giovedì 31 luglio 2014

Villa Domergue e "le bonheur terrestre"

"Sacrée Côte d'Azur"! (benedetta Costa Azzurra) come dicono i francesi. Sono 45 anni che la bazzico con regolarità, ci ho vissuto anche stabilmente per dieci anni, eppure riesce sempre a sorprendermi tirando fuori dal cassetto nuove sorprese, meraviglie non ancora scoperte e questa volta è il caso della villa Domergue a Cannes, della fondazione Clews al castello di Mandelieu- la Napoule e della Pointe de l'Aiguille a Théoule sur mer, tre posti a un tiro di schioppo uno dall'altro, l'itinerario di una ricca giornata a zonzo. In più la fortuna di una guida d'eccezione, l'amica Camille Mondon specialista del patrimonio storico-architettonico della regione e di Cannes, dove vive da sempre, in particolare (http://fragments-cannes.com/).
Villa Domergue si trova sulla collina della Californie che si estende in un dolce declivio dal cielo  fino al mare, dove ci sono le dimore più belle, dove anche Picasso era venuto a viverci i suoi ultimi anni. Villa Domergue è un angolo di paradiso che si affaccia su un panorama stupendo a 360° gradi, il mare con le sue vele, le isole di Lerins, le prime rocce rosse dell'Estérel, tutta Cannes e la sua baia davanti agli occhi. In mezzo a una fitta vegetazione, un'antica immensa proprietà poi frazionata a nome Isola Bella, Camille ci fa notare anche la casa di Edoardo, quel principe di Galles che ha rinunciato al trono di Inghilterra per amore della sua sposa, la divorziata americana Wallis Simpson. Potenza dell'amore e del portafoglio, i piccioncini regali non se la passavano niente male.

Come John Singer Sargent, Giovanni Boldini, alcune opere di Moise Kiesling o Kees Van Dongen, Jean-Gabriel Domergue fa parte di quella schiera di pittori che deve la sua fama a quella che oserei definire una ritrattistica mondana; figura incontestata della brulicante vita parigina, l'artista gode di una clientela fortunata che aspira a farsi immortalare sulla tela. Da "Arbiter elegantiarum" collabora alle più celebri riviste, manda i suoi disegni a Vogue e la stampa dell'epoca lo associa spesso a Van Dongen sottolineandone certo le differenze: stilizzazione espressionista e sprezzo delle convenzioni nelle opere dell'olandese, armonie delicate, colori freschi, classicismo raffinato in Domergue. La sua è una pittura che non vuole sovvertire nulla, anzi, è fatta per piacere, simbolo del gusto e degli agi di un ristretto mondo dorato di quei primi decenni del '900.
Joséphine Baker 1940
Con la moglie Odette Maugendre, affermata scultrice, figlia del direttore della Scuola di Belle Arti di Lille, nonché grande amica di Rodin, Jean-Gabriel Domergue usa passare i mesi invernali a Cannes dove nel 1926 acquista un terreno alla Californie in seno alla grande proprietà Isola Bella. I lavori  dureranno diversi anni ed è il pittore stesso a fornire i piani della villa e del giardino e a voler costruire la casa con i materiali  locali trovati sul posto. Il giardino, che nella sua organizzazione si ispira a un disegno di Fragonard che rappresenta la villa d'Este a Tivoli, accoglie fra altre anche numerose sculture di Odette, come per esempio "La femme à la colombe", fotografata qui sopra o  diversi busti  del marito. 
Qualche anno dopo la morte di Domergue nel 1967, Odette apre le porte della villa al pubblico per far conoscere più approfonditamente l'opera del marito attivissimo in più campi, la cartellonistica pubblicitaria, la moda, il teatro, come infaticabile organizzatore di feste nella Parigi che conta e nelle località vacanziere più glamour tipo Montecarlo. Dal 1973 questo patrimonio storico-artistico appartiene a Cannes e dal 2001 il centro d'arte "La Malmaison"  vi organizza esposizioni temporanee di arte contemporanea e altri eventi culturali. Villa Domergue è la sede dove si riunisce ogni anno la giuria del festival del cinema di Cannes  per deliberare i premi per i migliori film.
Negli anni '50, quando la villa sarà infine ultimata e Jean-Gabriel e Odette esprimeranno il desiderio di essere un giorno inumati nella tomba di ispirazione etrusca, opera  dalla scultrice, a un intervistatore il pittore confesserà: "...Je n'ai pas d'enfants, pas d'héritiers. Ma femme et moi sommes seuls au monde. Il ne restera de nous que cette maison que nous avons voulu belle pour le seul plaisir d'aimer les jolies choses et de savourer le bonheur terrestre, étant entourés du luxe de la nature..." . 
In quella stessa intervista Domergue esprimeva la speranza che nel tempo la sua casa non finisse all'abbandono, che anche altri ne potessero godere "...Mais il ne faudrait pas laisser tout cela à l'abandon. Il faut que d'autres que nous en profitent." Può riposare tranquillamente in pace nella sua tomba etrusca, il suo desiderio è stato esaudito: con nuove funzioni espositive e non più residenza privata certo è cambiato l'arredamento interno, ma non è cambiato il suo splendido atelier con tutte le vetrate piene di luce che si aprono sul superlativo giardino, non sono cambiate le statue a cui altre se ne sono aggiunte, sempre presenti su balaustre e cancelli in ferro battuto i suoi amatissimi levrieri che riposano pure loro in una tomba  nascosta dietro un cespuglio con tanto di scultura e soprattutto, nella bellezza del luogo, continua ad aleggiare quel "bonheur terrestre" di cui l'artista andava parlando.
 

