giovedì 30 agosto 2012

Helena Rubinstein: Madame!

Di solito preferisco leggere saggistica, ma questa biografia di Helena Rubinstein del 2010, appena uscita in edizione economica, è veramente appassionante. L'ha scritta Michèle Fitoussi,  brillante editorialista della rivista Elle, di cui  avevo letto anni addietro "Le Ras-Le-Bol des Superwomen", un caustico pamphlet sulla condizione della donna moderna  che nella ricerca di autonomia e parità dei sessi ha finito per caricarsi oltre misura di tutti i ruoli possibili. Finiamola di voler essere super donne, dei superman in gonnella -  il messaggio proposto dalla giornalista - e limitiamoci ad essere semplicemente donne che già basta e avanza. Adesso Fitoussi si è interessata a Madame, come veniva chiamata tout court Helena Rubinstein, questo gigante della cosmesi, "la donna che ha inventato la bellezza", come sottotitola il libro. Buona idea, perché i suoi  93 anni di vita rappresentano quasi un secolo di storia e quale storia quando si tratta del '900. Il libro non è solo la cronaca di una riuscita straordinaria, di un'esistenza più avventurosa di un romanzo picaresco, ma uno spaccato di storia del costume, dei grandi nomi che hanno fatto la moda, da Paul Poiret e Schiapparelli  a Yves Saint Laurent passando da Coco Chanel, Dior e Balenciaga, uno spaccato di storia dell'arte e del mondo della letteratura  perché Madame coi guadagni crescenti diventerà una bulimica collezionista. In Messico saranno  Diego Rivera e Frida Kahlo ad iniziarla all'arte primitiva  e le conversazioni con Brancusi faranno il resto, si farà ritrarre da Marie Laurencin,  Salvador Dalì, Raoul Dufy, Van Dongen, Picasso, Graham Sutherland e tanti altri, sarà fotografata da Dora Maar, compagna e musa di Picasso, avrà occasione di conoscere e frequentare le élite intellettuali di ogni capitale da Somerset Maugham a Bernard Shaw, da Kipling a Virginia Woolf, James Joyce e Hemingway, sarà persino ricevuta alla Casa Bianca dal Presidente Roosevelt  e in Israele Ben Gurion darà un pranzo in suo onore. Leggere della storia della bellezza, in cui peraltro si è cimentato anche Umberto Eco e alla cui evoluzione Madame ha largamente contribuito, significa anche seguire il percorso dell'emancipazione femminile, la progressiva conquista di una libertà civile e personale; sono ormai finiti i tempi antichi dei bagni nel latte d'asina ma anche quelli in cui la chiesa identificava la bellezza e la cura della propria persona col diavolo tentatore, anche il trucco diventerà di uso comune e le donne con occhi e labbra dipinte non avranno più paura di assomigliare ad attrici o prostitute. La vita stessa di Helena Rubinstein  è una testimonianza diretta di emancipazione perché nella lunga marcia per la creazione del suo impero  Madame  è partita da lontano, da molto lontano. Non è da tutti avere il coraggio di salire su una nave nel 1896 a 24 anni da sola e senza una lira per la lontana Australia, il nuovo mondo, con in valigia poche cose e 12 barattoli di crema, prezioso dono premonitore della madre Gitel prima della partenza che rappresenteranno l'inizio di un'idea e della sua straordinaria carriera; una crema fabbricata da due chimici ungheresi che la sera la mamma usava spalmare oculatamente sul viso delle figlie per difenderle dai rigori degli inverni polacchi. Non è da tutti  avere quel coraggio soprattutto se si nasce nel 1872 a Kazimiers, sobborgo ebraico di Cracovia  in una famiglia modestissima  e ortodossa : "Mais elle était une femme juive et pauvre, née en Pologne, à la fin du XIX° siècle. Autant dire qu'elle n'était personne".  