giovedì 24 settembre 2009

Londra, si fa per dire


Un lungo week-end a Londra, così, giusto per dire un riferimento geografico sulla carta, in realtà del Tamigi e di Piccaddilly Circus neanche l'ombra, arrivo e partenza dall'aeroporto di Luton e poi soggiorno a Shenley, una delle tante periferie medio borghesi della capitale. Ma va bene così, l'obbiettivo non era fare del turismo nella City, come tante altre volte in passato, ma rivedere il mio amatissimo cugino Eldad, conoscere finalmente sua figlia Tchelet e vivere per la prima volta in vita mia Rosh Hashanà, il capo d'anno della mia tribù in un ambiente prettamente ebraico e secondo la tradizione (nostalgia forse di riti mai celebrati). Obbiettivo raggiunto. Eldad è israeliano, abita e lavora a Londra da moltissimi anni ed ha sempre vissuto da laico con la moglie Hagar nata e cresciuta in un kibbutz comunista in Galilea. Ma adesso le cose sono cambiate: nella loro vita è entrata Tchelet (vuol dire azzurro in ebraico), una piccola guatemalteca che ha ora due anni, bella, intelligente, simpatica, mangiona e naturalmente viziatissima. Perché Tjelet si senta ebrea deve vivere in un ambiente consono e per essere accolta e riconosciuta in seno alla comunità, legittimo e coerente desiderio dei genitori adottivi, ci vuole l'assenso del tribunale rabbinico (particolarmente severo in Inghilterra, in Israele tutto sarebbe più facile) che vaglia la preparazione dei genitori a dare un'autentica educazione ebraica alla bambina. Morale della favola, la famigliola ha completamente cambiato le sue abitudini, in casa si mangia esclusivamente kosher (le regole alimentari dell'ortodossia): due frigoriferi, due lavelli, due servizi di pentole, bicchieri, posate e piatti per non mescolare gli alimenti di carne con quelli di latte, Eldad va a pregare tutte le mattine alle 6 in sinagoga, Hagar fuori casa si copre sempre la testa col cappello come deve fare una donna sposata ed entrambi prendono individualmente anche lezioni di Torah (il Pentateuco). Una vera rivoluzione per loro e modestamente anche per me che sono andata a trovarli, rischiavo per ignoranza e superficialità dei casini tremendi e chiedevo quale cassetto aprire prima di prendere anche una tazza di caffè o un cucchiaino, e poi ci si meraviglia che gli ebrei siano complicati e spacchino il capello in quattro. Tranne un giro venerdì a Saint Alban, deliziosa cittadina medievale a pochi kilometri, le ore sono passate tra giochi con la piccola, pranzi e cene festive e l'andare in sinagoga, a due kilometri di distanza, a piedi, perché Sabato è il sacro giorno del riposo e la macchina deve restare in garage. Quando mi sono vista camminare per strada con Hagar con la gonna lunga ed il cappello in testa che salutava in ebraico, inglese o yiddish le altre famiglie dirette allo stesso posto, ammetto che mi ha fatto un certo effetto. La comunità ebraica di Shenley (conta circa 600 persone, non tutte però sono iscritte) è molto simpatica ed accogliente, toilette da prima della Scala (d'accordo la festività importante), un defilé di cappelli da far sbiancare la regina Elisabetta, notoria estimatrice. A falde larghe, stretti, alti, bassi, di sbieco, baschi, alla pekos bill, fiocchi, piume, neri, colorati, bicolore, non sapevo cosa guardare per primo. Le funzioni sono alternate da canti, certi veramente molto belli, il rabbino a volte spiegava e faceva dei discorsi (mannaggia al mio pessimo inglese non capivo niente), per fortuna c'erano le delucidazioni di Eldad, per me era veramente tutto nuovo non avendo mai frequentato luoghi di culto. La sinagoga è piccola e allora fuori in giardino erano montate varie tende dove venivano organizzate attività e funzioni più corte a seconda delle fasce di età dei bambini. Per un pò mi sono infilata con Tchelet fra i più piccoli, è meno serio e più divertente. Si cantano molte canzoni in inglese e con qua e là parole ebraiche tipo
