domenica 31 ottobre 2010

Tel Aviv: incontri di strada

Nulla cambia sotto il sole, in giro per Tel Aviv c'è la frenesia di sempre, l'abituale brulicante bordello, la vita scorre a mille allora, more solitu s'incrociano le persone e le lingue più disparate. E' venerdì, giorno di grande spesa, al tramonto inizierà il sabato e una coltre di calma e silenzio calerà sulla città,  la tavola di famiglia dovrà essere ricca ed imbandita, perciò impossibile non fiondarsi subito al mercato Hakarmel, debordante di melograni rossi come il fuoco e in Nahalat Binyamin dove artigiani, artisti, designer e varia umanità espongono su colorate bancarelle le ultime creazioni e mercanzie.

Un operaio stanco, a fine lavoro, osserva dalla sua baracca il panorama che ha di fronte: montagne di cassette vuote

Un massaggino è rilassante e non fa mai male male
tanto più che accanto tre vecchi pensionati suonano dei valzer di Strauss come a Vienna.

Dei minuscoli visi di ceramica osservano il passaggio, mentre la signora pensa: visto che non sto vendendo nessuna collana, mi faccio una patata bollita ripiena.

Gaia, stupenda come il sole, osserva tutto e non si lascia scappare niente, tanto è comodamente adagiata in un marsupio sul petto del suo papà. La mamma è americana, ma da piccola ha vissuto in Italia, a Firenze, adora l'Italia e quel periodo della sua vita, ecco il perchè del nome italiano che ha dato alla sua bambina. Dettaglio di classe da non trascurare, riminiscenza forse dell'italian style, madre e figlia portano lo stesso berretto.


                                        i gemelli invece preferiscono stare a pancia in giù e culo al vento, ma hanno ragione perché così si godono meglio lo spettacolo del teatro di strada.
E per finire in bellezza le prime news da Tel Aviv non poteva naturalmente mancare una sposa, corpetto di metallo e perle, modello "si salvi chi può".

mercoledì 27 ottobre 2010

a proposito di radici

 
Sono ormai tre mesi che non faccio  una valigia, non scherziamo, è ora di spiccare il volo altrimenti le ali si atrofizzano e chi si muove più. A Milano il cielo comincia a diventare grigio, ho tirato fuori cappotto ed ombrello dall'armadio, no, domattina all'alba via, ritorno a Tel Aviv (pare ci siano 35 gradi) per diverse settimane,  in quell'appartamentino dove mi sono trovata così bene l'anno scorso, confortevole e spartano al punto giusto, cinque minuti a piedi a destra e trovi il mare, cinque a sinistra e sei in Diezengoff street, l'arteria principale. Quel mio figlio "perfetto" bocconiano yuppie rampante sarà contento, a lui non piace leggermi quando tento di mettermi a pensare, mi preferisce gambe in spalla in giro per il mondo con le mie note di viaggio. Come al solito in bisaccia tanti progetti: senz'altro ancora ed ancora Gerusalemme, magica, inesauribile riserva di sorprese e poi il nord che non visito da molti anni, Haifa, dove meglio riesce l'integrazione fra palestinesi ed israeliani, San Giovanni d'Acri, città di templari e di crociate, Safed culla nei secoli della mistica ebraica, Cesarea, antico porto romano, restaurata temo fin troppo. Ma l'obbiettivo vero è un altro, quello di non fare la turista, ma tentare di vivere la vita locale, come un vero abitante di Tel Aviv (non so come si chiamino, Telavivim, Telavivesi?) Vorrei prendere lezioni di conversazione perché l'ebraico lo parlo poco e male, vorrei andare in piscina regolarmente per non tornare un otre, il mare temo sia freddino. Così nessuna visita di amiche in programma, perché la compagnia impigrisce, se sei sola lo sforzo di integrazione è maggiore. -Vai a ritrovare le tue radici- mi è stato detto. Urca, negli ultimi tempi non ho fatto altro, ma è un gran casino. Si certo, in Israele ci sono nata, ma a dire il vero le radici le sento anche in Italia, a Milano, dove sono arrivata a solo un anno, nella generosa Sicilia, dove ero persino riuscita a trovare un marito, in Francia dove ho vissuto a lungo, nell'attuale Ucraina terra di mia madre, nella Bulgaria di mio padre, a Vienna dove entrambi hanno vissuto anni felici prima dell'uragano nazista. Ogni luogo trova una sua collocazione nel cuore che per fortuna non è come una torta che col taglio di qualche fetta finisce.Tante, troppe radici, un ingarbugliatissimo intreccio, non basta la circonferenza di una sequoia gigante a contenerle tutte. Ho pensato che forse la cosa migliore è tenersele tutte dentro di se e portarsele in giro, così non hai problemi di trasporto e di nostalgie e soprattutto ti senti a casa dovunque.  
Ciao a tutti, arrivederci a Tel -Aviv.    

