martedì 30 maggio 2017

una bella storia di amicizia e fedeltà

Responsabile un'influenza che non passava mai, due mesi invernali difficili e sedentari, forse l'ho già scritto, comunque con la bella stagione è tornata l'energia e la voglia di andare in giro, meno male, ne sto approfittando alla grande. Dopo il magnifico Périgord e prima della settimana che passerò in Toscana ospite della Eva, mia compagna di banco liceale, meglio non dire quanti anni fa, eccomi il 17 maggio alle 15,15, per un soggiorno di cinque giorni, alla stazione centrale per prendere il Freccia Rossa della tratta Milano-Trieste. Scenderò tre ore dopo a Portogruaro dove, puntuale come un orologio svizzero, ho trovato ad aspettarmi l'amica Franca. Durante il viaggio ho letto, guardato il paesaggio scorrere, riflettuto sulla mia fortuna di avere amiche così vere e mi è venuto da dire un sommesso "grazie", non so bene a chi, forse semplicemente alla vita. Si, quella con la Franca, "di nome e di fatto" come dice sempre lei,  trovo sia davvero una bella storia di amicizia e fedeltà e la voglio proprio raccontare. All'arrivo naturalmente baci e abbracci e poi, proprio davanti alla stazione, mi colpisce un edificio immenso con tutti i vetri rotti, significativo esempio di archeologia industriale. Hanno fatto bene a non distruggerlo, a salvaguardare un pezzo di storia locale, a bonificare con cifre iperboliche tutta l'area intorno, è l'unico edificio superstite di uno stabilimento industriale chimico dismesso costruito all'inizio del 1900, la ex fabbrica Perfosfati.

