra dei loro avi, le cascate viste come dimore di spiriti pieni di potere, le loro ancestrali abitudini, come per esempio la  pratica di bruciare regolarmente i boschi, consuetudine che aveva contribuito all'accessibilità di quelle valli agli ultimi arrivati, i prepotenti "visi pallidi". Un museo nel Yosemite Village offre ricca documentazione sulla loro storia e le loro tormentatissime peripezie. Durante tutto il nostro viaggio nel sud-est degli States, un tempo sconfinate terre d'elezione degli indiani d'America, avremo più volte occasione di leggere in vari luoghi del terribile genocidio di cui sono stati vittime. A Yosemite Park sta scritto che nel 1910 più del 90% degli abitanti originari dell'area era morto o risultava disperso. 

E poi l'incontro  con il "Fallen Monarch" e ho trovato stupendo questo appellativo. Il monarca caduto non è un re in carne ed ossa che ha perduto la corona, ma una sequoia gigante che ha perso la sua sfida con il cielo ed eccola lunga distesa per terra che sembra non finire mai. 

A Yosemite Park ci sono tre boschi di sequoie giganti, certe hanno più di 3000 anni. Per associazione ho pensato a quegli immensi "ficus strangolatore" osservati in Cambogia che come avide mantidi religiose si sono divorate con le loro radici Angkor, la gloriosa e stupefacente testimonianza khmer. 

Niente a che vedere, le radici delle sequoie giganti non sono fameliche, anzi, per nulla profonde, non più di due metri, si espandono verso la superficie per captare l'acqua. La sequoia gigante è un albero maestoso che si erge fieramente solitario. Con i suoi 90-95 metri di altezza, questa sequoia della Sierra non è il più vecchio e alto degli organismi viventi, la specie di "Sequoia sempervirens"   raggiunge i 115 metri e non ha neanche il più grande diametro di base, un massimo di "soli 12 metri", ma in volume totale è il più grande organismo vivente conosciuto. E' l'alta concentrazione di acido tannico che dà la colorazione rossa al tronco e che impedisce la crescita di funghi e batteri responsabili  della decomposizione di un albero caduto. La sequoia gigante no, è inattaccabile, da viva sfida fieramente il cielo e da morta rimane per secoli e secoli  integra, sdraiata a terra a ricordare il suo passato splendore.    

domenica 21 aprile 2013

Highway One: american Amalfi

Appuntamento mattutino in un quartiere residenziale di San Francisco per passare a prendere Cheryl e Jere ospiti presso degli amici. Quartiere di ville e villette colorate in legno, proprio l'immagine classica e forse più rappresentativa della città.

Bel giardino, bella casa, tanta luce, ma soprattutto una quantità indicibile di gatti sovrani indiscussi dei luoghi; mi è venuto in mente che ogni tanto si legge sui giornali di qualcuno che in America ha lasciato tutto in eredità ai suoi felini e ho intuito come in fondo sia possibile, semplici apprendiste le gattofile di casa nostra, da Susan è un'altra cosa, hanno persino l'acqua corrente, la cosa che mi ha colpito di più; un paradiso per siamesi e soriani, immagino un vero inferno per chi soffre di allergie da peli di gatto.

Nel primo tratto di autostrada in direzione di Big Sur si susseguono vari paesaggi: colline, boschi, pianure coltivate a aglio e carciofi, dune bianche all'altezza di quella Monterey, immortalata dalla prosa di John Steinbeck. E' lo zampino degli spagnoli che nel XVIII° secolo tentarono di colonizzare il territorio e dei preti che li accompagnavano, ma terra d'oro e di santi verrebbe da dire.

Infatti oltre San Francisco fondata nel 1776 come "Mission Dolores" dai religiosi, i nomi di tutte le località sono in odore di santità, San Martin, San Benito, San Miguel, San José, San Bruno, San Juan, San Matteo, San Antonio, San Ignacio, Santa Clara e avanti così, fra le poche eccezioni il cartello stradale di Palo Alto, porta aperta in direzione della modernità con la Nasa, Google, Apple, la Silicon Valley, lungo la strada si intravedono alcuni edifici di questi giganti tecnologici, ma questa è un'altra storia.
Usciti dall'autostrada a Castroville, regno dei carciofi, inforchiamo la Highway One, chiamata, e se lo merita, l'American Amalfi, lunga 145 chilometri e in funzione dal 1938, dove percorso tortuoso, oceano e immense scogliere diventano protagonisti indiscussi del paesaggio superlativo. La cosa strana è che esattamente all'opposto dei nostri lidi, l'alpeggio e la vegetazione rigogliosa continuano fino all'oceano, mentre sarà abbandonando la costa e dirigendosi verso l'interno, che la terra diventerà brulla fino a quasi desertica. Sull'America Amalfi a metà dell'800 i coloni si sono sistemati nelle strette valli boschive parallele alla costa per dedicarsi all'agricoltura e al taglio delle sequoie, solo molto più tardi arriveranno il turismo e le case di villeggiatura.

