lunedì 28 settembre 2015

Otranto fra antiche mura, cielo e mare


Tranne che alle grandi città non è che abitualmente dedico un intero post ad ogni tappa di un viaggio, questione di non esagerare e poi non sempre vedi luoghi di rilievo o trovi cosa dire; con questa benedetta Puglia infrango le abitudini perché, e mi ripeto una volta ancora, è proprio tutto bello e interessante, mi sembra alla grande che ne valga la pena. Per esempio arrivi a Otranto, non fai in tempo a parcheggiare la macchina e subito, oltre a una luce intensissima e al blu di mare e cielo, ti ritrovi davanti l'imponente Castello Aragonese fatto erigere da Alfonso d'Aragona a fine XVI° secolo e le mura difensive con la Torre Alfonsina. Come si fa a non condividere, a non parlarne?
                                                                   
Un vero gioiello l'antichissima Hydruntum poiché attraversata dal fiume Idro, la città più a est d'Italia, per mille anni il principale porto della nostra penisola verso l'oriente, prima durante l'impero romano, poi sotto la dominazione bizantina e normanna in quanto collegamento tra Venezia, i Balcani e il Levante;  come molte località della zona assapora drammaticamente l'attacco dei turchi nel 1480 che, antesignani non dissimili dell'odierno Isis, trucidarono 800 abitanti locali che si erano rifiutati di convertirsi all'Islam.
In piazza del Duomo, stupendi nella Cattedrale fatta costruire dai Normanni nell'XI° secolo, i mosaici pavimentali opera di un giovane monaco che si chiamava Pantaleone. Tutto un universo composito fatto di sacre scritture, mostri, animali, figure mitologiche, perfino re Artù e Alessandro Magno risaltano magicamente da quelle tessere rimaste intatte al suolo malgrado che all'epoca i turchi abbiano usato la cattedrale come stalla per i loro cavalli, mentre fuori erano intenti a sgozzare gli abitanti.
Accanto alla Cattedrale, un negozio di mosaici e il Palazzo della famiglia nobile Lopez che adesso ospita il Museo Diocesano: sezioni dedicate alla scultura, alla pittura e arredi liturgici, ma anche  frammenti di un mosaico pavimentale risalente al IV-V secolo, come dire che da queste parti il passato è sempre presente.

E per i vicoli, anche a Otranto come in tutti questi borghi pugliesi è un tripudio di profumi, sapori, colori di questa terra generosa; un vociare di turisti in non so quante lingue, tavole di ristoranti e trattorie imbandite a tutte le ore, varietà e ricchezza dell'artigianato locale che sembra non avere bisogno di paccottiglia importata dalla Cina per riempire le sue bancarelle, balconi in ferro battuto e davanzali pieni di poesia. Piante grasse a profusione, fioriscono al sole cactus veri ma anche uno speciale, tutto colorato, fatto di lana, non produrrà fichi d'india, ma lì in un angolo di strada mette proprio allegria. 


lunedì 21 settembre 2015

Lecce e la sindrome di Stendhal

piazza Sant'Oronzo
anfiteatro romano del II secolo in piazza Sant'Oronzo

Diciamocela tutta, in questa nostra favolosa Italia la sindrome di Stendhal, ovvero l'indigestione di bello, non è in agguato solo a Firenze, Venezia o Roma, il trio Lescano per eccellenza delle nostre città d'arte, senza dimenticare "vedi Napoli e poi muori";  hai voglia, basta girare un po' anche solo dietro l'angolo di casa e di posti che fanno perdere la testa ne spuntano a bizzeffe, non andrebbe scordato mai,  accaniti esterofili come siamo e naturalmente mi ci metto dentro anch'io.
  teatro Politeama greco
Porta Napoli