Dip the apple in the Honey
Make a Bracha loud and clear
L'Shana Tovah U' Metuka
Have a happy sweet New Year

(sulla musica di My darling Clementine)
oppure
Apples, apples, apples, honey, honey, honey
They're so yummy in my tummy
con la musica di Macarena
Viene infatti offerta una fetta di mela intinta nel miele perché l'anno che verrà sia dolce. Molto triste constatare che come in tutti gli altri luoghi del mondo, all'esterno della sinagoga sia organizzato anche qui un servizio di guardia (anche Eldad fa un turno), il rischio attentati è sempre dietro l'angolo. Bellissima invece l'atmosfera comunitaria che si respira, tutti si conoscono e si riconoscono nel loro essere riuniti là. Rifletto, da cane sciolto quale sono sempre stata, non ho mai partecipato ad alcuna collettività e non conosco la gioia del ritrovarsi, anche per i miei cugini è un'esperienza recente e ne sono felici. Domenica, dopo la funzione in sinagoga siamo invitati a pranzo da amici sudafricani, ma ci sono anche americani, israeliani, inglesi ed una coppia della Rhodesia, insomma il solito pot-pourri ebraico. Un casino tremendo, quantità di cibo pantagrueliche (in Israele si usa così alla american style), dico good luck ad una giovane signora con la pancia a punta che mi sembra incinta, scoprirò in seguito che è solo grassa, c'è persino il cane Max, un monello barboncino bianco che tenta di salire sui tavoli per fare self-service con gli avanzi e qualche volta ci riesce pure. Pranzo simpatico ma totalmente demenziale, sembrava un film di Groucho Max, forse però mi può servire da training per il mio prossimo viaggio in Israele ad ottobre.



Giustamente Tchelet mi ha fregato il posto, la cameretta ora spetta a lei, io piazzo le stanche membra in sala in una branda pieghevole da campeggio, quando l'ho vista mi è venuto un colpo, invece ci ho dormito benissimo, Urrahhh, sono ancora giovane. Ammiro Hagar ed Eldad perché non è facile assumere una scelta così impegnativa; mi rendo conto "dal vivo" che vivere secondo la Torah coinvolge veramente la vita quotidiana e richiede sacrifici e rinunce, ma cosa non si fa per una figlia tanto desiderata e per salvaguardare e trasmettere l'identità in cui si crede. Mi sono messa a raccontare questi giorni londinesi perché sono bloccata per 5 ore all'aeroporto e sono incazzatissima con Easy-Jet , dunque sbollo i fumi dell'ira…. scrivendo seduta ad una panchina e meno male che non piove.

sabato 19 settembre 2009

Italia: Ortisei - Grado - Trieste

La donna è mobile, qual piuma al vento….
Questa forse la pensata dell'assolato agosto 2009, la leggerezza dell'ubiquità sperimentata ad Ortisei, Grado, Trieste. Nonostante gli …anta incombenti e le rughe everywhere, si affaccia all'orizzonte una nuova prospettiva di adolescenza, tardiva certo, ma pur sempre godibile. L'agenda è vuota, fascinosa possibilità delle pagine bianche, non c'è l'imprerogabilità del ritorno a casa di fine estate, il lavoro che detta ritmi e scadenze, la routine che macina; la casa che conta è dentro e te la puoi portare in giro, lì non si accumula polvere e sporco, niente mestieri da fare. Già, più nessuno ti aspetta, finalmente realizzi che non sei indispensabile, puoi bigiare e senza giustificazioni. Obblighi, doveri, presenze che hanno scandito e condizionato la tua vita si sono dissolti regalandoti la consapevolezza di una solitudine profonda, ma anche l'intuizione che sei una foglia libera e leggera, puoi volare, anzi, stai già volando. Faticosissimo percorso, prima alla ricerca della libertà, poi al come gestirla. Se le nostre costruzioni non sono in cemento armato, ma di friabile argilla, se tutto è precario, fragilissimo filo dai risvolti insondabili, sei responsabile solo di te, del tuo giardino interiore, cerca allora di farlo bello per favore. Intendeva questo Milan Kundera quando parlava dell'insostenibile leggerezza dell'essere?