Franca e il marito Graziano abitano da sempre nella periferia di Chions, un piccolo comune di 5000 abitanti in provincia di Pordenone; è già Friuli Venezia Giulia, ma praticamente al confine con il Veneto orientale, solo una decina di chilometri da Portogruaro. Davanti alla strada provinciale la loro casa, sul retro quei dodici ettari di terreno coltivato a meli e peri  che è stata la loro vita, ma che ormai hanno venduto,  anche i contadini hanno il sacrosanto diritto di andare prima o poi in pensione; a fianco il magazzino per lo stoccaggio e la vendita diretta della frutta dei nuovi gestori di questa campagna.
Che sballo per una cittadina metropolitana e nevrotica come la sottoscritta fare colazione al mattino sul tavolo in cucina davanti a una finestra spalancata che offre questa vista; serenità allo stato puro, lenitiva quanto una seduta dallo strizzacervelli e certamente meno dispendiosa e faticosa. Saranno una decina d'anni che non venivo da queste parti e molte cose nel frattempo sono cambiate: nel canalone dove amavo nuotare da ragazza adesso ci sono delle canne palustri perché l'acqua viene giustamente convogliata sui campi col sistema goccia a goccia; invece dei frondosi peri e meli, vecchi fino a quarant'anni di Franca e Graziano, i nuovi proprietari hanno impostato una produzione più tecnologica e intensiva, frutta calibrata come richiede il mercato, alberelli dalla vita breve strettamente allineati in fila indiana più agilmente controllabili e redditizi; non più solo mele e pere, non più solo renette, golden delizia, william, decana e abate, ora si è aggiunto anche il vigneto e si produce vino.  
Il cambiamento è stato necessario, per gli agricoltori è sempre più difficile stare a galla e molti da queste parti, gli appezzamenti troppo piccoli, chi non si è modernizzato, non ce l'hanno fatta, i frutteti di un tempo sono diventati lunghe distese di campi di grano e frumento. Quella che però non è cambiata è la qualità dell'accoglienza, il calore e la generosità del rapporto umano che Franca e Graziano mi hanno offerto a piene mani. Quante coccole, mi sono sentita trattata come una regina, sotto il cuscino un ramo di lavanda per profumare il letto, a tavola un assortimento di formaggi che non si trova neanche da Peck, forse avrei potuto chiedere anche la luna, sarebbero andati a cercarla.
 Quando li ho conosciuti, una cinquantina di anni fa, io ero un'adolescente e loro poco più che ventenni; giovanissimi sposini erano sbarcati a Milano dove, unico punto di riferimento,  abitava una sorella di lei. A Milano si erano rifugiati per disperazione, una grande lite familiare coi genitori dello sposo, l'impossibilità di continuare a lavorare insieme quella terra... la fuga. Papà li ha conosciuti casualmente, li ha aiutati, sia moralmente come si ha particolarmente bisogno nei momenti difficili, sia materialmente offrendo un lavoro a Franca nella sua fabbrica di giocattoli. Un'avventura milanese durata pochi mesi, poi gli animi si sono ravveduti, la pace è tornata in famiglia, Franca e Graziano sono saliti sul treno per tornare a casa. Però nel frattempo era nata fra noi un'amicizia, miscuglio di gratitudine, affetto, stima reciproca. Non spesso, ma negli anni ci siamo rivisti e frequentati, con i miei genitori, con i miei figli, in giro per i campi la mamma raccoglieva foglie di vite per cucinarci gli adorati dolmades e fregava pannocchie di granoturco da lessare, i ragazzi andavano a pescare con Graziano e se lo ricordano ancora, io non sono mai riuscita a mangiare le anguille, ma le rane si.
La Franca mi piace tanto perché la sua cultura e la sua capacità di osservare il mondo non se le è fatte teoricamente sui banchi  della scuola, ma le ha costruite con olio di gomito, attingendo direttamente dalle esperienze della vita e ripensandoci poi su; quanta fatica nel seguire per anni giorno dopo giorno i suoi alberi, la grandine o un parassita possono mandarti in malora in un attimo raccolto e guadagno di un anno intero, nell'assistere genitori e suoceri anziani, nel tirar su quelle due sue ragazze piene di diplomi universitari  che comprensibilmente sono la sua fierezza. Lei è irrefrenabile, parla come un fiume in piena, di solito le tocca star zitta per giornate intere mentre Graziano è al bar a giocare a briscola,  il mio ascolto è un'occasione ghiotta e poi ci vogliamo bene e poi è così tanto tempo che non ci vedevamo. 
Ha una memoria d'acciaio, si ricorda tutto, tira fuori episodi della mia vita e dei miei genitori che avevo sepolto chissà dove e che mi da grande gioia ascoltare. Anche uno spaccato in viva voce di storia contadina, racconta della sua gioventù, di quando a Chions non si pagava in danaro ma in uova, della prima arancia mangiata a dieci anni, del pasto di polenta gialla e fagioli tutta la settimana, ma la domenica era quella bianca, del cucchiaio da minestra col buco in mezzo perché non lo si riempisse troppo, dei compagni di classe che, a lei fortunata con la mela in mano, avevano chiesto di lasciare il "rosegot" almeno il torsolo per provare il gusto del frutto e della buona zia Adele che, arrivata in visita da Roma, era andata a comprare una mucca intera viva e vegeta, finalmente latte sicuro tutti i giorni.  Con tutta la più buona volontà del mondo, a Chions, a parte la chiesa con una bella statua nel parco circostante e il cimitero, non ho trovato cosa fotografare, ma andare al camposanto con la Franca è stato meglio di una serata a teatro, un'avventura pressoché esilarante e mi si perdoni l'irriverenza dato il posto.  Altro che lettura di un romanzo d'avventure, una Comédie Humaine alla Balzac in pieno, la Franca è la memoria storica del luogo, conosceva tutti, passando accanto alle tombe mi raccontava vita, morte e miracoli di questo e di quello, però con discrezione, se la storia non era troppo edificante mi diceva:- non sta bene proprio davanti, allontaniamoci un po'. 
Grazie, grazie, grazie, è stato un soggiorno stupendo, ve ne sono grata amici miei e vorrei ritornare presto. Fra l'altro ogni giorno la proposta di un posto diverso da visitare, Portogruaro, Caorle, Asolo, il lago di Barcis in Valcellina nelle Alpi Friulane, per me tutte nuove scoperte. Sarà bella la Francia ma la nostra Italia non scherza, resta la number one. Aspettatemi, ne racconterò al mio ritorno dalla Toscana. Dulcis in fundo l'ultimo giorno andando verso la stazione quel gregge di pecore, qualche capra nera e tre cavalli  che ci hanno tagliato la strada; un signor gregge, erano ben 500 pecore, ce lo ha detto il pastore. 