Non è da tutti infrangere la tradizione e soprattutto in quell'ambiente fatto di "beaucoup d'enfants, beaucoup de Shabbats, beaucoup de prières et beaucoup de soumission", separarsi dalla famiglia, dalle  sette sorelle e osare rifiutare il marito già scelto per lei dal padre, Helena è la maggiore e dovrebbe accasarsi per prima. Ma quel maggio 1896, questa forza della natura tutta concentrata in  un metro e quarantasette centimetri di altezza, sale a bordo della nave tedesca Prinz Regent Luitpold  e  parte per l'Australia, a migliaia di chilometri dalla sua Polonia natale; raggiungerà tre zii materni che non ha mai conosciuto in vita sua. Sarà la prima "cavia" della sua crema sperimentando su se stessa gli intrugli  preparati di notte nella sua "cucina", poi non ce ne sarà più bisogno, sorgeranno fabbriche come funghi per i suoi prodotti. A Melbourne, nel 1902, Madame aprirà il suo primo istituto di bellezza per le australiane dalla pelle rovinata dal sole e segnata dal vento, offrirà loro  "Valaze", una versione rivisitata della crema della sua infanzia di cui non svelerà mai il segreto della composizione. Valaze, "dono del cielo" in ungherese.  Dopo l'Australia seguiranno i soggiorni a Londra, a Parigi, a New York, tutti potenziali mercati da conquistare e che Madame conquisterà. Chiaro che gli ingredienti per ottenere successo sono moltissimi, ma leggere la vita di Madame insegna che nulla cade gratuitamente dal cielo, lei ha sempre appassionatamente, indefessamente, tenacemente lavorato sette giorni su sette, anche 18 ore al giorno.   E come in ogni vita luci, ombre e contraddizioni e dato il calibro del personaggio all'ennesima potenza. Le luci sono la costante curiosità per ogni cosa, la sua genialità imprenditoriale, la capacità di saper far tesoro di ogni insegnamento e ogni incontro, l'aver provveduto a tutta la sua famiglia distribuendola in posti strategici del suo impero, l'aver affrontato scientificamente la bellezza, documentandosi sempre ai massimi livelli e con i massimi esperti  delle ricerche nel settore. Le ombre sono la solitudine che accompagna sempre i grandi condottieri, due mariti e soprattutto due figli che hanno costantemente anelato ad una compagna e a una madre amorevole e presente che non c'era quasi mai "toute leur vie, ils vont rechercher une chaleur, une attention, une affection, qu'Helena leur aura si mal dispensées" e che ha sempre anteposto il lavoro ai bisogni affettivi dei suoi cari. Le contraddizioni: un'alternanza di generosità e avarizie, grande amabilità e insopportabile autoritarismo, infaticabile attivismo e fughe depressive, un gran miscuglio di tutto, come l'arredamento delle sue innumerevoli case  " .....toujours ce gout du mélange des styles et des époques, du toc et du vrai, du beau et du bizarre".  Di questa donna che creando la Fondazione che porta il suo nome e che sostiene l'educazione, la salute e la cultura aveva detto "Ma fortune provient des femmes et doit leur revenir à elles ainsi qu'à leurs enfants, pour améliorer la qualité de leur vie" è forse l'immodesto Picasso, tra uno schizzo e l'altro, a proporre la sintesi più efficace: " La distance entre vos oreilles et vos yeux est exactement la même que la mienne. ça veut dire que vous êtes un génie, tout comme moi!"