lunedì 25 ottobre 2010

tutto alla rovescia

Ecco l'ultima storica immagine del capolavoro filmico Tempi Moderni. Il piccolo grandissimo Chaplin  con la sua Paulette Goddard a braccetto se ne vanno camminando per una lunga strada  senza fine. Dopo tutte le loro avventure tragicamente esilaranti, la pellicola finisce e sembra cominciare la loro vera vita a due, ma siamo ormai fuori dallo schermo, allo spettatore ne  è negata la visione, può solo lavorar di fantasia. "Le bonheur n'a pas d'histoire" diceva Balzac. Ma come, la felicità non ha storia? Ce l'ha eccome una storia, ma è una storia privata, personale, fatta di piccole magie al quotidiano vissute segretamente nell'intimità, non ci puoi costruire sopra un romanzo, tenere il cuore del lettore in sospeso, manca il ritmo e l'incalzare dell'azione, quello spessore drammatico che può far vibrare. Il dolore sarebbe dunque sfruttabile, manipolabile, suscettibile di interesse su larga scala, la felicità solo una vicenda silenziosa e solitaria, da relegare nel top secret personale, credo intendesse dire lo scrittore e aveva ragione, nel nostro mondo la comunicazione è organizzata intorno al dolore, alle disgrazie, alle violenze, alle tragedie, "fanno notizia" "catturano l'attenzione". Il dovere d'informazione lo esige, ma tra i fatti del giorno, non c'è  la sola cronaca nera,  succedono anche cose splendide, ci sono in circolazione anche tanti piccoli eroi del quotidiano, testimonianze di generosità, fedeltà e abnegazione, peccato che la cronaca rosa e celeste e verde a pallini non facciano audience. Capita che le proposte dei media, film, spettacoli, libri, favole finiscano col  "e vissero felici e contenti", ma il seguito te lo devi immaginare da solo, perché lo schermo è vuoto, la pagina  bianca e poi "l'happy end" delude molti, che finale scontato, che banalità, le storie del Mulino Bianco risultano stucchevoli! Aristotele era un acceso fautore del valore catartico della tragedia, ma non potremmo liberarci e purificarci dalle pulsioni nefaste attraverso l'immedesimazione col riso ed il bello? Funziona solo l'orrido? Se due mamme si incontrano al parco si scambiano le informazioni sulle ultime difficoltà, l'angina con 40 di febbre del pupo, la notte passata in bianco per i pianti, gli insuccessi scolastici più tardi, non ci si racconta la gioia sublime del primo sorriso, la tenerezza del bacio della buonanotte, la soddisfazione di vedere il pargolo diventare grande. Quelle, rimangono di solito gelosamente custodite. L'amica ti tiene ore intere al telefono per l'elenco minuzioso di ogni dettaglio delle infelicità del suo cuore, ma se per caso funziona, se ha trovato "quello giusto", bastano poche sintetiche parole, la sua gioia diventa molto più avara di particolari. Risulta insomma che condividere le disgrazie sia uno sport molto più praticato che far partecipi gli altri delle proprie gioie, eppure credo che ce ne sia qualcuna per tutti ogni tanto, parlarne e goderne in compagnia non guasterebbe (non alludo alle cerimonie, costano un patrimonio e non finiscono mai). Mi chiedo perché. Forse per pudore? Come ostentare una felicità se l'orecchio che ti ascolta è magari in difficoltà? Forse per scaramantica prudenza? Se la racconti il momento magico poi si squaglia. Per paura di suscitare invidia? Come per il fisico in palestra potremmo allenarci a godere del bene altrui, proficua ginnastica per il cuore, in fondo è un muscolo anche lui. Mi sembra tutto alla rovescia, le tragedie che diventano così pubbliche, i momenti belli che rimangono così privati. Tutto alla rovescia, film e libri potrebbero incominciare dove di solito finiscono e invece di transennare dallo sguardo morboso della gente i luoghi degli abissi più bui dell'animo umano, grandi curiosità collettive per le finestre assolate, gioie condivise per i successi. Riflessioni "buoniste"? Sicuramente si, ma è una modesta ribellione per non annegare nel guado.     