Aiuta certo l'educazione ai sensi, saperne un po' di più ti fa apprezzare meglio quel che mangi, ascolti o vedi, la fruizione del bello, poi, credo si faccia più intensa con gli anni e l'esperienza, questione forse di focalizzare maggiormente scelte e dettagli, nuove curiosità che manca il tempo di coltivare nel correre frenetico della vita attiva . Però una fetta di torta va bene, tre ti fanno venire il mal di pancia e questo giro nel sud Italia fra Basilicata e Puglia è come un'indigestione di bello. Se non avessimo già visitato Martina Franca, Matera, Polignano a mare e tante altre località, una più affascinante dell'altra, se non ci fossimo progressivamente "addomesticati" alla ricchezza del nostro patrimonio, a Lecce ci sarebbe stato da impazzire, invece ormai ci siamo fatti il palato e possiamo solo serenamente stupire e ammirare una volta ancora.
                                                    Il Duomo di Lecce
piazza del Duomo: il Duomo con la torre campanaria, il Palazzo Vescovile, il Seminario, il Museo Diocesano  

"Je la trouve surchargée" ho sentito proferire da una turista francese davanti alla facciata in restauro della Basilica di Santa Croce e il commento mi ha fatto sorridere. Alla faccia del "sovraccarica" qui siamo di fronte a un tripudio di fiori, frutta, figure mitologiche, festoni, corni d'abbondanza, uomini e figure zoomorfe, di tutto di più, l'esempio più significativo del famoso barocco leccese. Altro che sobrietà e modestia predicata dal nostro attuale Papa Francesco, qui si era in piena Controriforma e l'istituzione religiosa non aveva altro obbiettivo che impressionare e stupire con la magnificenza del suo potere, nulla a che vedere con l'austero protestantesimo del freddo nord. Più di cento anni e tre generazioni di architetti, artigiani e maestranze varie  ci sono voluti per costruire la Basilica. Protagonista assoluta la pietra leccese disponibile in abbondanza nelle cave locali: una pietra calcarea friabile e duttile all'estrazione e quindi facilmente manipolabile per mani creative che però ha la caratteristica, opportunamente trattata, di indurirsi col tempo. E non solo chiese, conventi e monasteri, tutta Lecce e il Salento in genere risultano arricchiti da questi straordinari motivi decorativi, basta guardare finestre, balconi, portici e logge. 

E poi, mi perdoni la mia amica Liliana fan incondizionata di Bollate, ma vuoi mettere andare in giro per bancarelle in un domenicale mercato di brocante in una piazza del genere? E' proprio tutta un'altra cosa, gli occhi brillano e non solo per le mercanzie esposte.
Servono acqua, paglia, gesso, colla, fil di ferro, fogli di carta riciclata e voilà ci sono tutti gli ingredienti per la cartapesta, ma per creare i capolavori che si vedono in giro per Lecce, c'è anche un museo in proposito, ci vuole la maestria dei cartapestai locali, eredi di una lunga tradizione. Nella centralissima via pedonale Vittorio Emanuele non si può non entrare, come ha fatto del resto il rimpianto Lucio, nel negozio-laboratorio di Claudio Riso: Madonne, santi, Gesù Bambini, presepi, viandanti, contadini e angeli che volano, un favoloso universo di creatività e leggerezza.  Claudio Riso mi racconta fieramente di aver avuto come maestro Antonio Malecore che adesso ha 93 anni, l'ultimo grande esponente ancora in vita di un sapere e di una tradizione antichissimi.  (http://www.cartapestariso.it/lecce-e-la-cartapesta-.html)
Certo meno nobili dell'arte sacra in cartapesta ma, divertenti e altrettanto rappresentativi della ricchezza e varietà artigiana locale, i fischietti in terracotta dipinti a mano; vorrei che qualcuno mi spiegasse perché il carabiniere da queste parti va per la maggiore.  

Non ci abbiamo dormito perché non lo sapevo, ma se ho ancora la fortuna di tornare a Lecce, ho scoperto un B&B che mi piacerebbe provare, a Palazzo Personè, dove c'era una Sinagoga. Mi capiterà a Trani, ma questa è un'altra storia che devo ancora raccontare.