lunedì 27 agosto 2012

Entroterra nizzardo: La vie en douce

 Decisamente  questa è l'estate delle gole, non eroticamente profonde come titolava quel film degli anni 70 che suscitò grande scandalo, ma paesaggisticamente stupende. A inizio vacanze les Gorges du Verdon e ora, a fine estate  les Gorges du Loup.
 La prima tappa della giornata fuori porta è l'antica Gourdon, fortificata in seguito  alle invasioni saracene del 700 e 800, soprannominata Nido d'Aquila per quei suoi 760 metri di altezza e malgrado la sinistra omonimia non siamo a Berchtesgaden nelle Alpi bavaresi, ma sulla Costa Azzurra, poco distante da Grasse. I dépliant turistici, forse esagerando, lo definiscono uno dei più belli villaggi di Francia, affacciato com'è "in solitario" davanti alla verdeggiante Vallée du Loup e a  tutte le montagne ricoperte di macchia mediterranea; la piazza Victoria offre uno sguardo privilegiato per svariati chilometri di costa fino al mare.


In puro stile provinciale, l'antico castello feodale eretto sulla base di una prima fortezza del IX° secolo, non è più visitabile; è di proprietà privata e gli arredi d'epoca sono stati tutti venduti all'asta. Non più libero nemmeno l'accesso ai suoi giardini a terrazza disegnati dal grande Le Notre, il paesaggista di Versailles, solo per gruppi e su prenotazione. Peccato!
Un borgo veramente minuscolo, troppi turisti, troppi ristoranti,  troppi negozi di profumi, essenze, oli, miele, lavanda, oggetti di vetro fatti a Taiwan, saponi, tutti concentrati in quei pochi  vicoli del borgo.



Come sempre angoli preziosi di bellezza e poesia si lasciano scoprire:  un dipinto che ha la finestra come cornice, bottiglie colorate,  un gatto bianco che si stiracchia sul davanzale della finestra, un albero ombroso fra le pietre delle case, la  chiesa romanica del XII° secolo, bellissima nella sua austera semplicità, con un San Vincenzo ligneo dai pomelli rossi.
Nel percorso tortuoso e affascinante da Gourdon a Tourrettes sur Loup ci si addentra nelle gole. Assolutamente imperdibile , le Saut du loup, stupendo punto panoramico con il suo ponte tra cascate, rocce e farfalle e la "grande marmite" erosione geologica del fiume Loup formatasi nel terziario e quaternario. 
Infine l'affascinante Tourrettes sur Loup, il villaggio della violetta "Victoria" coltivata da ottobre a marzo e proposta in mille varianti: fiore per i bouquet, fiore cristallizzato come caramella, gelato, marmellata, sciroppo, la foglia recisa destinata all'industria profumiera della vicina Grasse. A fine raccolta, a marzo, Tourrettes sur Loup celebra con una grande festa questo romantico fiore. 
Tourrettes mi piace perché è segreta. Dalla strada provinciale non si vede nulla, solo la solita pigra piazza dei villaggi del sud; bisogna entrare dalle sue due porte laterali per scoprire la sua originale ricchezza architettonica articolata intorno a un'arteria centrale a forma di mezzaluna. Negli anni 50 il borgo era molto di moda, luogo d'incontro privilegiato di musicisti, pittori, scrittori, poeti, il grande Prévert vi amava soggiornare. -Quanto ce la siamo spassata- mi racconta un vecchio signore di origine calabrese con cui chiacchiero al bar- incredibile allora l'atmosfera di festa, e quanti pétards, ci siamo fatti- dove pétard sta per "spinelli" e qui, a quanto pare, di "erba" ne circolava tanta.

Bellissimo e curatissimo come sempre in tutte le città grandi e piccole dei nostri cugini d'oltralpe, il Municipio, fiero simbolo per eccellenza della "grandeur" francese. Il castello-municipio di Tourrettes apre le sue porte a numerose manifestazioni culturali, come l'esposizione pittorica del momento.

Anche a Tourrettes non mancano atelier d'artisti e d'artigiani, ma con discrezione e misura. Mi attira il nome di un negozio "La vie en douce" espressione impossibile da tradurre letteralmente in italiano; propongo "con leggerezza, semplicemente la vita"  e il concetto mi piace molto.

sabato 18 agosto 2012

Dolceacqua




Dopo aver visitato negli anni non so più quanti "villages perchés" dell'entroterra nizzardo, era proprio ora di cominciare la scoperta di quelli italiani e ne vale la pena perché Dolceacqua è un vero gioiello facilmente raggiungibile a solo 7 chilometri da Ventimiglia prendendo lungo l'Aurelia la strada provinciale 64.