giovedì 14 ottobre 2010

Davanti allo specchio

Che bello il risveglio di una mattina d'ottobre! Tanto per cominciare, miracolosamente, scendendo giù dal letto non c'è niente che fa male, nemmeno la punta dell'alluce sinistro. Poi come questa eterea creatura di Botero te ne vai davanti allo specchio e ti guardi: sei tu, proprio tu, non un'altra, tu con la tua faccia, il tuo corpo, quei tratti solamente tuoi che ti rendono unica e speciale come ogni creatura al mondo e non vuoi cambiare. Che scoperta, sembrerebbero considerazioni ovvie e banali, ma non è così, come se fosse facile essere sé stessi ed avere la saggezza di non chiedere "specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame"?  Riconoscersi è un'avventura lunga e tortuosa, quell'immagine che lo specchio riflette la si è desiderata per lungo tempo "altra", più grande, più piccola, più magra, più alta, meno lentigginosa, più o meno qualcosa insomma e adesso invece no, non vuoi essere diversa, non un'altra, ma semplicemente quella che sei, ti vai bene così. I chirurghi plastici sono diventati i demiurghi di questo nostro mondo dai valori confusi. Lo sono quando ricostruiscono straordinariamente malformazioni, corpi e tessuti dopo un incidente o una grave malattia invalidante, mi sembrano però dei Doktor Faust che scendono a patti col diavolo quando per soli fini estetici manipolano come plastilina visi, tette, pance, sederi. Io l'ho provato una volta lo choc delle labbra gonfie come un gommone Zodiac, ma non era in seguito a una seduta di botulino, è bastata una puntura di vespa che oltretutto è gratis. D'accordo che una quota di insoddisfazione è fisiologica all'animo umano, ma possibile che a tante, troppe donne non va più bene "come mamma ti ha fatto"? Lo sanno anche le rose che non si può avere tutto, quelle bellissime non profumano mai. In un'intervista televisiva ho sentito la grande Anna Magnani dire: - soprattutto non toccatemi le mie rughe, ci ho messo così tanti anni per averle-.

martedì 12 ottobre 2010

questo pazzo pazzo mondo

La fantasia della realtà supera abbondantemente quella dell'immaginazione; gli scrittori l'hanno sempre saputo e sostenuto e non a caso vi hanno attinto a piene mani. Secondo Stendhal, inutile spaccarsi la testa in cerca di ispirazione, bastava frequentare ospedali e  tribunali, luoghi preziosi per lo studio dell'animo umano, Flaubert per esempio si è ispirato ad un fatto di cronaca per il suo celeberrimo romanzo Mme Bovary, il teatro di Eduardo de Filippo è grande perché assurdamente verosimile quanto la realtà stessa.
Ho ritagliato per anni  trafiletti di quotidiani e riviste, ovunque mi capitava, sul Corriere della Sera c'era per esempio una minuscola rubrica che si chiamava "Mappamondo", ora  scomparsa. Mentre stai leggendo cose terribili, guerre, carestie, cicloni, colpi di stato, terremoti, maremoti, allarmi nucleari, disastri ecologici, beghe politiche da portineria, l'abituale computo dei morti ammazzati e sotto il peso delle tragedie quotidiane ti senti morire un poco anche tu, l'occhio casca a volte su poche righe che asetticamente informano che tre ergastolani sono scappati dal carcere di Rio ballando a ritmo di samba nel vortice del Carnevale, che Frank Sinatra offre ai suoi cani un appartamento privato munito di aria condizionata e di un sofisticatissimo complesso stereofonico, che responsabili dell'effetto serra sulla terra sono anche le flatulenze delle mucche o che in USA un gruppo di ricercatori ha messo a punto per gli obesi uno spray al profumo di pizza in grado di fornire temporaneo sollievo agli affamati senza introdurre nell'organismo le terribili calorie in più. 
Incredibile poi constatare come la lente di ingrandimento su infinitesimali frammenti di realtà riveli eloquenti spaccati sociologici. Non a caso i temi più ricorrenti sono il sesso, le preoccupazioni ecologiche, il cibo, il nostro rapporto con gli  animali e il business dove il mondo anglosassone, USA in testa, sono naturalmente all'avanguardia.
  