Ortisei e la contessa Bice
- Buon dì, contessa Bice, di vederla son felice-.
Grazie Franca di questo buongiorno mattutino nei 18 giorni trascorsi insieme; come si fa a non iniziare sorridendo la giornata con un saluto del genere? Ad Ortisei, in Val Gardena, nella splendida ed ospitale casa di Gibri siamo in sette donne (Marina, Gibri, Franca, Liliana, Maria Rosa, Patrizia e la sottoscritta), pseudo ragazzine diciamo così, tutte rigorosamente single, tutte, of course, simpatiche. Quando uscendo di casa verso l'alba delle 11 si va a prendere il secondo caffè della mattina al bar dell'hotel Adler sembriamo una scomposta armata brancaleone e difatti ne ordiniamo sette diversi, dall'espresso normale, al marocchino, al marocchino deca, lungo, corto, corretto al gin-seng, alla faccia dell'omogenizzazione delle masse. Siamo tutte toste, ma non abbiamo litigato mai, nemmeno un momento di tensione, sarà che c'è chi cucina e chi mangia, chi scarpina per le montagne e chi legge impigrendosi al sole, chi si spalma di creme per ore e chi chiede se può dare una mano quando è evidente che già tutto è stato fatto, per non parlare dei successi del secolo scorso cantati a squarcia gola sul filo della memoria e delle precarie corde vocali; insomma, una grande libertà. Non so come, forse è questione di età, solidarietà femminile o rispetto, ma la convivenza ha magicamente funzionato ed è stata molto divertente. Dalle amiche ho anche ricevuto piccole perle di saggezza, tipo: " la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede bene", oppure " nà lavada, nà sùgada, la par nanca aduperada" per finire con la "legge dell'agnello" che spiegherò solo a voce a chi me ne farà espressa richiesta. Abbiamo anche un cane, pure lei rigorosamente femmina, la mascotte di tutte, la dolcissima Viola. La sera a volte si aggiungono le amiche locali di Gibri, vale a dire Greti (enciclopedia ambulante e memoria storica della valle, figlia dello scultore gardenese Vallazza, stupendi i suoi totem di legno visti nell' atelier) e Michelle, (bellissima neozelandese finita per amore fra le Dolomiti, proprietaria dell'Hotel Engel con piscina e spa super di cui abbiamo abbondantemente approfittato). A proposito, grazie ancora Michelle! Decisamente siamo in troppe, finite le solite ciacole demenziali postprandiali, ci tocca fare due tavoli di burraco. Dopo 30 anni di solo mare riscopro la vertigine delle altezze, la sensazione sublime della seggiovia sospesa nel vuoto con vastità silenziose e dai mille verdi tutt'intorno, il piacere di distendersi su un prato ed assaporare la bellezza che ti circonda quando hai conquistato le vette dopo una scarpinata soft per le amiche sportive, bestiale per me. Siamo andate all'Alpe di Siusi, al Rasciesa, al Gran Fermeda, al Seceda, imponenti sullo sfondo in technicolor il gruppo del Sella, il Sassolungo, il Sasso Piatto, il Catinaccio, lo Sciliar. Ogni montagna ha la sua personalità, va osservata, scoperta, capita, umilmente affrontata. Ammiro ed invidio il mio amico Riccardo, scalatore infaticabile. Lui le montagne le conosce tutte, da sempre le percorre in lungo ed in largo e riconosce i loro profili come se fossero delle vecchie amiche da frequentare con passione e precauzione, proprio come le donne. Confesso infine che la nostra meta più frequente è stata la Val D'Anna, passeggiata modesta con ristorante sublime come premio, un kaiserschmarr favoloso come in gioventù nelle vacanze a Badgastein con i miei genitori. L'Austria del resto qui è proprio dietro l'angolo, e lo si sente, si parla il ladino o l'italiano con accento tedesco, gerani e petunie, ordine e pulizia regnano sovrani, uscendo non abbiamo mai chiuso a chiave la porta di casa. Poi il gruppo si sfalda, chi ha la mamma malata che aspetta a casa, chi il lavoro, chi altri progetti e chi, come Liliana Patrizia e me Grado, come tappa successiva. Grazie monti, grazie Gibri, grazie tutte, à la prochaine come dicono i francesi.
