domenica 5 febbraio 2017

Yale, Dura Europos e Frank Pepe

I vari prestigiosi College con  le loro strutture, fondazioni e musei visitati in New England mi hanno grandemente impressionata e ancora di più i tre campus di Yale, Harward e il Mit, le tre istituzioni universitarie più antiche degli States che si integrano completamente con le città che li ospitano, anzi, diventano il cuore pulsante della città stessa. A Yale forse lo stupore è stato più grande perché il primo visto a inizio viaggio e non ero preparata. Edifici che hanno 300 anni di storia affiancati dalla modernità di architetti del calibro di un Louis Kahn che ha curato l'estensione della straordinaria Yale University Art Gallery o di un Eero Saarinen che a Yale ha concepito nel '62 un college che si inserisce perfettamente fra le vecchie pietre. 
Saarinen: Morse and Ezra Stiles Colleges

Originale, insolita e straordinaria la Beinecke Rare Book &Manuscript che ho già fatto vedere in precedenza (http://www.saranathan.it/2016/10/new-haven-e-luniversita-di-yale.html), ma su cui voglio tornare: un cubo senza finestre fuori, dentro torri di vetro che sono nel contempo sculture e mensole per i libri. Fra i tesori ci sono una Bibbia di Gutenberg del 1455, manoscritti originali di Dickens, Benjamin Franklin e Goethe e l'occhio mi è caduto su certi libri antichi dove ho letto Pico della Mirandola e Aristotele, tanto per gradire. All'esterno, in un cortile infossato, si trova una scultura di Isamu Noguchi che con una piramide, un cerchio e un cubo vuole rappresentare simbolicamente il tempo, il sole e il caso. Un complesso davvero molto particolare.
Prima di mostrare qualche tesoro della ricchissima Art Galery di Yale, vorrei presentare il Signor Edward A. Bouchet il cui ritratto ho avuto modo di conoscere nel centro ingressi di Yale. Su un pannello accanto c'era scritto che, attribuitogli a Yale nel 1874, il suo è il primo Ph. D. in fisica ottenuto da un americano di origine africana, nato a New Haven. Molto politically correct questa informazione dell'Università, ma perché esibire il primo dottorato di un uomo di colore? Purtroppo i neri americani ne conoscono bene la ragione. Accanto al Signor Bouchet metto le foto di una scultura di Lipchitz e poi di Maillol, Picasso e Mirò del Museo di Yale, l'arte per fortuna non conosce discriminazioni.
Si, l'Art Galery di Yale è veramente uno strabiliante pozzo di San Patrizio, si passa da Hals e Rubens ai moderni Manet, Picasso, Van Gogh, Magritte, Morandi e Brancusi, ed è solo qualche nome della lunghissima lista in esposizione, da un paesaggio di Marquet a uno non ancora geometrico astratto di Mondrian, dai pittori moderni europei a quelli di scuola americana come Pollock, Motherwell, Andy Warhol, Rothko o Sol LeWitt.
Jackson Pollock: Number 13A: Arabesque 1948
Robert Motherwell: "Elegy to the spanish Republic N. 78"  1962 - Warhol: "Eggs" 1982
Mark Rothko: "Untitled" 1954 - No. 3  1967
E non è tutto, ci sono sezioni dedicate all'arte e al design contemporanei, la sezione africana e quella asiatica con le impronte dei piedi del Buddha provenienti dall'antica Gandhara del IV° secolo e un bellissimo olio zen di Yoshihara Jirò , Americhe pre e post colombiane, una collezione di argenti americani del XVIII° secolo, insomma, collezioni favolose, se non eravamo al Louvre poco ci mancava.
 Ma la sorpresa più grande è stato trovare dei reperti archeologici provenienti da Dura Europos.Dura Europos? Non sapevo proprio niente di niente di questa antichissima città della Mesopotamia, nell'area dell'attuale Siria, fondata nei primi secoli del primo millennio sulla riva destra del fiume Eufrate, scoperta per caso dagli inglesi alla fine della prima guerra mondiale. Non ne conoscevo neanche il nome fino a quando poco tempo fa non mi è capitato di leggere un libro molto molto interessante, "I viaggi di Dio" della giornalista-scrittrice Gaia Servadio (edizioni Feltrinelli). Scrive l'autrice: " Intorno alla fine degli anni venti, si decise di non lasciare in situ le pitture e le statue trovate a Dura Europos;  vennero staccate e trasferite al museo di Damasco, Yale si appropriò di altre. C'erano bassorilievi, papiri, graffiti. Oltre cinquantamila i pezzi che si trovano oggi all'Università di Yale, alcuni nel magnifico museo, la maggior parte no, ma comunque oggetto di studio. Del resto, come si sarebbe potuto lasciare tanto bottino storico in mezzo al deserto? Ancora prima che se ne occupassero i vandali del cosiddetto Califfato islamico, c'era chi rubava e distruggeva......"
Dal sacro al profano.Cultura e bellezze saziano cuore e mente, ma non lo stomaco e la nostra serata a New Haven si è conclusa alla pizzeria di Frank Pepe, pare la migliore, attiva dal 1925 e molto rinomata, "the best pizza". Non è un reperto archeologico ma quasi 100 di attività non sono quisquilie. Onore agli immigranti italiani alla faccia di Donald, buonissima davvero, si poteva scegliere fra small, big e very big e con una very big ce la siamo brillantemente cavata in tre.  



