Domande da brivido che fanno tremare le gambe, montagne di pagine di tutte le discipline tentano da millenni delle risposte. Chi ha una fede, qualunque essa sia, mi sembra in qualche modo avvantaggiato, forse vive più tranquillo, ha almeno una certezza, chi come la sottoscritta coltiva il dubbio come metodo di vita ed il precario come unica consapevolezza non può che procedere a tentoni nel buio.
Per quel poco che ne so, il Buddha mi sembra fare una proposta spirituale interessante: non ti chiede di arrovellarti la testa con dilemmi che restano tali, lui stesso non ha mai risposto alla domanda sull'esistenza di Dio, non considerandola fondamentale ai fini della salvezza. Il centro del suo pensiero non si focalizza sull'aldilà, ha scoperto che già "l'aldiquà" non è uno scherzo.
Il principe indiano Gautama Siddharta, colui che diverrà l'Illuminato (V° sec. circa a.C.) osserva il presente e vede sofferenza, malattia, vecchiaia, morte. Intuisce che la causa prima del dolore risiede nell'ignoranza, ovvero nel rifiuto di conoscenza e di auto-consapevolezza e nella nostra sete di tutto, sete di essere, di avere, di piaceri carnali, di beni materiali, di protagonismo individuale. Propone allora un percorso etico, l'Ottuplice Sentiero, per liberarci dal dolore, frutto dei nostri desideri.
Mi sembra affascinante e ricco di riflessioni riconoscere la matrice comune , archetipale oserei dire, delle fondamenta etiche del vivere sul pianeta terra. Nella tradizione ebraica, Noè è il primo "giusto" per eccellenza, uomo e basta, senza distinzione di razza, lingua, nazionalità o religione e l'umanità intera è figlia di Noè. Nessun dogma, sulla base di questi principi, e poco importa che siano buddhisti ebraici o laici, si può fondare qualunque filosofia, qualunque teologia, poiché prima di essere articoli religiosi sono norme della ragione e della dignità umana, ogni uomo può e deve riconoscervisi.
Credevo che Gautama Siddharta, il Buddha storico, fosse l'unico, ma mi sbagliavo. Egli sarebbe solo l'ultimo, in ordine di tempo dei Buddha comparsi nelle varie epoche storiche dell'umanità. Per i buddhisti theravada birmani per esempio ce ne sono stati altri tre precedenti, per i thailandesi addirittura 24. Carico di responsabilità, ma nel contempo foriero di speranza sapere che ogni individuo è artefice del proprio destino, siamo tutti "portatori di una scintilla" (altro punto in comune con la mistica ebraica) e se non ce la fai in questa vita, attraverso il tuo agire è nelle tue mani la possibilità di preparartene una prossima migliore.
In occidente parliamo del Chiostro del Bramante, delle Madonne di Raffaello, del Cristo di Cimabue, studiamo le creazioni religiose e gli artisti che ne sono gli artefici. Non così in estremo oriente e le ragioni sono molteplici. Se è vero che l'arte figurativa birmana è solo di contenuto religioso ed ha una funzione educativa e didattica, l'opera d'arte non ha anche quel valore intrinseco che noi le attribuiamo, ma solo quel valore simbolico per cui è stata creata. Se la statua nasce quindi da una "necessità religiosa", l'artista non conta, scompare dietro la sua opera, l'obbiettivo è quello di fare un atto meritorio, e creare un Buddha lo è fortemente, non quello di realizzare un'opera d'arte che risponda a criteri estetici. E poi l'insegnamento vuole spegnere quell'individualismo di cui noi occidentali siamo così ghiotti, significativo solo il messaggio di cui l'opera è portatrice per la collettività.
Il Buddha si presenta solo come il Maestro che indica la strada, ma di fronte allo spropositato numero di rappresentazioni in ogni angolo del paese, confesso che talvolta mi sono chiesta qual'è per i fedeli il confine, quella sottilissima linea di demarcazione fra la venerazione e l'idolatria.
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