mercoledì 4 maggio 2011

Marrakech: primo diario di bordo

La cosa mi ha colpito, la prima parola che ho visto atterrando sul suolo maghrebino è stata "edelweiss", una teutonica stella alpina a due passi dalle dune del deserto; a Salisburgo o a Monaco di Baviera magari troverei Emirates e Thai Pacific, che casino tutto questo mondo in movimento.
Dopo le terribili notizie dall'Italia dell'esplosione appena avvenuta e la decisione collettiva di restare, ci aspetta un pulmino per il primo tratto, quello dall'aeroporto alla medina, la città intra muros, poi a piedi dietro a un carrettino spinto a mano con i nostri bagagli; se cercavamo emozioni siamo subito accontentate, come inizio non c'è male. Mi viene in mente Ravello in costiera amalfitana, diverso metodo di trasporto, ma lo stesso fascino, là lungo i vicoli  sconnessi le valige le caricavano sugli asini.  Immediata full immersion nelle stradine brulicanti, negli odori di spezie che le nostre città ignorano, fra i caffettani e le babbucce colorate, fra biciclette e motorini che si intrufolano dappertutto e guai se non stai attenta a tenere la destra. La stradina del nostro riad Carmela è anonima e piccola come pure la porta d'ingresso, anche se non sei una pertica per entrare devi abbassare la testa. Bisogna sempre diffidare delle apparenze, ma nelle medine di queste parti ancora di più: -Le nostre case sono come le nostre donne, da fuori non vedi niente, ma poi se entri....- dicono non a caso i marocchini. Nella Marrakech storica avviene esattamente il contrario rispetto ai quartieri nuovi, qui siamo molto lontani dall'ostentazione esteriore di sfarzo e ricchezza, il bello è nascosto, si svela solo all'interno, va scoperto, centellinato ed assaporato nel segreto dell'ombra di cortili e patii.
Il proprietario Joel è un parigino che qualche hanno fa ha rivoluzionato la sua vita ed il suo lavoro venendo a vivere qui, non è il solo straniero a Marrakech ad aver fatto questa scelta. Intorno ad un tavolo e con il primo bicchiere di una lunga serie di tè alla menta, cartina in mano, ci da le prime indicazioni su come orientarci nel dedalo di vie, dove è più prudente non passare, qualche consiglio sui rischi locali e con quel che è appena successo, particolarmente. Le scolarette ascoltano silenziose ed ubbidienti.

Sia dal retro in un grande giardino che davanti, a ridosso della piazza Jemaa el-Fna, comunque la si guardi e da qualunque parte, la Moschea Koutoubia è l'edificio più alto della città intra muros. Una legge del 1939 emessa durante il periodo del protettorato francese stabilisce che a Marrakech tutte le case devono essere color ocra e che nella medina non devono superare i 12 metri per permettere al minareto della Koutoubia di svettare  
incontrastato dall'alto dei suoi 70 metri. Uguale restrizione per gli edifici milanesi intorno agli anni 50 che non potevano superare la Madonnina- mi spiega un amico architetto-. Quando Rogers e Peressutti, prestigiosi architetti dello studio Belgiojoso fecero la torre Velasca, ci furono molte polemiche per via della sua altezza leggermente superiore. 
La moschea è del XII secolo e prende il suo nome dai librai, i koutoubiyin, che un tempo avevano le botteghe nel quartiere e vendevano i libri sacri agli studenti della dottrina coranica. La Koutoubia condivide con la piazza Jemaa el Fna il titolo di simbolo di Marrakech ed è meritatamente famosa per la sua architettura arabo-andalusa. Come per tutti gli altri luoghi sacri del Marocco, ad eccezione della moderna Moschea di Hassan II a Casablanca è proibito l'ingresso ai non mussulmani.
Proprio davanti alla Koutoubia prendiamo un autobus che ci porta nella Marrakech moderna fuori dalle mura. Avevo trascorso qui una settimana una quindicina di anni fa ed ho trovato grandissimi cambiamenti. Allora mi aveva colpito il contrasto fra certe ville e palazzi lussuosissimi e la mancanza ed il degrado delle infrastrutture: strade, piazze e negozi sporchi e dissestati, due mondi vistosamente contraddittori che convivevano fianco a fianco. Ora lunghi viali asfaltati, puliti,  ben tenuti e ricchissimi di verde, il nuovo teatro reale, la stazione, la posta, la piazza 6 novembre, centro della città extra muros, ovunque le jacarande in fiore secondo spettacolari variazioni di blu.
Continuando per qualche chilometro, si arriva alla Palmeraie ed il paesaggio muta nuovamente. Realizzata nove secoli fa per produrre datteri e creare un'oasi di ombra rinfrescante, questa immensa foresta di palme irrigata da un complesso sistema di canalizzazioni sotterranee era un vero paradiso. E' diventata terreno ambito degli alberghi di lusso che spuntano come funghi, solo qualche scorcio ancora autentico qua e là, ma attenzione alle palme finte che nascondono i ripetitori per i telefoni  e ai poveri cammelli in attesa dei turisti.


   

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