  

mercoledì 1 febbraio 2017

le Versailles di Newport

Con gli ultimi quattro giorni passati a New York il mio viaggio con Magda e Guy che ringrazio di cuore, nel meraviglioso New England dove spero di tornare, è terminato. Ma prima di mettere la parola fine alle note di questo itinerario, vorrei fare un passo indietro e condividere ancora di Newport e della Yale University a New Haven. Luoghi di cui ho già scritto ma in fretta e furia on the road (http://www.saranathan.it/2016/10/newport.html) quando mi mancava il tempo di organizzare il materiale fotografico e di pensarci su con calma. Newport me la ricorderò certamente per le zucche più belle e grandi che abbia mai visto, per le case di legno, per le vele che ondeggiano ormeggiate al porto, per brezze e venti che spirano dall'oceano e si infilano in ogni dove, ma sono le regge della gilded age society su cui mi voglio soffermare oggi e non a caso questo post ha come titolo "le Versailles di Newport".
Rosecliff: 548 Bellevue Avenue
Il viale da percorrere e che giunge fino all'oceano si chiama Bellevue e il nome gli sta a pennello perché da qualunque parti si guardi, merita. Sfilano le Mansions, ovvero le proprietà mirabolanti dei miliardari della "gilded age" americana, quel periodo di grandi speculazioni finanziarie, improvvise ricchezze e immense povertà  tra fine '800 e inizi '900. Mansions divenute per lo più esposizioni museali tutelate dalla "Preservation Society of Newport County", ma credo non tutte, rimangono  delle ville private ancora abitate (sic). 
Ne abbiamo visitate due, le più grandi e sfarzose. Per cominciare The Breakers, il "cottage", si fa per dire, delle vacanze di famiglia. Eccolo qui il suo antico proprietario, Cornelius Vanderbilt II ritratto da Sargent, il maggiore di nove fratelli e il cocco del nonno da cui eredita patrimonio in svariati milioni di dollari e responsabilità. Il nonno è quel primo Cornelius Vanderbilt, un self made man divenuto l'uomo più ricco d'America come magnate di trasporti navali e soprattutto delle ferrovie, sue le Harlem, Hudson and Central New York Railway Lines. Accanto a Cornelius II, un ritratto della moglie, Alice Claypoole Gwynne dipinta nel 1880, anno del suo matrimonio,  dal pittore spagnolo Madrazo y Garreta.
new grand central terminal in New York fatto costruire da Cornelius II
Povero Cornelius II, una faticaccia immane ereditare dal nonno e dal padre tutte quei milioni e tutte quelle responsabilità dirigenziali, difatti leggo che comincia a lavorare a 16 anni e finisce per controllare 49 tratte ferroviarie, però va detto che è anche un grande mecenate e benefattore per molte organizzazioni umanitarie, no profit. Interessante anche la storia di una delle sue figlie, Gertrude, che si sposa con un membro della famiglia Whitney e sarà lei, scultrice, mecenate e collezionista d'arte, a fondare il Whitney Museum.
Spettacolare anche Marble House al 596 di Bellevue avenue, il buen retiro di William Kissam Vanderbilt, fratello di Cornelius II. Lui la sua magione l'ha voluta di ispirazione classica come il piccolo Trianon di Versailles e l'architetto incaricato, Richard Morris Hunt, l'ha accontentato. Più che di William Kissam che alla morte del fratello ha finito per ereditare onori e oneri delle grandi imprese familiari, vorrei parlare di Alva, la sua prima moglie, donna di fortissima personalità e tempra d'acciaio che ha il coraggio  di sfidare le convenzoni dell'epoca nell'alta società americana divorziando dal marito e che diventa paladina della causa delle donne lavoratrici e del diritto al voto di tutte le donne. E' stata Alva Vanderbilt a voler aprire la sua casa al pubblico nel 1909 e nello stesso anno a fondare "the Political Equality League " a New York. 
 
Grande profusione di marmi di tutti i colori, arredamenti su misura che richiamano i tempi di Luigi XIV°, ebanisterie e manufatti dei più illustri e raffinati artigiani e artisti europei proiettano il turista in un'altra epoca di cui sono stati  studiati i minimi dettagli. Mi ha incuriosito il menu esposto del 4 gennaio 1893, un giorno speciale o forse un giorno come un altro, non so. Ok per i funghi su pane tostato o l'insalata indiana, ma chissà com'erano il potage marquise alla tartaruga, gli stomaci di quaglia alla bohémienne o il foie gras alla Lucullo?  Che menù complicato quello dei miliardari!
Non c'entra niente con le mansions e con Bellevue avenue, ma vorrei terminare questo post su Newport con la Touro Synagogue che siamo andati a visitare perché è la più antica sinagoga degli Stati Uniti. In fuga dall'Inquisizione spagnola e portoghese, dopo tortuosi viaggi fra Barbados, Giamaica, Suriname, Curaçao e Olanda, nel 1658 sono approdate a Newport 15 famiglie ebree di origine sefardita. Queste famiglie, per lo più dedite ai commerci internazionali, avrebbero costituito il primo nucleo ebraico, oltre a New York, in America del nord contribuendo anche alla trasformazione della città, da sobborgo agricolo a uno dei porti coloniali più fiorenti dell'epoca. La sinagoga Touro è del 1763 ed è un esempio di architettura georgiana.  All'interno occupa un posto d'onore la lettera che il presidente George Washington ha scritto nel 1790 alla comunità. Porte aperte agli immigranti oltre due secoli fa, e visto i tempi che corrono, sarebbe buona cosa ricordare che andava bene così.