Ps: una sera sul Corriere ho letto una notizia sfizziosa: pare che nel 2003, nutrizionisti, chef, cultori di slow-food abbiano inviato una petizione al Papa chiedendogli di depennare il peccato di gola.

Grado ed i calamari da passeggio
Conoscevo la pizza da asporto, si aggiungono ora i calamari da passeggio; non male, nello struscio serale (qui si dice fare le vasche) per le stradine del vecchio borgo marino abbiamo almeno dei compagni, peccato che siano fritti. Grado era un'isola, poi collegata alla terraferma, ma come tutti i posti "estremi" ha fascino; il canale costeggiato di variopinte dimore e tutto gonfio di pescherecci che si inoltra nel porticciolo, vecchie ville déco di inizio 900, le casette dei pescatori, la chiesa romanica, la passeggiata lungo la diga, Biagio Marin che la cantava e decantava come solo i poeti sanno fare. Per arrivarci si passa tra l'altro da Strassoldo, antico borgo medioevale ed Aquileia, talmente bella che bisogna andarci e non sentirsela raccontare, ma soprattutto si attraversa la laguna, sublime, con colori magici a tutte le ore del giorno e con qualunque tempo. Parlo di colori magici perché incerti e rarefatti, una nebbiolina irreale frutto di alchimie e pressioni atmosferiche che non conosco circonda barene (lembi di terra coperti da bassa vegetazione), tapi (larghi affioramenti di poltiglia chiusi circolarmente da canne palustri) e cason, le case- capanna dove in grande isolamento vivevano e lavoravano un tempo i pescatori. Anche Pier Paolo Pasolini amante di questi luoghi aveva un cason a "Mota Safon", un isolotto vicino a Porto Buso e ci ha girato gli esterni del film Medea con nientepopodimeno che Maria Callas. Con Gastone e Liliana un pomeriggio ci siamo imbarcate sul Cristina per una superba gita in laguna: è un capriccioso intreccio di canali, meandri e specchi d'acqua disegnati dalle correnti tra barene e minuscoli isolotti. Venature d'acqua, sabbie e canneti contrastano con la linearità dell'orizzonte, qua e là i tetti di paglia dei casoni, chiusi nelle nicchie di alberi, lasciano intuire la presenza dell'uomo, diradata ma costante. In laguna i casoni sono un ottantina, quasi tutti in concessione a pescatori gradesi; beni preziosi che custodiscono memorie antiche e frammenti di vita sul mare. Una vera meraviglia! Siamo nella vecchia casa estiva di famiglia di Gastone, un po' malandata e fané come si addice ai posti amati da sempre ed in fondo trascurati. La spiaggiona di sabbia è proprio fuori dalla porta, ci andiamo in costume e pareo; sono abituata al mare della Liguria, subito profondo, e non mi capacito che dopo aver camminato per venti minuti e nuotato altrettanto, l'acqua mi arrivi ancora alle ginocchia. Verso le due ci prendiamo un gelato sul baracchino in spiaggia, la musica va a manetta, le fanciulle esibiscono bikini e corpi da capogiro, c'è sempre qualche bébé che frigna, atmosfera rétro da famiglia Brambilla in vacanza negli anni 50, col cuore e la mente noi ci sentiamo delle adolescenti e ci incazziamo, incredule, per l'età che abbiamo. Le giornate scorrono serene e pigre, il burraco a tre è il più divertente, venerdì andiamo alla stazione di Cervignano a prendere Valeria, la vulcanica e solare figlia di Liliana che vivacizza i nostri ultimi giorni gradesi raccontandoci in diretta del suo soggiorno in Argentina e delle sue frequentazioni con le mamme di plaza de Mayo, un altro giorno passa di lì Thea che ci trascina tutte e quattro in gita a Trieste; le sere sono dedicate alla scoperta di agroturismi fuori porta (notevole quello di San Gallo) e ristorantini sfizziosi, che goduria i gnocchi di susine di viennese memoria. Dimenticavo: un giorno dò scandalo perchè immemore di non essere a Nizza nel mio buen retiro segreto giro nuda in giardino, che non è segreto per niente, difatti la vicina, appollaiata sul tetto, smette di stendere i panni e si guarda lo spettacolo; scusa Gastone, lo so che hai una reputazione da difendere!

