martedì 26 dicembre 2017

per un 2018 minimalista

Lo spunto per questo post me l'ha dato un articolo del Corriere della Sera del 25 novembre scorso intitolato "Le pulizie finali" a firma di Costanza Rizzacasa d'Orsogna e una parola svedese in particolare, "dostadning" punto di partenza chiave delle considerazioni della giornalista. "Dostadning" che in svedese significa letteralmente "pulizia della morte" è divenuto anche il punto di partenza della mia riflessione odierna. Mi rendo conto che detto così sic et simpliciter il significato della parola fa una certa impressione, allegria, non sembra certo un incoraggiante ottimistico auspicio per il nuovo anno ormai alle porte, ma restiamo zen, nessuna tristezza in vista, la sottoscritta sta benissimo e non ha -fato o divina provvidenza permettendo, non so bene - nessuna intenzione di passare ad altri lidi,  è solo l'occasione di prendere in seria considerazione un certo stile di comportamento che la ostica parola saggiamente propone.

Un grande rispetto per il prossimo e l'altrui fatica aggiunto a un colladauto senso pratico suggerisce al popolo nordico  di fare le cosiddette pulizie pasquali e natalizie praticamente tutto l'anno e in particolare a partire dai 65 anni in modo da essere belli pronti già nudi o quasi per il grande viaggio e soprattutto per non ingombrare figli e famiglia con peso e preoccupazione dello smaltimento di tutte le nostre cianfrusaglie che non hanno storia e senso per nessuno  se non per noi. Già qui mi soffermo un attimo  perché da una parte mi viene in mente uno straordinario Gian Maria Volonté nella "Classe operaia va in paradiso" che, durante un'incazzatura solenne nei panni dell'operaio Lulù, si mette a buttar via tutti gli inutili oggetti souvenir del suo raggiunto benessere piccolo borghese  " ...gondola di Venezia... via..., ceramica del Colosseo ...via...." e poi  emerge un'altra volta ancora come sia strana l'esistenza umana: con tutte le valige che si fanno nell'arco di una vita, per quel viaggio lì che in fondo è il più lungo e misterioso, farà freddo? farà caldo? niente, non serve proprio niente, manco uno zainetto col dentifricio e lo spazzolino da denti.

A eliminare il superfluo per la verità ci hanno pensato anche gli americani che hanno coniato una parola apposta per dirlo, ovvero "decluttering" e prima ancora è passato alla storia il "less is more" del grande Mies van der Rohe che voleva essere un principio da applicare in architettura, ma che  per la verità va bene  sempre in tutti i campi. Il problema però sta a monte, per usare un'espressione in voga anni fa, cioè l'attenzione a non crearlo proprio il superfluo e poi c'è da capire cosa sia per ognuno di noi. Sono certa per esempio che i miei figli considerino un impiccio la mia collezione di libri pop-up, non ne vogliono sapere, ereditarla rappresenterebbe una scocciatura e basta, peccato che io ne vada fierissima, peggio per loro, la regalerò a una biblioteca purché non venga frammentata. Comunque per gli anni a venire mi sono ripromessa di non comprare più nessun catalogo delle belle mostre che vedo, la fedeltà al cartaceo occupa spazio e per i giovani è obsoleta, in un mini ipad ci sta tutto il sapere del mondo.

E poi, visto che ne parliamo, perché cominciare solo a 65 anni a fare il salutare lavoro? E' vero che la gioventù ha altre priorità,  ma si pone problemi sullo stato del pianeta che la mia generazione ignorava totalmente. A questo proposito devo ammettere che anche se mio figlio Francesco esagera, lui dell'accumulo inutile ha orrore da sempre, casa sua sembra la capanna minimale di Thoreau e se va avanti così non avrà nessun lavoro da fare né per il "decluttering" né per il "dostadning", beato lui. Come al solito cerco di prenderla con ironia, ma il concetto è serio e credo coinvolga una buona parte del nostro mondo, è però difficile separarsi da oggetti accumulati nei viaggi, libri, foto, ritagli di giornale, lettere d'amore, i primi disegni che i bambini hanno fatto all'asilo, la foglia secca e ormai sbriciolata di una certa passeggiata. Magari non li guardi mai però sono lì, sai che ci sono, conferma di una vita vissuta, ricordi dalla consistenza tangibile che ti fanno compagnia.