sabato 27 maggio 2017

Périgueux e già la voglia di tornare da queste parti

Périgueux è l'ultima tappa del nostro periplo perigordino. Geograficamente proprio al centro della regione, Périgueux è città che ha sulle spalle 2000 anni di storia, un insediamento gallo-romano molto popolato fin dall'antichità e oggi conta all'incirca 30.000 abitanti. Fondata sulle rive del fiume Isle, affluente della Dordogna, è la capitale dell'intero dipartimento. La romanizzazione della popolazione gallica pare sia stata rapida ed indolore e rimangono tuttora tracce di un porto fluviale, templi, un anfiteatro e abitazioni del I° e II° secolo poi rimaneggiate nelle epoche successive.
Francamente mi sarebbe piaciuto visitare il sito-museo Vesunna concepito da Jean Nouvel, occasione per immergersi, grazie a tutti i reperti, nella vita quotidiana e nei costumi del ricco passato cittadino, ma avevamo poche ore a disposizione e abbiamo preferito girellare senza meta per strade e stradine. Quello che risulta evidente, anche nel breve tempo di una visita superficiale, è che a differenza di tutti gli altri luoghi visitati,  Périgueux è più grande, articolata e composita, non solo medievale, si passa dal retaggio romano anche ai gran boulevard e ai bei palazzi rinascimentali; non a caso si contano ben 53 monumenti storici repertoriati.
Mi ha molto incuriosito un edificio di metà '800 che ho inizialmente pensato essere una sinagoga, salvo poi scoprire che si trattava invece della sede della loggia massonica del Grande Oriente di Francia; la massoneria francese non ha conosciuto tutti gli scandali di casa nostra. Su una targa c'è scritto che le sculture del palazzo erano state distrutte per ordine del governo di Vichy.  Davvero imponente la cattedrale cittadina Saint Front. Iscritta  al patrimonio mondiale dell'Unesco, questa basilica di ispirazione orientale a croce greca ricorda San Marco di Venezia. La torre campanaria del XII° secolo separa l'antica chiesa latina preesistente dalla costruzione bizantina. E' servita da modello all'architetto Abadie che l'ha restaurata nell'800 per costruire in seguito il Sacré Coeur a Parigi. Nel Medioevo la cattedrale Saint Front costituisce una tappa importante sul cammino di Compostela e la si trova citata in una guida del pellegrino redatta nel XII° secolo. 

Questo è l'ultimo post del nostro giro nel Périgord e meno male che sono stati solo quattro giorni sennò temo ne sarebbe venuto fuori un romanzo. Il fatto è che ho trovato bello proprio tutto e ogni luogo visitato mi è sembrato meritevole di attenzione e descrizione, la gioia poi di stare con i ragazzi e mio nipote, non ne parliamo, sono così rari questi momenti privilegiati. Le opportunità offerte dalla regione sono davvero innumerevoli e giuro che non riceverò nessuna percentuale dall'ufficio turistico per la propaganda.  Nel Périgord mi piacerebbe proprio tornarci, vedere altri borghi, i tetti così particolari delle case, i fiumi, la campagna, i siti preistorici e castelli a mai finire. Ne abbiamo intravisti un sacco strada facendo, ma nessuna visita dal di dentro. In particolare avrei avuto curiosità di entrare nel castello di Milandes di fine '400 e nei suoi giardini perché è stata per 30 anni la residenza di Joséphine Baker e della sua numerosa prole adottiva e nel castello dove viveva Montaigne, la sua biblioteca si trova al terzo piano di una torre, chissà che atmosfera!
Castello di Milandes
Grazie di cuore ragazzi, giorni bellissimi. Mi ci porterete ancora nel Périgord???