Tra bora e borin flash triestini
Un lunedì mattina di fine agosto, dopo baci, abbracci, addii per niente strazianti, vengo mollata a Cervignano, raggiungerò in treno Thea a Trieste per un inaspettato prolungamento di vacanze. E' la seconda volta che vengo non di passaggio in questa città; la prima, sempre ospite dell'efficientissimo monolocale di Thea con vista tetti e mare, l'incontro non era stato dei più felici. Trieste mi era sembrata molto austera, fredda e triste, una bora tremenda con aggiunta di grandinata, una caduta rovinosa al castello Miramar in fuga da un cigno incazzato, di che scappare a gambe levate. Ma ha ragione il poeta Umberto Saba quando scrive che Trieste ha "una sua scontrosa grazia", ha ragione anche Thea quando più prosaicamente sostiene che Trieste non è una puttana che si concede così, sic et simpliciter, bisogna scoprirla. La bora a dire il vero c'è stata anche questa volta (di lei si dice che nasce a Senj, si sposa a Fiume e muore a Trieste) e pure il fratellino minore Borin (vento più leggero), ma conferiva al mare colori arrabbiati belli da mozzare il fiato, e poi era estate e i giorni precedenti un sole caldissimo con un cielo terso strepitoso e le strade erano brulicanti di vita. Insomma, con Trieste ho fatto pace alla grande, anzi, ne sono diventata un'estimatrice .
Glossario di sopravvivenza:
gocciato = un espresso con una sola goccia di latte
un capo = caffè macchiato
un capo deca in b = un macchiato decaffeinato in bicchiere (il mio preferito, sembra il codice di un agente segreto)

Barcola è il più incredibile lungomare che abbia visto in vita mia. La conformazione è assolutamente normale, una grande striscia di cemento lunga circa tre kilometri e larga una decina di metri che da una parte costeggia il mare e dall'altra la strada con le macchine che sfrecciano, qualche chiosco bar qua e là. Quello che non è "normale" è l'uso che ne fanno i triestini, che l'adoperano come una vera e propria spiaggia. Tutti rigorosamente in costume da bagno, lettini portati da casa, chi legge, chi prende il sole, chi gioca a carte, chi passeggia chiacchierando su e giù per la battigia di cemento come se fosse su una spiaggia di sabbia bianca alle Maldive. Qualche anno fa il comune ha dovuto piantare una siepe di oleandri che funge da separé dopo gli innumerevoli tamponamenti avvenuti; te credo, quale automobilista resiste a una tetta superfiga supercazzola spuntata all'improvviso? Dopo due giorni ho già le mie abitudini: prendo al mattino presto l'autobus 36, (Thea dorme come un ghiro fino a tardi) percorro a piedi vestita come pochissimi altri tutta Barcola, mi bevo un capo deca in b, osservo lo spettacolo e me la rido immaginandomi la promenade des Anglais in bikini, passo davanti al cosiddetto caffè della menopausa (colpa dell'età degli astanti), origlio conversazioni del tipo :
- fino a ottobre stemo qua, dopo andemo ai topolini che xè più riparà-
(i topolini sono delle piazzole semirotonde lungo Barcola) e raggiungo infine i bagni privati con lettino sugli scogli e sublime nuotata in alto mare a poche decine di metri dal castello Miramar. Decisamente questa atmosfera godereccia e decontratta dei triestini mi piace tantissimo.