Dolceacqua è un tipico borgo medievale della Val Nervia, lungo il torrente omonimo. La parte più antica viene chiamata " Terra" dagli abitanti del luogo ed è dominata in cima alla rocca dal Castello del XII° secolo, fatto costruire nel suo primo nucleo dai conti di Ventimiglia per controllare l'accesso alle valli circostanti. Acquistato nel 1270 dalla famiglia Doria che lo abiterà fino alla sua distruzione nel 1744, il castello, più volte trasformato nei secoli, appartiene ora al comune e ospita nelle sue parti restaurate manifestazioni culturali e concerti serali.

La parte più recente detta il "Borgo" si snoda sulla riva opposta del Nervia, ai lati della strada che risale la valle. "Borgo" e soprattutto "Terra" entrambi rispettosamente restaurati e turisticamente accoglienti, sono un vero labirinto di antichissimi carrugi acciotolati, gradoni, luce solare  e ombra che si insinuano, alternandosi, fra le vecchie mura. Di grande fascino la via Castello, la strada principale, e il vicolo Cassini, dedicato all'omonimo famoso astronomo, direttore dell'Osservatorio di Parigi nel XVII° secolo,  dove le case in pietra sono collegate fra loro da archi di controspinta con le botteghe al pianterreno, ora  studi d'arte e ateliers d'artigianato.

Nella centrale Piazza d'Armi all'ingresso di "Terra" la bellissima quattrocentesca Parrocchia di San Antonio Abate.  Grandi festeggiamenti patronali il 14 agosto per S. M. Assunta e stupefacente la ricchezza decorativa dell'interno barocco.


Ma l'asso nella manica  di Dolceacqua è senza ombra di dubbio quel ponte romano che collega le sue due parti offrendo di giorno come di notte scorci panoramici da sballo. Ben prima del turista odierno o con quella sensibilità per il bello tipica degli artisti se n'è accorto anche Monet, scegliendo di dipingerlo nel lontano 1884. Il quadro si trova nello Sterling and Francine Clark Institute in Massachusetts.

Siamo capitate a Dolceacqua il 15 agosto e naturalmente la sera a Borgo grande festa in piazza; bella atmosfera paesana, il gruppo Portofino suona i successi vecchi e nuovi per soddisfare grandi e piccini, ballano tutti, persino un originale signore con il suo cane Yorkshire in braccio che non sono riuscita a immortalare.


Per gli intenditori di vino c'è la produzione locale, il prestigioso Rossese, che pare vada giù che è una meraviglia e se qualcuno ha voglia di fermarsi a dormire a Dolceacqua consiglio di guardare in sù in un vicolo di Terra: vedrà un'invitante, sorridente signora in cartone. Però attenzione, è al terzo piano di un'antica torre di pietra e, non ho verificato, ma secondo me non c'è l'ascensore.


giovedì 16 agosto 2012

extra large


"Extra large" è titolo troppo intrigante per passare inosservato e mi è venuta subito la voglia di andare a vedere al Forum Grimaldi di Montecarlo, che organizza sempre mostre di qualità, di cosa si tratta. Il gigantismo in arte mi ha offerto una recente occasione di riflessione nella mostra sul realismo socialista a Villa Manin, gigantografia di personaggi, opere e manifesti  a fini  propagandistici, ma questo uso "politico" dell'arte non  viene proposto nella selezione delle opere monumentali del Centro Pompidou in trasferta sulla costa azzurra.
opera di Anish Kapoor
  Qui la scelta delle creazioni più smisurate fra le collezioni del museo parigino, come quell'immenso rinoceronte dell'artista Xavier Veilhan che troneggia sul tetto del Forum, ha l'obbiettivo di sottolineare il rapporto fra l'opera, lo spazio espositivo  e il visitatore stesso. In un'epoca di sovresposizione visiva dove la pubblicità o il cinema fanno ricorso al grande formato per colpire l'immaginazione, anche gli artisti  hanno raccolto la sfida adottando gli stessi mezzi, in particolare quello delle proporzioni fra l'oggetto e il suo fruitore.
opera di Franck Scurti