venerdì 26 maggio 2017

Périgord: fra oche, trulli e mammut

Come un bel mazzo di funghi spuntati dopo il temporale, le casette appaiono sul manto erboso. Come non pensare ad Alberobello e ai suoi trulli? Certo cambia il colore e modesta è l'estensione dell'area abitativa, ma la tecnica di costruzione è la stessa e l'effetto visivo pure. A mezza strada fra Sarlat e  Les Eyzes, siamo alle Cabanes du Breuil, una fattoria ancora in attività di circa 15 ettari di cui i "trulli" fanno parte. Originariamente una propretà rurale dei Benedettini di Sarlat fino alla metà del XV° secolo, nel '700  e '800 sede di atelier artigianali e abitazioni per gli uomini che lavoravano i campi e allevavano gli animali, oggi "patrimonio rurale storico" che si va a visitare.
(http://www.saranathan.it/2015/07/la-valle-ditria-e-le-sue-meraviglie-2.html)

Peccato che Noam stesse facendo la siesta del pomeriggio e sia rimasto  in macchina a dormire perché c'erano un sacco di animali da cortile e un pavone in nostro onore ha fatto pure una splendida ruota che ho molto apprezzato. Queste case sono il risultato di una sapiente sovrapposizione di pietre senza nessun collante fra loro, né malta, né cemento, è la giusta disposizione delle pietre che fa tenere la struttura; gli studenti vengono qui a cimentersi in questa antica tecnica di costruzione. 
-Ma è mai possibile che le oche le vediamo dappertutto solo ridotte in scatola? Cammin facendo e macinando chilometri per le campagne perigordine,  ero delusa e rompevo le scatole, volevo vedere almeno da lontano un allevamento e tante tante oche tutte insieme, cosa ci posso fare se sono una mia passione? E finalmente sono stata accontentata. L'ho fatto fermare di botto lungo la strada, Francesco da rigoroso vegetariano era disgustato e non è sceso dalla macchina, -domani saranno tutte morte- ha solo detto. Non ci voglio pensare e intanto le ho immortalate. 
Passando con leggerezza dal foie gras nientepopodimeno che alla preistoria, abbiamo visto purtroppo solo dall'esterno a volo d'uccello La Roque Saint-Christoph, un'incredibile falesia alta 80 metri a picco sul fiume Vézère. Qui ci sono vestigia che risalgono dal paleolitico superiore, 55.000 anni fa, fino al medioevo,  quale esempio di habitat trogloditico e della sua evoluzione. Una roccia calcarea lunga quasi un chilometro che grazie alla sua conformazione ha permesso durante il medioevo di costruirci delle case. Ho pensato che non c'era bisogno di andare fino in Colorado a Mesa Verde per vedere le capacità dell'uomo di adattarsi e sfruttare la natura circostante.
Abbiamo invece fatto il tour completo della Grotta di Rouffignac, la grotta dei 100 mammut come viene anche chiamata. Un trenino elettrico che, nel buio più completo per non ledere pitture e incisioni rupestri che risalgono fino a 13.000 anni fa, entra in profondità nelle viscere della terra con la guida che via via al passaggio illumina con una torcia le rappresentazioni sulle pareti e sul soffitto. Mammut, rinoceronti, cavalli, bisonti, stambecchi, il bestiario umano è ricco e variamente rappresentato, inciso o dipinto. Non manca anche qualche raffigurazione umana, ma il protagonista assoluto è il mammut, progenitore dei moderni elefanti, con ben 158 rappresentazioni. L'immensa caverna è stata scoperta nel 1956 da un professore di preistoria dell'Università di Tolosa e assieme ad altri siti preistorici e grotte della valle del fiume Vézère, è dal 1979 Patrimonio dell'Umanità Unesco.
Vi porto con me fin dove posso, cioè fino al trenino, poi ci sono solo il nostro stupore, il buio del ventre della terra, le nicchie lasciate sul suolo dagli orsi, primi abitanti del luogo e le straodinarie testimonianze artistiche dei primi cacciatori-raccoglitori, ovvero quei nostri antichissimi antenati che ignoravano ancora agricoltura e allevamento e si cibavano unicamente cacciando e prelevando le risorse alimentari dalla natura selvatica. Le rappresentazioni che mostro sono incisioni e disegni dei nostri giorni in vendita all'ingresso che riproducono fedelmente le immagini ammirate nella grotta.