Le mie solite contraddizioni, da un lato per il 2018 e con i tempi che corrono volevo decantare i benefici dell'essenzialità e pensando alle vetrine di Natale viste in questi giorni non mi risulta per nulla difficile, ma  dall'altro, alla faccia del "dostadning" che rispettosamente lascio agli svedesi, le mie carabattole me le voglio tenere e i miei figli che si arrangino quando, più tardi possibile, arriverà il momento; chiameranno un rigattiere, faranno un grande falò, mi malediranno, comunque calma e gesso che c'è tempo.  Decluttering e dostadning sono parole troppo difficili, alla fine della fiera egoisticamente preferisco il mio casino all'italiana.

domenica 24 dicembre 2017

Parigi: il MoMa alla Fondazione Vuitton

Affissi in ogni angolo della  metropolitana parigina i manifesti del MoMa di New York alla Fondazione Vuitton fino al 5 marzo 2018: la mostra  certo è da vedere, ma imperdibile è soprattutto la Fondazione stessa, la sua straordinaria architettura e mi scuso per il colore delle foto ma c'era un tempo da lupi, sembrava quasi notte di giorno. Inaugurata dal Presidente Hollande e da Bernard Arnault, presidente di LVMH nell'ottobre 2014, non l'avevo ancora vista e ne sono stata entusiasta. Métro linea numero 1, si scende a Les Sablons, due fermate prima della grande Arche e si fa a piedi un  tratto costeggiando  quel polmone verde parigino che è il Bois de Boulogne e il Jardin d'Acclimation, attualmente in lavori, un oasi di piante, attrazioni e divertimenti inaugurata nel 1860 e voluta da Napoleone III° e dal barone Haussmann, il creatore dei grands boulevards e della Parigi che vediamo ancora oggi. 
Mi manca ancora purtroppo la visita al Guggenheim di Bilbao, ma le realizzazioni di Frank Gehry ho avuto occasione di vederle in America, al Château La Coste vicino a Marsiglia, a Berlino, in Giappone e ogni volta mi stupisce. Per le sue linee fantasiose e destrutturate più che architetto mi sembra un poeta, più che architetto si direbbe un mago della materia perché nei suoi progetti cemento, acciaio, ferro, vetro sembrano docilmente piegarsi al suo estro, diventano duttili e malleabili assumendo le forme più disparate come fossero di stoffa, di carta o di pongo.  Ma se davvero è architetto, allora ci si deve aggiungere vicino la parola "artista", basta guardare gli schizzi visionari dei suoi progetti. Quanto poi alla manutenzione e alla pulizia della struttura non oso pensarci, fatiche tantaliche da equilibristi funamboli, ma questa è un'altra storia e non è affare mio. 
La mostra "Etre moderne: le MoMa à Paris" si dipana sui quattro piani della struttura, ma una sezione molto interessante è dedicata alla storia del MoMa stesso fin dalla sua prima mostra con opere prestate degli apripista della modernità quali Cézanne, Gauguin, Seurat e Van Gogh nell'ottobre del 1929 grazie ai talenti del suo mitico primo direttore Alfred H. Barr Jr. Ciò che ha contraddistinto fin dagli inizi il percorso del leggendario museo  è stata la scelta, assolutamente nuova e vincente nel panorama espositivo dell'epoca, dell'internazionalità e dell'interdisciplinarietà, vessillo programmatico proposto in Europa dal movimento tedesco del Bauhaus, ovvero l'attenzione alle opere di tutte le latitudini e non solo alla pittura ed alle arti grafiche in genere, ma a tutte le manifestazioni artistiche come architettura, scultura, fotografia, design industriale, cinema, performances, istallazioni fino alla contemporaneità del nostro mondo virtuale con i giochi video, con i segni e i simboli legati all'informatica e ad internet. 