L'articolata presentazione alla mostra sottolinea: " la stranezza della dismisura. Ingigantita, sproporzionata, distorta, la rappresentazione di esseri e oggetti assume per numerosi artisti una valenza al tempo stesso meravigliosa e inquietante. Il gioco di scala, il passaggio dal piccolo al grande, modifica profondamente l'aspetto del soggetto rappresentato. Il grande formato, tradizionalmente associato a valori di ordine e di edificazione morale, nell'era moderna determina una sovversione dei generi e suscita fascino e al tempo stesso perplessità".
Sfilano opere di vari movimenti,  surrealismo, espressionismo astratto americano, arte povera, minimalismo, Land art, video art, con i loro esponenti più prestigiosi; mi colpiscono in particolare due opere a carattere "sociale e simbolico" di due artisti cinesi: un aereo di Cai Guo-Qiang  "Bon voyage. 10.000 collectables from the Airport" concepita per la XXVI° Biennale di San Paolo con infilzati nella sua struttura di midollino intrecciato 10.000 oggetti fra forbici, lime, rasoi, coltellini svizzeri, tutto quello che viene requisito al controllo bagagli dell'areoporto e
 " Round Table" di Chen Zhen.
Un'immensa tavola di legno circolare al cui centro sono incisi in cinese i diritti dell'uomo e intorno 29 sedie tutte diverse provenienti dai cinque continenti. L'opera è stata creata nel 1995 per la commemorazione del cinquantesimo anniversario delle Nazioni Unite a Ginevra. Interessante il suo duplice messaggio in positivo e in negativo: da una parte l'eterocliticità di quelle sedie rimanda all'utopia dell'artista di un dialogo aperto e egualitario fra i popoli, dall'altro le sedie sollevate da terra, diversamente posizionate e imprigionate nello spesso legno del tavolo sottolineano metaforicamente la difficoltà di questa comunicazione, impossibile in realtà prendere posto e partecipare a una comune discussione.

Accanto al Forum Grimaldi il minuscolo giardino giapponese voluto a suo tempo da Grace Kelly, col suo perfetto equilibrio fra acqua, verde e pietra nel rispetto di tutta la raffinata filosofia zen che lo contraddistingue. Davanti al laghetto e all'imprescindibile ponticello laccato di rosso la giovane Alena, moscovita,  cerca di fermare l'eternità dell'attimo con la sua sapiente matita.



 Di fronte invece al Forum, completamente soffocata dal mare di cemento dei palazzoni monegaschi, la bellissima Villa Sauber, un tempo Museo delle Bambole e degli Automi e chissà dov'è andata a finire quella particolare collezione. Da tre anni Villa Sauber è stata ristrutturata e organizza mostre esigue, per quantità di opere, ma con allestimenti ricercati.



Attualmente e fino al 25 novembre si può ammirare "Kees Van Dongen, l'Atelier", dipinti, disegni e i suoi diversi atelier attraverso fotografie e interviste del pittore olandese vissuto nel Principato fra il 1949 e il 1968, anno della sua morte. Ho sempre amato questo artista che ha messo la donna al centro del suo universo pittorico.


Acrobata di circo, ballerina o vedette di cabaret, carni rosa e sensuali che si possono ammirare al circo Medrano o alle Folies-Bergère, prostituta, dama di mondo o aristocratica dell'alta società passando per la prima moglie Augusta, Fernande Olivier, compagna per un certo tempo dello "sciupafemmine" Picasso o l'universo della moda incontrato grazie all'amicizia col mitico Paul Poiret è sempre lui, l'eterno femminino il protagonista assoluto delle sue tele.

Tango ou Le Tango de l'Archange 1922



Con i suoi iniziali disegni pungenti e apertamente anarchici per i giornali satirici, cronista dell'ingiustizia sociale nei primissimi anni del '900, Kees diventerà l'acclamato ritrattista mondano del bel mondo, dello sfavillio e dell'artificio nella Parigi degli anni folli, ambitissimi i balli nel suo grande atelier, quante famose, da Mistinguett fino a Brigitte Bardot faranno la coda per un suo ritratto. E chi non vorrebbe essere oniricamente immortalata in quel tango assolutamente straordinario da un artista che afferma: " La donna è il paesaggio più bello" ?