Globalizzazione fa rima con spersonalizzazione. Milioni di volti anonimi, la nostra modernità mi sembra solcata da sterminate masse che si muovono in tutte le direzioni, ma è una molteplicità indefinibile e indefinita, in tanti uffici si appiccicano sulla giacca la targhetta col nome per ricordarsi e ricordarci che sono delle persone. Nel nostro strano mondo, per i pesci succede giusto il contrario, si personalizzano sempre di più. L'ho visto in pescheria a Trieste e probabilmente è così in tutta Italia: ogni pesce ha la targhetta e si presenta, orata pescata in zona ittica Fao 37.1, branzino pescato in Istria B7, sgombri di Barcola B2. Avanti di questo passo fra qualche anno sul piatto ci ritroveremo la coda di rospo Celestino e la vongola Camilla e allora voglio vedere chi ha il coraggio di aprire la bocca e masticare.
La città vecia è bellissima. Quartiere sgarrupato e probabilmente malfamato un tempo, ora ricuperato e pieno di vita. Piazza Hortis, strade e stradine, piazza Cavana che offre la serata Cavanatango. C'è un'orchestra argentina che suona, la piazza è gremita, le coppie si lanciano allacciate nei vortici del bandoneon, i turisti vestiti casual, le signore triestine super eleganti in abiti lunghi e tacchi sensuali. Bellissimo da vedere, ma ballare il tango deve essere una faticata, hanno tutti i volti tesi ed attenti per non sbagliare i passi.
Ho letto il bel libro di Mauro Covachich "Trieste sottosopra" ed ho seguito i suoi consigli. Per esempio siamo andate allo storico Caffe' San Marco, da sempre privilegiato luogo d'incontro dell'intellighentzia cittadina, da Saba a Svevo a Joyce a Tomizza, Claudio Magris ora; offre un'incredibile lista di caffe'. Abbiamo anche percorso fino in fondo il molo Audace, da cui si gode della splendida vista soprattutto alla sera di piazza Unita' d'Italia tutta illuminata (la piu' grande piazza d'Europa sul mare). C'era la bora, per fortuna non sono una piuma e non sono volata via. Il molo si chiama cosi' in ricordo della prima nave, l'Audace appunto, col vessillo italiano approdata a Trieste nel 1918. Covacich non parla di un altro posto secondo me fantastico e cioe' la libreria antiquaria di Umberto Saba, rimasta come un tempo, in via San Niccolo'. Un casino di libri inverosimile e tanta polvere, mi ha ricordato l'atmosfera di Shakespeare & Co a Parigi sul quai vicino a Notre Dame.
Dal molo di piazza Unita' d'Italia si puo' prendere il traghetto ed in 20 minuti si arriva a Muggia, antico e minuscolo borgo marino proprio di fronte alla citta'. Una delizia le stradine tortuose ed il porticciolo, mistico silenzio alla chiesa di San Francesco, unico esempio di architettura quattrocentesca di ispirazione francescana sul territorio di Trieste.
- a Trieste vi odiate ancora cosi' tanto? - pare abbia chiesto un giorno Eugenio Montale ad Italo Svevo. Questa domanda semplice e brutale mi pare sintetizzi meglio di un manuale la tragedia storico-geografica-economico-sociale vissuta da questa citta', vittima della dissoluzione dell'impero austro-ungarico e della conseguente frantumazione del suo retroterra. Italiani, dalmati, istriani, sloveni, serbi, croati, austriaci, tedeschi, uno straordinario melting-pot umano ritrovatosi a trasformare la pacifica convivenza in scontro, con la difficolta' di conciliare la propria complessa identita' culturale con una nuova geografia dei luoghi, sezionati a tavolino dai giochi della politica del XXesimo secolo. Se il prezzo di vivere fra contraddizioni e lacerazioni in una citta' di frontiera puo' essere altissimo, Trieste sembra proprio averlo pagato.