La mostra offre una panoramica storica davvero globale del '900 occidentale fino ai nostri giorni, non manca neppure la Walt Disney con un film di Topolino del 1928. Secondo un itinerario cronologico sfilano circa duecento opere e inizialmente si passa dagli antesignani della modernità appena citati ai mostri sacri come Picasso, Matisse o Brancusi, dalle varie avanguardie futurismo-surrealismo-dadaismo- cubismo con i loro esponenti all'espressionismo tedesco di Beckmann e di Kirchner fino alle punte estreme dell'astrazione di un Mondrian o di un Malevitch. Protagonista del primo segmento espositivo è naturalmente la vecchia Europa, ma in seguito e parallelamente comincia ad aprirsi la scena americana con Edward Hopper attivo fin dal 1930 e poi via via l'espressionismo astratto, primo vero movimento squisitamente americano con Pollock, Rothko, Willem de Kooning e poi gli artisti minimalisti come Frank Stella e la Pop Art da Lichtenstein a Warhol.  (Pablo Picasso: "L'atelier" 1927-28 - Ernst Ludwig Kirchner: "Scene di strada a Berlino" 1913)
Willem de Kooning: "Woman I" 1950-52  - Magritte: "Le faux miroir" 1929
Edward Hopper: " Casa vicino alla ferrovia" 1925  -  Mark Rothko: "No. 10" 1950
Con l'arte degli ultimissimi decenni ho già avuto più volte occasione di scrivere che sono in difficoltà, non mi emoziona, spesso non capisco e non ne ho nessuna competenza, perciò anche se la mostra del MoMa la esibisce esaustivamente, la sottoscrittà si limiterà a citare tre esempi che l'hanno intrigata. "Senza titolo" (USA Today) un' opera del 1990 del cubano  Felix Gonzales-Torres. Nell'angolo di una stanza una montagna di caramelle in carta rossa, argento e blu, i colori della bandiera americana e lo spettatore è invitato a servirsi, contribuendo così alla progressiva scomparsa della "creazione". L'artista, morto nel '96 per il virus HIV aveva avuto modo di spiegare che l'idea è stata una forma di rielaborazione del lutto di fronte alla epidemica scomparsa di tante persone intorno a lui ammalate di AIDS. Seconda opera  "Let's walk to the middle of the ocean" del 2015 dell'afro-americano Mark Bradford, un'astrazione profondamente ancorata nella realtà materiale perché l'artista organizza la sua opera partendo da frammenti di carta, di giornale, di pubblicità recuperati nelle discariche o per strada. In questo quadro l'idea forse di un mondo alla deriva, i continenti mescolati e divisi dalle acque,  la forza cromatica di un caos di tensioni sociali e politiche che agitano questo nostro mondo.
E termino con la performance "Measuring the universe" dello slovacco Roman Ondak, esponente dell'arte concettuale. Il titolo avrà forse un senso figurato che non conosco, ma va anche interpretato alla lettera nel senso che i visitatori sono invitati ad entrare nella stanza e a farsi misurare la loro altezza che verrà registrata sul muro da un'addetta con il nome e la data. Le progressive iscrizioni finiscono per formare una traccia umana e collettiva che rimanda alla tradizione familiare di misurare progressivamente sui muri di casa o su una qualche superficie l'altezza dei bambini che crescono.


