mercoledì 3 maggio 2017

genocidio armeno: "una via senza ritorno"

E dopo aver letto l'articolo di Rav Laras sul Foglio (http://www.saranathan.it/2017/05/a-proposito-di-genocidio-armeno.html) sono andata ieri mattina al Memoriale della Shoah  per vedere e leggere del "Metz Yeghern". Una mostra agghiacciante eppure doverosa. Deportazioni e massacri, le esecuzioni sommarie, le carovane della morte, i lager nel deserto, le intollerabili sofferenze di un popolo senza colpa, l'epurazione etnica di un milione e mezzo di persone programmata a tavolino, tutto è drammaticamente documentato e non solo da eloquenti fotografie, ci sono le testimonianze scritte dirette di chi ha visto con i propri occhi. Una pagina di storia più nera della pece che la Turchia si ostina a negare, non riconoscendo a tutt'oggi il genocidio che ha perpetrato. Il negazionismo è un pericolosissimo sport che si continua a praticare. Svariati anni fa avevo letto un libro " "Aïe, mes aïeux " tradotto nel 2004 in italiano "La sindrome degli antenati" (Di Renzo editore 2004) di Anne Ancelin Schuetzenberger, un'analista psicologa francese iniziatrice della psicogenealogia, la ricostruzione cioé della genealogia di un paziente perché i traumi familiari, (individuali e collettivi come la guerra per esempio) e eventi occultati, non detti, possono venire tramandati nell'inconscio familiare attraverso più generazioni. Nel libro la psicologa cita il caso di una paziente affetta da costanti mali di testa e al collo e risalendo nel tempo scopre che una sua antenata era stata decapitata durante i massacri del 1915  subiti dagli armeni. Lo scrivo perché questo libro mi aveva molto colpito, una volta ancora la riflessione che il male assoluto non si risolve nel momento storico del suo accadere, ma lascia tracce indelebili anche nelle generazioni successive e mi vengono in mente gli sguardi attraversati dall'orrore di certi cambogiani.

In favore degli armeni, poche in verità, ma alcune voci si sono levate e prima fra tutte quella di  Armin T. Wegner cui la mostra dedica un'intera sezione. Giusto fra le nazioni e paladino straordinario dell'uomo e dei suoi diritti,   Wegner è un tedesco che allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola come infermiere volontario in Polonia e nell'aprile 1915, a seguito dell'alleanza militare tra la Germania e la Turchia, viene inviato in Medio Oriente come membro del servizio sanitario tedesco. Nell'autunno dello stesso anno, quale sottotenente al seguito del Feldmaresciallo Von der Goltz comandante della 6° armata ottomana in Turchia, attraverserà tutta l'Asia Minore. A dispetto dei divieti delle autorità turche e tedesche per impedire la diffusione di notizie e immagini, Wegner raccoglierà appunti, notazioni, documenti, lettere e scatterà centinaia di fotografie nei campi di deportazione degli armeni che tramite consolati ed ambasciate farà giungere in Germania e negli Stati Uniti. Scoperto il suo smistamento clandestino di corrispondenza verrà arrestato dai tedeschi su richiesta del comando turco. Nascoste sotto la cintola porterà con se le lastre fotografiche delle immagini del genocidio armeno al quale aveva assistito impotente. Molti testi della mostra sono il frutto della sua testimonianza diretta ricavata dalle lettere scritte tra il 1915 e il 1916, diario drammatico sulla "via senza ritorno" percorsa dal popolo armeno.  Dalla documentazione esposta alla mostra risulta che sempre Wegner scriverà una Letterà aperta a Wilson,  Presidente degli Stati Uniti: "Signor Presidente, non chiuda le orecchie perché è uno sconosciuto che le parla. Nel suo messaggio al Congresso l'8 gennaio dell'anno scorso Lei ha presentato la richiesta della liberazione di tutti i popoli non-turchi dell'Impero Ottomano. A questi appartiene senza dubbio anche il popolo armeno. E' di questa nazione che io Le parlo.....".(Berliner Tageblatt, 23 febbraio 1919). Sempre Wegner, in difesa degli ebrei, ha scritto nel '33 una Lettera aperta al Cancelliere del Reich Adolf Hitler, recapitata a Monaco alla Casa Bruna poichè non ne era più possibile la pubblicazione su un giornale tedesco. La risposta non gli è mai giunta ma in compenso è stato subito arrestato dalla Gestapo a Berlino, picchiato a morte e poi inviato nei lager, in prigioni in Germania e in Italia e anni di esilio come il nazismo riteneva  si meritasse giustamente "un intellettuale bolscevico", un pacifista fanatico".





1 commento:

  1. Dopo averti letto sono andata a vedere la mostra. Sconvolgente! Grazie M

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