La cosa piu' triste di Trieste e' il porto. E' un porto totalmente morto. Al largo si vedono al massimo due o tre petroliere immobili, ma il movimento, i cantieri aperti, l'andarivieni, tutto cio' che esprime vita e lavoro, e' drammaticamente silente. Trieste era il cuore sul mare di un grande impero, per l'Italia sembra aver rappresentato solo un'estrema frontiera, geograficamente certo meno interessante dei porti di Mestre o Genova, decisamente fuori daille grandi rotte internazionali. Sul Piccolo dei primi giorni di settembre leggevo che si prepara un inverno pressoche' senza pescherecci triestini in acqua. I proprietari di 20 delle 80 barche che compongono la gia' ridotta flotta locale, hanno richiesto di rottamarle per ottenere il "premio di arresto definitivo" garantito in cambio della cessazione d'attivita' dallo Stato e dall'Unione Europea, impegnate nella politica di riduzione delle flotte europee di pesca. A Trieste mangeranno pesce pescato in Francia, Spagna, o nord Africa, che tristezza!
Non ero mai stata a visitare un campo di concentramento, non me la sono mai sentita, ci sono morti i miei nonni materni e certe storie terribili credo di averle bevute col latte. A Trieste, per la prima volta, sono andata alla Risiera di San Sabba e sono contenta di averlo fatto, ringrazio Thea di avermi accompagnata. La Risiera e' nata nel 1913 come fabbrica per la pilatura del riso, poi ci hanno bruciato le persone. Con i nazisti e' stata inizialmente prigione per i soldati italiani catturati dopo l'8 settembre, poi campo di detenzione per lo smistamento di ebrei da deportare in Germania e Polonia e deposito di beni razziati, infine vero e proprio campo di sterminio di partigiani e detenuti politici triestini, friulani, istriani, sloveni e croati, militari, alcuni dei migliori quadri della Resistenza e dell'antifascismo. La Risiera di San Sabba non ha certo avuto la capacita' produttiva di morte di Auschwitz, ma abbastanza per essere l'unico campo di sterminio in Italia. Devono esserci transitate circa 300.000 persone, tra le 4000 e 5000 sono andate in fumo e drammaticamente cito solo dei freddi numeri. L'edificio del forno crematorio e la connessa ciminiera sono stati distrutti con la dinamite dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini, secondo la prassi seguita in altri campi al momento del loro abbandono. Le mura alte undici metri che perimetrano il contesto tutt'intorno, configurano un ingresso inquietante e parlano......
-"la Risiera semidistrutta dai nazisti in fuga era squallida come l'intorno periferico: pensai allora che questo squallore totale potesse assurgere a simbolo e monumentalizzarsi. Mi sono proposto di togliere e restituire, piu' che di aggiungere"- scrive l'architetto Boico, responsabile dell'indovinatissimo progetto.

Sabato e domenica 5 e 6 settembre nel quadro delle giornate della cultura ebraica, conferenze e concerti nella piazza davanti alla Sinagoga: presenti esponenti religiosi e laici di tutte le confessioni, cantanti di prestigio di tutte le comunita'. Il tema all'ordine del giorno e' "L'accoglienza" . Come terminare meglio questi flash triestini, se non con questa parola?
Nel viaggio di ritorno ci fermiamo a pranzo in campagna, a Negrar , in Valpolicella, uscita autostrada Verona dagli amici Carlo Alberto e Donatella che producono uno squisito Amarone e ci offrono uno squisito pranzetto. Mi presentano Oscar. Oscar non e' nu' bello guaglione, ma un robot. Ha una casetta, silenzioso ed instancabile va sul prato, taglia l'erba, lavora per ore e quando si sta per scaricare torna da solo nella sua dimora per rimettersi elettricamente in forma. Oscar, mi piaci!!!!