domenica 1 settembre 2019

a magical texan wedding (prima parte)



Il Ranch: se la sposa fosse stata di Mortara, probabilmente il matrimonio si sarebbe celebrato in un agriturismo della Lomellina, se nativa di Ostuni, certamente avremmo fatto festa in una masseria pugliese, ma si da il caso che Heather sia texana e allora, let's go, la scelta dei ragazzi è caduta su un ranch, il Moon River per la precisione. Accipicchia che ranch, manco al cinema, gli unici che abbia mai conosciuto nei westeroni nostrani, avevo mai visto qualcosa di simile. Il bello del luogo è che non è sorto subito come una location per cerimonie ed eventi, questa è stata per anni la casa privata di una coppia (con tanti figli e amici, immagino, viste le dimensioni) che poi ha divorziato. Solo di recente, l'attuale proprietario ne ha deciso la nuova vocazione. Essere in un ranch privato, abitato e amato, assolutamente autentico nel suo genere, significa trovare un'atmosfera calda e accogliente dove ogni angolo, ogni dettaglio, dai mobili agli oggetti, sono stati pensati, cercati e curati. Ti senti in una vera casa insomma, anzi, in un vero ranch.

Che dire???? Ero incantata, sorpresa, incuriosita da questo posto così insolito, quasi mi sentissi catapultata  su un set di Cinecittà, non a caso ho scattato più foto di un paparazzo. Tanto per cominciare stupisce la vastità degli esterni, ho pensato al marchese di Carabas del Gatto con gli Stivali perché c'era il fiume, il lago, il bosco, ettari di terreno a perdita d'occhio e poi, proprio come in un agriturismo agricolo, una specie di villaggio con tante case, lo spaccio, capannoni, depositi e fienili riattati, la chiesetta, neanche nelle ricostruzioni di Disney World c'è tutto questo ben di dio. Quanto a dimensioni poi non scherzavano neanche gli interni, piazze d'armi più che stanze e tutto rigorosamente in legno, texan style ogni dettaglio con grande coerenza decorativa. 
Una pletora di animali imbalsamati, ( non certo una mia passione), persino un orso e corna, corna, corna di ogni tipo e specie, è ciò che mi ha più colpita. Elemento imprescindibile di ogni ambientazione corna ovunque e dalle molteplici funzioni, supporti di lampade, sospese ai muri, parte di divani. Ecco, in questo incredibile Moon River Ranch ci siamo trovati per un lungo fine settimana di tre giorni in un centinaio di persone provenienti da ogni dove, varie città americane e dall'Europa, a festeggiare gli sposi e con gli sposi. Intere famiglie fra nonni, figli e nipoti, amici e compagni di studi e di lavoro di Marco, il simpaticissimo Charlie, il pastore protestante di Heather con la famiglia e parte della comunità dei fedeli, le amiche del cuore di sempre della sposa.
Vita di ranch: Sembrava di essere in una comune come andava tanto di moda nei miei anni giovanili, insieme ma ognuno libero di fare quello che voleva e le attività erano fra le più disparate: i bambini a giocare o a mollo all'acqua in piscina come le mie nipotine Martina e Virginia, chi se la dormiva bello pacifico in carrozzina come il loro fratello Niccolò e chi preferiva sorridere in braccio a papà come il cuginetto Alexander, chi si cimentava nel tiro al piattello e chi se ne stava in panciolle in poltrona a chiacchierare, bere e fumare, chi faceva un giro della tenuta o se ne andava a vedere gli animali su una specie di calesse e chi magari giocava a burraco e non faccio nomi. La sera però nella grande sala fra orsi, linci e stambecchi insieme a guardare un magnifico filmino che a Milano avevano preparato i compagni liceali di Marco. Non per tutti comunque dolce far niente, non solo relax e divertimento, fra gli astanti c'era anche chi lavorava indefessamente per il wedding, ma questo lo racconterò nel prossimo post.
Come sempre succede però, alle ore della pappatoria ognuno spuntava da un posto diverso e ci si ritrovava tutti insieme appassionatamente. La cucina era il luogo degli incontri, l'ho sempre pensato che è la stanza della comunicazione per eccellenza, altro che incontri virtuali sui social.  Fuori davanti al barbecue i ragazzi sghignazzavano, affettavano e  mettevano sulla griglia, quello era un altro luogo da non mancare nelle ore canoniche.  Penso a certi panini che si vendono da  noi, fettine trasparenti di prosciutto e formaggio che ti senti davvero fregata, ma si sa in America tutto è "great" e ci voleva una mascella da gigante per addentare gli hot dog locali, melius abundare quam deficere.  Per finire, nel casino generale non posso non citare l'unica oca del laghetto che con voce acutissima starnazzava a più non posso. Cosa voleva dire? "Fate silenzio, non ne posso più" oppure "uè ragazzi, ci sono anch'io e voglio partecipare alla festa" ?????  Il mistero resta fitto.




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