martedì 3 maggio 2011

Marrakech, nonostante le bombe

Di questi intensi quattro giorni  avevo pensato di non parlarne sul blog, questione di rispetto e di pudore. Come fai a raccontare dei bighellonaggi in giro per la città, mentre in quegli stessi luoghi è appena successa una tragedia? Come sovrapporre senza soluzione di continuità il piacere al dolore? Poi ieri sera, appena rientrata a Milano e prima di andarmene a dormire ho riletto il post la mia Marrakech ferita a morte.
 Paolo scrive:- Ho pianto oggi, la rabbia mi ha divorato il cuore e annebbiato la mente pensando a questo scempio, a questi morti innocenti, alle conseguenze che pagheranno tutti i marocchini perbene ed onesti. Non abbandonateci, non abbandonate tutti questi marocchini perbene ed onesti che vivono di voi, della vostra vacanza spensierata, delle vostre allegrie e dei vostri disappunti. Il Marocco è sempre lo stesso, ama i turisti e farà tutto il possibile per punire questi infami che in nome di un Dio che non li riconoscerà mai, hanno ucciso persone innocenti e scaraventato tutti noi in un baratro di incertezze. Questa sera anche il cielo di Marrakech sta piangendo, lacrime di nuvole, che si uniscono alla morte e che abbracciano tutta la città.-

Mi è venuta in mente mia cugina Dorit che voleva andare a passare un fine settimana proprio in quell'albergo semi distrutto nell'incendio del Monte Carmelo a Haifa pochi mesi fa per contribuire in qualche modo anche lei alla ricostruzione. Mi sono venute in mente tutte le perplessità che suscito ogni volta che vado in Israele. -Ma come, non è pericoloso? Non c'è sempre rischio di attentati?- Oppure, peggio ancora, spesso senza conoscere la storia, le barriere ideologiche che bloccano le gambe e chiudono il cuore del tipo - niente Israele perché è un paese imperialista aggressore o in Birmania non si va per non contribuire all'economia della sua dittatura-.

Ma un paese non è fatto solo dei suoi governi, è fatto di gente che ha bisogno di  mangiare tre volte al giorno, ridere, sognare,sperare, vivere insomma esattamente come noi, gente come noi che a fatica deve inventarsi la giornata e un futuro migliore. L'isolamento non si fa inquinare, certo preserva identità, usi e costumi, modi di vivere, in Birmania mi è stato evidente, ma nello stesso tempo toglie la possibilità straordinaria del confronto, della circolazione delle idee, dell'arricchimento che deriva reciprocamente dall'incontro con l'altro, col diverso da se.
Così, accogliendo l'invito di Paolo, mi sono detta che dovevo continuare a fare quello che ho sempre fatto da quando ho iniziato a scrivere il mio blog, raccontare semplicemente quello che vedo tentando di condividere bellezze, riflessioni ed emozioni di un viaggio, di un paese, di un posto e soprattutto della sua gente. In qualche modo la mia modesta testimonianza è il contributo che posso dare.
Tutte le foto di questo post sono del giardino Majorelle, il pittore Jacques Majorelle venuto a vivere a inizio 900 a Marrakech per continuare la sua carriera artistica. Il giardino è aperto al pubblico dal 1947. Yves Saint Laurent con il socio e compagno Pierre Bergé hanno comprato la proprietà, restaurato il giardino e creato una fondazione che ne assicura la salvaguadia.

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