lunedì 28 luglio 2014

Er ist wieder da!

Magico potere dell'invenzione letteraria! Può far apparire improvvisamente in un punto imprecisato del deserto del Sahara un bambino dai capelli biondi che chiede di avere disegnata una pecora oppure un signore dalla divisa militare logora e impolverata in un campo non ancora edificato della Berlino di oggi. Certo non è la stessa cosa, il primo fa di nome Piccolo Principe, vessillo universale dei valori più belli, l'amore e l'amicizia, il secondo  si chiama Adolf, si proprio così, Adolf Hitler, impersonificazione per eccellenza del "male radicale" per dirla alla Kant. "Er ist wieder da", "(Lui è di nuovo qua) il titolo dell'edizione originale in Germania, "Lui è tornato" la versione italiana, "Il est de retour" quella francese che ho appena finito di leggere. In fondo credo non esistano buoni o cattivi soggetti e non ricordo quale scrittore l'abbia detto ben prima di me, è il modo di trattarli che ti prende o meno, che ti fa divorare parola per parola ogni pagina oppure che ti spinge a una lettura trasversale veloce.  Questo libro, grande successo editoriale in Germania e tradotto in non so quanti paesi, per me rientra nel secondo caso, non mi ha preso, o forse mi ha disturbato, non so, come Alberto Sordi o Fantozzi che con i loro personaggi ci fanno vedere allo specchio tessere di noi che non vorremmo vedere. Eppure l'invenzione è buona, l'Hitler, quello vero, si risveglia 67 anni dopo  in un terreno abbandonato, riceve provvisoriamente ospitalità da un edicolante nel suo chiosco che trovandolo assolutamente originale gli presenta due suoi clienti abituali, degli agenti televisivi che lo ingaggeranno subito"fiutando" nel personaggio qualcuno che bucherà lo schermo. Comunicatore esperto e notorio fruitore delle tecniche di propaganda, Hitler si appropria subito delle possibilità mediatiche del presente, inizialmente la pubblicità televisiva gli fa pensare a un complotto di rape o di porri, ma ne intuisce presto l'incredibile potere, nuove strade per veicolare vecchie idee sempre in auge, aggiornate naturalmente al contesto storico attuale. La verità, quando è troppo evidente, diventa non credibile, grande spunto di riflessione. Hitler è vestito come Hitler, si muove come Hitler e soprattutto pensa e ragiona come Hitler dicendo le stesse terribili cose di un tempo, ma è "troppo lui" per essere "lui", tutti pensano a un brillantissimo esempio di "method acting", quella tecnica interpretativa che consiste nell'immedesimarsi completamente nel ruolo che si sta interpretando, tutti pensano a un attore straordinario di se stesso che dice le cose non politically correct che dice per ottenere l'effetto opposto, criticare cioè la società odierna, rivelarne contraddizioni, corruzioni, manipolazioni, ingiustizie, volgarità. Questo Hitler dei nostri giorni, che diventa in un battibaleno star di youtube, che sprizza scintille di veleno intollerante contro le nostre società melting-pot, altro che "purezza della razza", non viene preso sul serio, esattamente come all'inizio della sua ascesa politica; lo si interpreta come un ossimoro in carne ed ossa, blatererebbe il male per affermare il bene, sottolineerebbe il marcio dell'animo umano per indurlo al suo opposto e tutti i partiti gli spalancano le porte, lo vorrebbero come esponente, finalmente qualcuno che dice pane al pane e vino al vino, viene persino preso a pugni per strada da un gruppo neonazista che non riconosce in lui il capo originario con la C maiuscola. Chi lo sa, forse il libro non mi è piaciuto perché faccio come lo struzzo che infila la testa nella sabbia per non vedere, forse mi mette a disagio dover constatare che Hitler certo non è cambiato, ma soprattutto non siamo cambiati nemmeno noi, circolano indisturbate idee pericolose e informazioni distorte, i cattivi maestri parlano e trovano schiere ad ascoltare ed applaudire, niente di nuovo sotto il sole e in fondo, a ben pensarci come suggeriscono le ultime parole del libro, "Tout n'était pas mauvais", ( tutto non era poi così male), una buona base per riprendere il filo del discorso.      

venerdì 18 luglio 2014

Duende e flamenco: olè!