mercoledì 20 dicembre 2017

Parigi: brunch, sprunch e soprattutto Gauguin

Tornando in albergo la sera prima dalla visita alla nuova chiesa russo-ortodossa mi ero fatta al tramonto la chiccosissima avenue de Montaigne con gli alberi illuminati e una mongolfiera gigante nel negozio Dior. Così l'indomani mattina ho deciso di continuare con la scoperta della Parigi natalizia. Sono pronta alle 10, una sveglia troppo mattutina non si addice alla mia pigrizia, la prenotazione della mostra di Gauguin al Grand Palais è alle 16,30, ho dunque tutto il tempo per farmela a piedi. Non è poco dalla Bastille fino al Grand Palais, saranno un cinque chilometri, ma è tutta dritta, rue de Rivoli, il Louvre, place de la Concorde, faubourg Saint Honoré, occasione e curiosità per una lustratina agli occhi nei quartieri alti.
Bellissimo il gioco di luci al Carrousel del Louvre, mi fa pensare allo stupendo soffitto di Fontana al Museo del '900 a Milano. Constato che ci sono code dappertutto, davanti al Museo delle Arti Decorative, per esempio, dove la mostra delle collezioni Dior suscita gran interesse, ma c'è la fila anche davanti al Caffè Angelina dove un "macaron" di tre centimetri di diametro credo costi un patrimonio, una bazzecola certo rispetto all'orsacchiotto del marchio Daum con i suoi 3970 euri, ma l'orso più piccolo te lo porti a casa a fare non so che cosa con soli 750, non era esposto invece il prezzo di questi magnifici e sobri scarponcini rossi con brillantini da uomo nella vetrina di un certo Philippe Plein che non conosco. Però è proprio vero che non si finisce di imparare, voi lo sapevate che oltre al "brunch" c'è anche lo "sprunch" ovvero  Spa + brunch, proposta dell'hotel Westin? E ci avevate mai pensato a mettere un paio di calzettoni belli pesanti di lana a losanghe con dei sandaletti d'oro, tacchi a spillo of course?
Ma siamo diventati matti? Non voglio fare la populista-terzomondista-pauperista, non ne ho i titoli, sono una privilegiata e ne ho la consapevolezza, ma quando è troppo, è troppo. Vedere delle improponibili scarpe presentate manco fosse la Monnalisa su un putto tutto d'oro, scarpe e borsette di Tod's con occhi, naso e bocca, scatole sagomate a forma di guanti o di osso di cane da Hermès, mi ha scandalizzata, messa davvero a disagio, è follia pura.
Lo so che l'industria del lusso tira l'economia e fa lavorare un sacco di gente, però faccio ugualmente fatica a capire, anzi, non capisco proprio. Gli amici che lavorano nel mondo della moda mi dicono che sono una sprovveduta, che è sempre stato così. Sarà, ma faccio bene a non andare mai nel quadrilatero della moda milanese, mi incazzerei, forse ci troverei come qui i "letti" sfatti dei senzatetto sui marciapiedi e, drammatica ironia, proprio di fronte c'è il cartello di una mostra al Louvre che si intitola "Théâtre du pouvoir", il teatro del potere. In lontananza si scorge la chiesa della Madeleine e sulle scalinate ancora tanta gente. Curiosi e fans che forse cercano tracce dell'idolo canoro Johnny Hallyday e della sua cerimonia funebre che si è celebrata qui ieri. Tutta la città era paralizzata, i Campi Elisi chiusi al traffico, pare ci fossero un milione di persone ad accompagnarlo.
Passiamo a cose serie, Gauguin certo non delude. Con opere provenienti dai più prestigiosi  musei del mondo e da collezioni private, la mostra al Grand Palais è ricchissima, fin troppo perché con tutto quel ben di dio a un certo momento la capacità di concentrazione scema e ho finito per guardare più velocemente l'ultima produzione, forse la più bella, quella degli anni in Polinesia e alle isole Marchesi. "Il diritto di osare tutto", così inizia la presentazione della mostra "Gauguin l'alchimista" che in breve sintesi  sottolinea la formidabile capacità dell'artista di sperimentare da autodidatta non solo le possibilità della pittura e della grafica, ma di altri materiali come il legno, la ceramica e poi la scultura e anche la scrittura. ("La Chanteuse" Portrait de Valérie Roumi 1880  legno di mogano e gesso parzialmente policromi  - "Cabinet" 1881 legno di ontano, policromie)
Vasi in grès in collaborazione col ceramista Ernest Chaplet  1886-1887-88
Vaso antropomorfo in grès. Ritratto di Gauguin a forma di grottesca 1889 -  "La toilette" 1882 legno di pero

Percorrere nuove vie, tentare ogni possibilità creativa, manipolare più materiali, associarli insieme e viaggiare in paesi sempre più lontani per curiosità, per fame di nuovi stimoli, per ricerca di se e di un paradiso perduto che il vecchio occidente non è più in grado di  offrire: quello di Gauguin è il percorso ricco e accidentato di un'anima inquieta e di un vero sperimentatore. Non a caso, in una lettera del 1889 al pittore Emile Bernard Gauguin parlerà di una "terrible démangeaison d'inconnu qui me fait faire des folies". Seguendolo nel percorso espositivo lungo le sue molteplici traduzioni artistiche emerge come "fil rouge" della sua vita un'eterna insoddisfazione, l'anelito ad andare oltre, di abbandonare il conosciuto per lo sconosciuto, di mettersi costantemente in gioco. Gauguin si vuole  selvaggio e barbaro, un ritorno agli albori della civiltà, quell'essenzialità della scintilla creativa che inseguono da sempre tutti i grandi artisti "Je vais à Tahiti et j'espère y finir mon existence. Je juge que mon art que vous aimez n'est qu'un germe et j'espère là-bas le cultiver pour moi-même à l'état primitif et sauvage" si trova scritto su una lettera del 1890 al pittore simbolista Odilon Redon. Il Perù dove trascorre i primi sei anni di vita con la famiglia e che lascerà un grande segno, la Bretagna, La Martinica, Arles, la Nuova Zelanda, Tahiti, le isole Marchesi, luoghi sempre più remoti per fuggire o forse meglio ritrovarsi, numerose tappe di un itinerario che certo non è solo geografico. ( "Giardiniera" inverno 1886-87, grès. Forse la prima ceramica realizzata da Gauguin, riprende l'incisione in legno "La Toilette" - "Tehura" o "Testa di tahitiana" o "Tehamana" verso il 1892)
"Soyez mystérieuses" 1890 legno di tiglio parzialmente policromo