 
Improvvisamente lo spettacolo di decine di leoni marini mollemente adagiati su una spiaggia a poltrire, magari sono loro le sirene oversize del Pacifico.
Erroneamente credevo che Big Sur, la meta del giorno stabilita dal gran capo Jere fosse il nome di una località, di un borgo, di un paese, ma mi sbagliavo, Big Sur è solo uno dei tratti di questa costa dalla bellezza selvaggia, case di legno, ville, resort alberghieri sparpagliati qua e là e ben nascosti dalla foresta. A Big Sur siamo passati davanti alla Henry Miller Memorial Library che conserva una ricca collezione di manoscritti, lettere, le varie edizioni dei libri dello scrittore. Miller si era trasferito a vivere a Big Sur nel 1940 e ci è rimasto per lunghi anni.

 Francamente mi sarebbe piaciuto metterci il naso nella Library, in tanti abbiamo stupito in gioventù leggendo il Tropico del Cancro (1933) e il Tropico del Capricorno (1938), che trasgressione formidabile accostare questo autore tanto amato dalla beat generation che scriveva in un modo tutto nuovo osando sfidare i valori culturali e morali americani dell'epoca, ma purtroppo era il giorno di chiusura.  Aperto invece e ci aspettava il Big Sur Inn che già nel 1930 offriva ospitalità ai viaggiatori avventurosi, non una costruzione unica ma deliziose baite di legno sparse tra gli alberi che sembrava di essere fra le Dolomiti e meno male che in ogni stanza c'era il caminetto subito acceso.

Sempre sull'American Amalfi e a pochi chilometri di distanza dall'area di Big Sur, sulla Santa Lucia Mountain e davanti al Pacifico,  la tenuta di non so quanti acri e la sontuosa residenza che, ciliegiona sulla torta, la domina: si tratta del Castello Hearst, donato dalla Hearst Corporation alla California. La foto di sinistra dirà poco a molti, ma sono sicura che quella di destra, Orson Welles in Quarto Potere, film pietra miliare della storia del cinema del 1941, parlerà a tutti. Il Citizen Kane Orson Welles, interpretando William Randolph Hearst denuncia spietatamente il potere legato all'informazione mediatica.

George, il padre minatore di Hearst, arricchitosi  a dismisura con la miniera d'oro e d'argento di Comstock Lode in Nevada e lo sfruttamento di altri giacimenti minerali in giro per gli Stati Uniti, compra la tenuta nel 1865. Il figlio, magnate della stampa, affiderà all'architetto Julia Morgan il compito di concepire un "bungalow". 


I lavori dureranno dal 1919 al 1951, solo 32 anni, e  William Randolph Hearst non farà in tempo a vederli ultimati perché strada facendo il "bungalow" sarà composto da una casa padronale, Casa Grande, in stile mediterraneo e tre case annesse (Casa del Mar, Casa del Monte, Casa del Sol denominate così in base alla vista) per gli ospiti per un totale di 56 camere da letto, 61 stanze da bagno, 19 saloni, due biblioteche, la sala da biliardo, un beauty salon e un teatro, più uno zoo privato, campo da tennis, la piscina esterna di Nettuno, con facciata da tempio greco-romana e quella interna che sembra i bagni Geller a Budapest. 
Si potrebbe forse scrivere kitsch ma fa senz'altro più fine definire lo stile generale eclettico partendo dalle torri in stile coloniale spagnolo con arabeschi in ferro battuto e campane belghe ai portici etruschi, dalle piastrelle veneziane incastonate d'oro ai vasi greci sugli scaffali della biblioteca, con riferimenti rinascimentali, barocchi e chi più ne ha più ne metta. Personalmente mi ha fatto più effetto pensare che di lì è passato per anni il gotha di politica, (Franklin Roosevelt e Winston Churchill per esempio), finanza, cultura americana e non solo e soprattutto i divi di Hollywood che ho più amato: Charlie Chaplin, Clark Gable, Cary Grant.