domenica 30 marzo 2014

Cartagena de Indias extra muros


Le entusiastiche descrizioni di Garcia Màrquez corrispondono al vero, Cartagena de Indias è proprio speciale e per iniziare mi sembra eloquente questa foto, da una parte le antiche mura e dall'altra la città nuova, il dentro e il fuori, il passato protetto dalle fortificazioni e custodito intra muros e il presente che brulica caotico fuori da quei 13 chilometri della muraglia di pietre.

Il centro storico è Patrimonio dell'umanità UNESCO con il suo labirinto di vicoli acciottolati, i balconi straripanti di buganvillee in fiore e le magnifiche case coloniali fin troppo restaurate (sarà l'argomento del prossimo post), l'esterno ha un duplice volto, il "centro" ovvero quello trafficato e rumoroso della città che vive e lavora e dei poveri cristi che si arrabattano e a sud la cosiddetta Miami Beach locale, ovvero la penisola di Bocagrande dove i cartagenos benestanti sorseggiano il caffè nei locali alla moda fra condomini lussuosi e sembra di stare a Manhattan. "Bocagrande", con quel nome che è tutto un programma vuol forse dire che la città vuole espandersi ancora? "Avevo 5 anni quando i miei genitori lasciarono la città  per trasferirsi a Bocagrande, in quello che allora (...) era un quartiere nuovo, costruito dagli americani in riva al mare. Eravamo tra i primi. I miei nonni avevano criticato molto una decisione che allora sembrava un'avventura: perché andare a vivere così lontano? A Bocagrande non c'era nessuno (ci abitavano solo quattordici famiglie), non c'era servizio di autobus, per fare la spesa dovevamo servirci di un'auto privata, non c'erano neppure negozi...Per andare a scuola e in seguito all'università dovevo tornare al centro. In compenso a Bocagrande c'era la spiaggia: per fare il bagno ci bastava uscire di casa. A poco a poco il quartiere cambiò, si allargò, diventò quello che è oggi". (1)
Per i dedali della cittadella cammineremo a piedi, ma per il giro fuori le mura c'è il comodo autobus e dal Convento de la Popa chiamato anche Convento de Nuestra Senora de la Candelaria santa patrona della città,  su una collina che è il punto più alto della città, si gode di una vista stratosferica.
"Se non sei salito alla Popa, non hai visto Cartagena" recita un grande cartello turistico parlando di questo convento fondato dai padri agostiniani nel 1607, originariamente solo una piccola cappella in  legno poi sostituita da un grande edificio quando due secoli dopo la collina è stata fortificata prima di uno dei tanti assedi che la città ha subito. Bellissimo il patio interno tutto fiorito. Altare barocco d'oro tutto sfavillante e esposizione di una grande collezione di ex-voto.
Osservo anche un manifesto di Padre Pedro Claver (1580-1654). Conoscevo Monsignor de las Casas strenuo paladino degli abitanti del nuovo mondo che ha avuto modo di difendere nella Controversia di Valladolid (http://www.saranathan.it/2013/05/ma-ce-lhanno-lanima.html), ma non sapevo nulla del monaco spagnolo Pedro Claver, soprannominato "apostolo dei neri" o "schiavo degli schiavi" che ha dedicato tutta la sua vita ad assistere gli schiavi deportati dall'Africa e nominato primo Santo del nuovo mondo con la sua canonizzazione del 1888. Di Pedro Claver visiteremo nella città vecchia l'omonimo convento dove è vissuto e morto.
Fondata a inizi 1500 Cartagena è la perla indiscussa della costa caraibica. Divenuta in breve tempo il più importante porto spagnolo e il principale punto di accesso settentrionale al sud America rappresentava praticamente il forziere della Spagna, qui il deposito di tesori sottratti ai nativi in attesa dei galeoni che li avrebbero portati nella madrepatria colonizzatrice. Logico che la città sia stata presa di mira da bucanieri di ogni dove, nel solo XVI° secolo ha subito ben cinque assedi, fra cui quello condotto dal celeberrimo inglese Sir Francis Drake nel 1586. Altrettanto logico che per fronteggiare i continui attacchi pirateschi gli spagnoli abbiano eretto una serie di fortezze intorno alla città oltre alla cinta di mura dell'antica Cartagena che è già di per se una fortezza.

Visitiamo il Castillo de San Felipe de Barajas, la più più grande fortezza mai costruita dagli spagnoli in territorio coloniale. La struttura originaria del 1657 sulla cima della collina di San Làzaro era di dimensioni modeste, ma l'ampliamento intrapreso nel 1762 ha inglobato l'intera collina in un possente e impenetrabile bastione che ha fatto il suo dovere di difesa in numerosi tentativi di conquista.

I punti strategici del forte erano collegati da un complesso sistema di gallerie che consentiva la distribuzione delle provviste e facilitava eventuali fughe. Le gallerie erano realizzate in modo tale che i suoni si propagassero per la loro intera lunghezza, consentendo di udire così anche il più lieve rumore. Adesso l'atmosfera è molto pacifica, al posto dei pirati che razziavano gratis di tutto, ci sono i turisti disposti a pagare profumatamente, previa ampia scelta, per un cappello o per fare una fotografia accanto a una florida locale in coloratissimo abbigliamento caraibico con tanto di vassoio stracolmo di frutta esotica sulla testa.
Pacifica trasformazione turistica anche per Las Bòvedas, 23 celle sotterranee costruite a fine 1700 sul lato esterno delle mura della città. Destinate ad uso militare rappresentano l'ultima grande opera architettonica realizzata in epoca coloniale e utilizzate come deposito di munizioni e provviste, poi divenute prigione in epoca repubblicana e ora trappola per i vacanzieri con tutti quei negozi di artigianato e souvenir. Ci sono cascata anch'io per comprare delle spille di imitazione precolombiana da offrire alle amiche.


(1) Silvia di Natale: Millevite Viaggio in Colombia. casa editrice Feltrinelli

3 commenti:

  1. Cartagena mi sembra una delle vittime della "globalizzazione" selvaggia. Non ha il carisma della capitale, secondo me, né la bellezza delle aree da te visitate nell'interno del Paese. La maggiore attrazione, per me personalmente, è il fatto che Garcia Màrquez vi ha ambientato "L'amore al tempo del colera". Comunque la tua descrizione è brillante.

    RispondiElimina
  2. Viva Colombia siempre; a Lei Cartagena le appare come una vittima della globalizzazione, mentre a me come la terra in cui andrò, se Dio vorrà, a passare gli ultimi momenti della mia vita. Saluti
    Massimo Calzoni

    RispondiElimina
  3. No signor Calzoni, Cartagena mi è sembrata assolutamente affascinante e come molte altre città che ho visitato ricca di contraddizioni, ma è l'amica Daniela che ha commentato prima di lei a interpretarla come vittima della globalizzazione. Le auguro di passare là bene gli ultimi anni com'è suo desiderio, straordinari senz'altro l'umanità e il calore della gente

    RispondiElimina