venerdì 1 aprile 2011

Myanmar: Il venerabile Maestro

Non sono pazza e non ho certo la pretesa di disquisire approfonditamente di religione su un post, per sua natura  veloce e poi in un blog colloquiale come il mio. Solo alcune riflessioni. Esiste una scintilla creatrice? Siamo il frutto di un disegno supremo che ci risulta misterioso o abbiamo creato noi il trascendente per un intimo bisogno di credere? Cosa c'è prima e dopo e oltre quello straordinario ammasso di carne, liquidi, cellule e neuroni che ci compone?

 Domande da brivido che fanno tremare le gambe, montagne di pagine di tutte le discipline tentano da millenni delle risposte. Chi ha una fede, qualunque essa sia, mi sembra in qualche modo avvantaggiato, forse vive più tranquillo, ha almeno una certezza, chi come la sottoscritta coltiva il dubbio come metodo di vita ed il precario come unica consapevolezza non può che procedere a tentoni nel buio.



Per quel poco che ne so, il Buddha mi sembra fare una proposta spirituale interessante: non ti chiede di arrovellarti la testa con dilemmi che restano tali, lui stesso non ha mai risposto alla domanda sull'esistenza di Dio, non considerandola fondamentale ai fini della salvezza. Il centro del suo pensiero non si focalizza sull'aldilà, ha scoperto che già "l'aldiquà" non è uno scherzo.

 Il principe indiano Gautama Siddharta, colui che diverrà l'Illuminato (V° sec. circa a.C.) osserva il presente e vede sofferenza, malattia, vecchiaia, morte. Intuisce che la causa prima del dolore risiede nell'ignoranza, ovvero nel rifiuto di conoscenza e di auto-consapevolezza e nella nostra sete di tutto, sete di essere, di avere, di piaceri carnali, di beni materiali, di protagonismo individuale. Propone allora un percorso etico, l'Ottuplice Sentiero, per liberarci dal dolore, frutto dei nostri desideri.


L'Ottuplice Sentiero, (ovvero "retta visione", "retto pensiero","retta parola", "retta azione", "retto modo di sostentarsi", "retto sforzo", "retta concentrazione", "retta meditazione") e  nel suo nucleo  5 precetti fondamentali (in lingua pali: pancasila) recitati come preghiera dai devoti in templi e monasteri (non uccidere, non rubare, non abbandonarsi alla lussuria, non mentire, non assumere sostanze inebrianti) esprimono seppur con altre parole gli stessi valori e codici comportamentali dei 7 precetti noachici menzionati nell'Antico Testamento che non sono solo appannaggio degli ebrei, ma che si rivolgono a tutti.

Mi sembra affascinante e ricco di riflessioni  riconoscere la matrice comune , archetipale oserei dire, delle fondamenta etiche del vivere sul pianeta terra. Nella tradizione ebraica, Noè è il primo "giusto" per eccellenza, uomo e basta, senza distinzione di razza, lingua, nazionalità o religione e l'umanità intera è figlia di Noè. Nessun dogma, sulla base di questi principi, e poco importa che siano buddhisti  ebraici o laici, si può fondare qualunque filosofia, qualunque teologia, poiché prima di essere articoli religiosi sono norme della ragione e della dignità umana, ogni uomo può e deve riconoscervisi.

Credevo che Gautama Siddharta, il Buddha storico, fosse l'unico, ma mi sbagliavo. Egli sarebbe solo l'ultimo, in ordine di tempo dei Buddha comparsi nelle varie epoche storiche dell'umanità. Per i buddhisti theravada birmani per esempio ce ne sono stati altri tre precedenti, per i thailandesi addirittura 24. Carico di responsabilità, ma nel contempo foriero di speranza sapere che ogni individuo è artefice del proprio destino, siamo tutti "portatori di una scintilla" (altro punto in comune con la mistica ebraica) e se  non ce la fai in questa vita, attraverso il tuo agire è nelle tue mani la possibilità di preparartene una prossima  migliore.

In occidente parliamo del Chiostro del Bramante, delle Madonne di Raffaello, del Cristo di Cimabue, studiamo le creazioni religiose e gli  artisti che ne sono gli artefici. Non così in estremo oriente e le ragioni sono molteplici. Se è vero che l'arte figurativa birmana è solo di contenuto religioso ed ha una funzione educativa e didattica, l'opera d'arte non ha anche quel valore intrinseco che noi le attribuiamo, ma solo quel valore simbolico per cui è stata creata. Se la statua nasce quindi da una "necessità religiosa", l'artista non conta, scompare dietro la sua opera, l'obbiettivo è quello di fare un atto meritorio, e creare un Buddha lo è    fortemente, non quello di realizzare un'opera d'arte che risponda a criteri estetici. E poi l'insegnamento vuole spegnere quell'individualismo di cui noi occidentali siamo così ghiotti,  significativo solo il messaggio di cui l'opera è portatrice per la collettività.

Il margine di creatività, di invenzione personale dell'artista è pressoché nullo, ogni posizione del corpo del Buddha (asana), ogni mudra (posizione delle mani) sono strettamente codificati ed hanno una  simbologia ben precisa, 32 sono i segni fisici che caratterizzano la statua di un Buddha. Due posizioni reclinate per esempio, quella completamente sdraiata, piedi paralleli rivolti verso l'alto quando raggiunge il nirvana supremo e quella col gomito inclinato che sostiene la testa e i piedi scostati quando insegna ai suoi discepoli. Ci sono variazioni stilistiche delle varie scuole e dei diversi periodi storici che rendono riconoscibile subito un Buddha del periodo di Bagan da un Buddha di Mandalay, ma anche la foggia in cui gli abiti monacali si drappeggiano sul corpo, la direzione dei riccioli della capigliatura, le proporzioni delle varie membra, ogni dettaglio è codificato nei testi. Addossate alle pareti o incassate in tabernacoli le sculture consentono solo una visione "piatta" frontale o parzialmente laterale, è una statuaria massiccia, imponente che stupisce per le dimensioni e per l'uso di colori forti.


Il Buddha si presenta solo come il Maestro che indica la strada, ma di fronte allo spropositato numero di rappresentazioni in ogni angolo del paese, confesso che talvolta mi sono chiesta qual'è per i fedeli il confine, quella sottilissima linea di demarcazione fra la venerazione e l'idolatria.

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