domenica 29 gennaio 2017

dove a New York si torna al medioevo

Direzione estremo nord-ovest di Manhattan verso Fort Tryon Park che prende il nome dall'omonimo governatore che durante la guerra di Indipendenza americana ha difeso strenuamente il forte dall'assedio inglese del 1776. Il forte era stato costruito per volere di George Washington, primo presidente americano, e diventerà simbolo della resistenza americana contro il colonialismo britannico.
Fort Tryon Park è situato su una zona collinare, non a caso il quartiere si chiama "Washington Heights" e pare sia molto ambito dai newyorkesi per i suoi affitti accessibili, per la sua atmosfera quasi campagnola e perché una volta ancora, da queste parti, il fiume Hudson offre magnifici scorci paesaggistici del suo corso.
La trasformazione dei luoghi, da isolato fortino militare a splendido parco di grande estensione, la si deve al signor John D. Rockfeller che agli inizi del '900 ha acquistato tutta l'area  col preciso obbiettivo di farne un parco pubblico da offrire ai suoi concittadini. Non solo, all'interno del Fort Tryon Park il miliardario ha commissionato anche la costruzione dei "Cloisters", una sede distaccata del Metropolitan Museum of Art, il Met, dedicata specificatamente all'arte medioevale. Quella prima sede museale è stata inaugurata nel 1934 e dopo importanti restauri nel 2001 ha riaperto i battenti una seconda volta. Ecco la ragione che ci ha spinti a venire da queste parti.
Costruito con pietre ed elementi architettonici provenienti da diversi monasteri medievali francesi e spagnoli smontati dal luogo d'origine e ricomposti qui, l'edificio museale sembra un castello fortificato in collina. Le collezioni sono ricchissime, affreschi, arazzi, dipinti, sculture, sarcofagi, arte sacra proveniente da tutti i paesi europei. Confesso che non amo particolarmente questo periodo storico, troppo austero per me, e tantomeno so dell'arte sacra, quello che ho più apprezzato sono la meraviglia di certi manufatti, i chiostri, i giardini, gli orti, i silenziosi cortili e la vista del fiume.
Da vera sibarita mi sento più a mio agio nella caotica modernità e fra le manifestazioni artistiche più libere del nostro tempo; alla visita comunque interessante ai Cloisters ho preferito la passeggiata serale nei quartieri alti intorno al Rockfeller Center. I colori del tramonto e poi le luci della notte.


venerdì 27 gennaio 2017

New York: la Neue Galerie e le sorprese del Whitney

La Neue Galerie e il Whitney Museum erano due indirizzi newyorkesi imperdibili a cui non potevo mancare. La Neue Galerie perché non ci ero mai stata e l'arte viennese e tedesca dei primi decenni del '900 è ciò che preferisco in assoluto, per il Whitney c'era la curiosità di vedere il nuovo edificio e la sua nuova sede proprio davanti al fiume Hudson (al 99 di Gansevoort street dove inizia la passeggiata High Line) e poi il museo possiede la più grande collezione al mondo di quadri di Edward Hopper, altro artista amatissimo, e c'è la certezza di trovare sempre una qualche sua opera esposta. Per la Neue Gallery purtroppo non posso condividere nulla della stupenda mostra attuale "Klimt and the women of Vienna's Golden Age, 1900-1918" perché rigorosamente proibito scattare foto, posso offrire solo un colpo d'occhio della hall d'ingresso. All'interno è' anche esposto quel bellissimo ritratto di Adele Bloch-Bauer requisito dai nazisti nel '38 e recuperato dalla sua legittima proprietaria, la nipote Maria Altmann, solo nel 2006 dopo 10 anni di lotta accanita col governo austriaco, una storia avventurosissima raccontata nel film "Woman in gold" che consiglio caldamente di vedere.
Lasciati i fasti decadenti viennesi, ci si tuffa completamente nella modernità del Whitney e la vista che si gode dal terrazzo è forse la cosa più bella, ma non solo la vista, la favolosa terrazza aperta sul fiume riserva anche la sorpresa di certe opere, una con nove occhi addirittura in carne e ossa. Certo non apprezzo tutto e come al solito le perplessità la fanno da padrone, ma le emozioni di ciascuno di noi sono un mondo misterioso e sto zitta. Quelle salamelle di stoffa viste al bookshop del museo che si ispirano a non so quale artista  però me le sarei comprate se non fossero costate uno sproposito.  (Arthur Lee: "Rhythm" 1930 bronzo; Paul McCarthy: "White Snow" 2012 bronzo; per l'avvenente signorina mi scuso ma non conosco l'autore)
Il Whitney Museum dedicato all'arte americana a partire  dal 1966 e per una cinquantina d'anni è stato ospitato in un edificio progettato dal famosissimo architetto modernista Marcel Breuer, ma con l'ampliamento della collezione (da 2000 a oltre 19000 opere) erano naturalmente sorti problemi di spazio, ecco perché si è incaricato il nostro Renzo Piano, noto specialista di spazi museali, di ideare la nuova sede, che è stata inaugurata nel 2015.
Ho trovato il mio Hopper come speravo con due tele famosissime, il suo "Autoritratto" del 1925-30 e "A Women in the Sun" del 1961, ovvero la moglie Josephine Nivison che gli ha servito da modella come in molti  altri lavori; certo ci sono l'occhio e la sensibilità dell'artista a interpretare l'immagine, comunque complimenti alla signora che all'epoca di questo quadro aveva 78 anni.

Grande ricchezza espositiva e molte mostre tematiche a Whitney, mi limito superficialmente a quello che mi ha più colpito: per esempio la fotolitografia "Left Right Left Right" di Annette Lemieux, "Woman with Dog" di Duane Hanson, una signora col suo cane che appariva più vera del vero, l'acrilico su legno  e scarpe da tennis dorate "Lineup" di Gary Simmons e la splendida scenografia della mostra "Dreamlands: Immersive Cinema and Art, 1905-2016".
 "Left Right Left Right" del 1995 di Annette Lemieux.  fotolitografia
 "Woman with Dog" del 1997 di Duane Hanson
 "Lineup" del 1993 di Gary Simmons

Dulcis in fundo, una riflessione sulla precarietà della vita umana e in questo caso anche dell'arte offerta da Urs Fischer che ha creato una scultura in cera del suo amico, pure lui artista, Julian Schnabel. "Standing Julian" del 2015 in fondo non è altro che una grande candela che viene accesa ogni mattina e spenta ogni sera alla chiusura del museo. Una proposta di arte effimera che accetta di scomparire lentamente e progressivamente come la vita stessa e secondo i ritmi dei materiali usati. Quando l'abbiamo vista a novembre la testa se n'era già andata in fumo, ma l'amico Guy al Whitney già due mesi prima si era fatto ritrarre accanto e allora mancava solo il cranio. 


 . 
 .