                                                                            Carmen sta ballando
                                                                            per le strade di Siviglia.
                                                                            Ha i capelli bianchi e le pupille lustre.
                                                                            Ragazze
                                                                            tirate le tendine!
                                                                            Sulla sua testa si avvolge
                                                                            un serpente giallo,
                                                                            mentre pensa ballando
                                                                            ai giovani d’altri tempi.
                                                                            Ragazze
                                                                            tirate le tendine!
                                                                            Le strade sono deserte
                                                                            sul fondo si indovinano
                                                                            cuori andalusi
                                                                             in cerca di vecchie spine.
                                                                             Ragazze
                                                                             tirate le tendine!
                                                                            Ballo!  Federico Garcìa Lorca tradotto da Carlo Bo
      
E dove se non al "Museo del Baile Flamenco" di Siviglia me ne potevo andare per capire qualcosa di più di questa misteriosa arte? Fondato dalla famosa ballerina di flamenco, la "sevillana" Cristina Hoyos, il museo, situato in un palazzo settecentesco di tre piani,  si propone di aprire le porte di un mondo conosciuto solo in modo  superficiale e stereotipato ai più, mondo di cui naturalmente anch'io faccio parte. Attraverso una collezione di costumi e scialli, schizzi e quadri di vari artisti, video, schede didattiche e fotografie delle stelle del flamenco di ieri e di oggi si intuisce quanta ricchezza espressiva si nasconda dietro il flamenco che è forse riduttivo definire solo "ballo". Qui si organizzano anche stage, corsi di ballo ( abbiamo la fortuna di assistere a una lezione) e naturalmente spettacoli di alta qualità. 

In una sala vengono spiegate le origini del flamenco, quelle fonti culturali che nel loro insieme hanno contribuito al sorgere di questo ballo:
-le influenze classiche: i Fenici, la cultura greca: le nacchere
-le influenze orientali: la cultura indiana, araba, egizia: il movimento delle braccia, il canto e gli strumenti musicali
le influenze afro-cubane: le percussioni, il movimento dei fianchi e delle spalle
- le influenze francesi della scuola bolera: il movimento dei piedi (zapateos)
In una seconda sala vengono rappresentati sette diversi stili o "palos" che caratterizzano il flamenco. Ogni tipo di ballo ha una sua personalità, un suo colore, dove ogni movimento suggerisce qualcosa: "Alegria": la gioia -"Seguiriya": dolore e morte- "Tangos": passione - "Solea": nostalgia - "Guajira": sensualità- "Farruca" : eleganza - "Bulerìas": seduzione. Arrivati in Andalusia nel XV° secolo  da una regione del nord dell'India chiamata Sid che oggi fa parte del Pakistan,( del 1447  il primo documento che testimonia della loro presenza in Spagna), sarebbero i gitani del sud della penisola iberica ad aver creato la musica del flamenco.  

La terza sala riflette la storia dell'emancipazione del flamenco, dai segreti patii andalusi nelle feste familiari, al Cafè Chantant di fine '800, dai Tablaos degli anni '20 alle grandi produzioni teatrali e cinematografiche del presente.  Non servono strumenti per far musica, agli inizi è solo ritmo e per questo bastano una voce, lo schioccare delle palme delle mani, l'ondeggiare di un corpo,  la chitarra si aggiungerà molto più tardi, nel XX° secolo, con l'introduzione dello "zapateo" , il battere dei piedi.  Improvvisazione e virtuosismo  non devono naturalmente mai mancare all'appello.
E poi l'ultimo, indispensabile ingrediente, difficile o meglio impossibile da definire anche per gli spagnoli stessi: el duende. Cos'è il duende? Un folletto della notte? Una presenza oscura? Un certo "non so che" che scaturisce dal più profondo delle viscere? E chi lo sa? Forse è tutto questo insieme, forse è drammaticamente e splendidamente la passione del vivere, quel  "corazon"  sempre palpitante e  misterioso che Picasso offre all'amico, ineguagliato interprete, Antonio Gades, o "quel fuoco che si ostina a morire per rinascere ogni volta" (Un feu qui s'acharne à mourir pour renaître, c'est le style flamenco") come la dedica di Jean Cocteau nel suo schizzo.
   
Nel bar-libreria- boutique della "Scuola del Flamenco" gadget,  foto, oggetti e soprattutto libri per saperne di più: fra le numerose pubblicazioni spicca una biografia di Cristina Hoyos che dice "Grazie alla Vita" e  " I percorsi terapeutici del flamenco", una vera rivelazione. Altro che sedute interminabili dall'analista col fazzoletto sempre a portata di mano per asciugare le lacrime; 
se per farsi passare lo spleen del vivere si può ricorrere a nacchere e olè,  lo preferisco alla grande!