Certamente molti ignorano che una fiala di sperma di toro vale un sacco di soldi perché serve all'inseminazione di tantissime mucche, ma un ladro lo sa e la ruba, ne ho la documentazione. Si può vivere benissimo senza queste preziose informazioni, ma sono utili, secondo me, ad allentare un poco la pressione, a farsi una salutare risata, a stupire per  prodezze o nefandezze dell'ingegno umano, a non prendere sempre tutto, sé stessi compreso, troppo sul serio ( provocatoriamente perfetta in questo senso la sintesi di  Woody Allen: Dio è morto, Marx è morto ed anch'io non mi sento tanto bene). Insomma, non solo le analisi profonde sui destini del mondo, colonne di carta stampata di sofisticate disquisizioni, i massimi sistemi, ma l'attenzione anche a quelli minimi.
All'inizio ritagliavo ed annotavo tutto, fonte, giorno mese ed anno, poi ho smesso, quel bipede strano e misterioso che cammina sulla terra cambia modo di vestirsi, balli, ricette di cucina e mezzi di trasporto, ma in fondo rimane sempre lo stesso animale e guardarlo dal buco della serratura offre frammenti che la dicono lunga sulla specie cui appartengo.
In gioventù ho sognato di fare una raccolta ragionata del ricco materiale raccolto, avevo persino già pensato al titolo "Riflessioni semiserie di un terrestre perplesso", progetto non andato in porto come tanti altri, ma ora il blog  mi offre l'occasione di rispolverare quella vecchia idea ed io confesso di essere rimasta lo stesso terrestre curioso e perplesso di allora.
  

lunedì 4 ottobre 2010

girar pagina

  “passa ad altro”, "gira pagina": sono frasi che sento pronunciare spesso e che hanno il potere di mandarmi in bestia. Il fatto è che tutti hanno fretta ed in tutti i sensi. Fretta di fare, fretta di andare, fretta di incominciare, fretta di finire, fretta di capire, fretta di giudicare. Persino la lingua ha fretta: SDF, sans domicile fixe, in Francia li chiamano così i senza fissa dimora, la tragedia della vita di un uomo concentrata in 3 consonanti, emigrato o handicappato sono parole più fortunate, hanno anche le vocali, ma dietro c’è tutto un mondo di difficoltà, di disagio, di storie complesse e variamente sfumate. Certo queste sono le grandi prodezze della comunicazione che nella difficoltà di chiamare cose e persone semplicemente col loro nome, sa trasformare uno spazzino in operatore ecologico, dizione molto più chic, ed un cieco in un "non vedente", peccato che il buio per lui sia sempre lo stesso. Forse meglio non dire e mettersi in ascolto, poche lettere dell’alfabeto e fantasie linguistiche politically correct mi sembrano davvero insufficienti. Una corsa costante “contro” il tempo, ma perché non camminare “con” il tempo? "Passa ad altro" mi sembra implicitamente dire che quello che facevi prima non contava niente, non valeva niente, nemmeno il tempo del dolore, nemmeno quello del sapore della gioia, presto presto tutto finito, digerito, consumato, quasi come una nocciolina americana o una patatina fritta, che rinviano subito a quelle successive. Penso che ci siano tempi e modi da rispettare per girar pagina, per passare ad altro, sono i tempi del cuore, del corpo e della mente, sono i tempi indefinibili interiori di cui ciascuno differentemente abbisogna, poi con la valigia piena della propria storia si potrà finalmente passare ad altro. Senza fretta, evviva la lentezza!