"Deux femmes discutant" 1900 incisione su legno - Idolo tahitiano "La dea Hina" 1894-95 incisione su legno

Ho iniziato con qualche esempio della sua produzione in legno e in ceramica perché meno conosciuta ed esposta. Gauguin vuole dare dignità artistica alla ceramica che non deve essere solo artigianale o seriale produzione industriale. Il ricordo di vasellame peruviano collezionato dalla madre lo spinge, nell'atelier del ceramista Ernest Chaplet, verso nuovi modi di modellare la materia e creare nuove forme, nei suoi lavori ci saranno  motivi bretoni, ma anche andini- precolombiani, giapponesi visti alle esposizioni universali, martinichesi e più tardi polinesiani. Nel suo "Autoportrait au Christ Jaune" del 1890 l'artista sembra vedersi come un demiurgo. Indossa un maglione da marinaio perché è in procinto di partire, da un lato il vaso-autoritratto antropomorfo appena creato, dall'altro un Cristo in croce perché creare è sofferenza. Creatore come nel racconto biblico in cui  il gesto divino impasta l'uomo con una manciata di terra e di fango "avec un peu de boue on peut faire du métal, des pierres précieuses, avec un peu de boue et aussi un peu de génie!"
"Paysannes bretonnes" 1894 Olio su tela - "Joies de Bretagne" Suite Volpini 1889 zincografia

"Lavandières au bord du canal" 1888 olio su tela - "Femme Caraibe" 1889 olio su legno

E se guardiamo tutte le sue creazioni di donne,  diverse  risultano le situazioni e le geografie dei luoghi che vengono fissati sulla tela.  E   altrettanto diverse risultano loro: le bretoni con i loro costumi austeri e i copricapi tradizionali, l'esuberanza delle creole martinichesi, le polinesiane dai tratti marcati e la nudità naturale che non mostra pudore. Contadine e donne fatali intrise di sensualità, solo apparentemente diverse però perché, malgrado l'eterogeneità dei contesti, tutte sembrano rispondere alle stesse coordinate imprescindibili per l'artista, la semplicità, l'ancestrale quotidiano rapporto con la terra e con la natura, l'autenticità; è la ricerca di Gauguin di una vita degli albori, quasi archetipale. Le bretoni sono donne contadine, chiaccherano fra loro, lavorano i campi, curano il gregge di oche, le creole lavano i panni nel fiume e si ergono in mezzo a una natura lussureggiante, le polinesiani si gettano nelle onde e si lasciano osservare nell'eden della loro terra  ("Dans les vagues" 1889 olio su tela - "Tête de tahitienne" 1892-93 penna e inchiostro di china)
"Femmes de Tahiti" o "Sur la Plage 1891 - ""Ahaoe Feii? ( Eh quoi! Tu es jalouse?) 1892

Concludo con due foto del Carnet di "Noa Noa" perché è troppo bello. Si tratta del progetto di un libro che Gauguin voleva scrivere ed illustrare per raccontare la sua vita durante il suo primo viaggio a Tahiti e a questo fine realizza una serie di dieci incisioni su legno; una di queste si intitola Noa Noa che vuol dire "odorante" nella lingua locale, una parola che evoca il profumo inebriante dell'esotico fiore di tiarè. Il progetto non va in porto e nel suo secondo ed ultimo viaggio a Tahiti Gauguin porta con se l'album iniziale che continuerà fino all'ultimo a riempire di monotipi, foto, incisioni e acquerelli. L'amico pittore Daniel de Monfreid, entrato in possesso del manoscritto dopo la morte di Gauguin, ne farà dono nel 1927 al Museo del Louvre.