martedì 30 settembre 2014

un uomo degno

Con Carlo Alberto e Donatella e certi loro amici di bicicletta ho fatto a febbraio di quest’anno il viaggio in Colombia e Panama, poi non ci siamo più visti, però l’ultimo ricordo è bellissimo e ne ho le prove, oltre alle foto,  anche un filmino che ho girato quella sera a San Agustin mentre ballavano tutti in grande allegria nel ristorante della nostra guida, l’effervescente Hugo. (http://www.saranathan.it/2014/03/hugo-da-verona.html). Poco dopo il ritorno da quel viaggio, dei malesseri, delle analisi e l’infausta diagnosi: nel giro di pochissimi mesi Carlo Alberto, amico da  una vita, perché 30 anni e passa di frequentazione sono una bella fetta di strada, se n’è andato.  Durante la malattia non l’ho incontrato, forse per dispiacere, forse per imbarazzo e poi la sofferenza esige discrezione e l’ho rispettata; non ho potuto partecipare neppure al funerale, ma pare che ci fosse un sacco di gente perché erano in molti a volergli bene.  Anno terribile questo 2014, ha visto partire per il lungo viaggio molte persone a me care. 
Per stare finalmente insieme  all'amica, per ritrovare e salutare lui nei luoghi che amava, sono andata in questi giorni in Valpolicella, a Negrar, nella sua campagna del cuore. E i luoghi, altrettanto significanti che le persone, cambiano, si trasformano e parlano; raccontano storie di passione, cura e dedizione di coloro che li hanno abitati: una vecchia proprietà di famiglia che era un rudere e che è ritornata a vivere, ogni angolo di casa e giardino amorevolmente valorizzati e tutti quei bellissimi tralicci di viti a pergola e a spalliera che si snodano lungo i filari tappezzati d'erba e che ogni anno rinnovano i loro doni, quei grappoli d'uva straordinaria per il recioto, per l'amarone, vini pregiati che non hanno certo bisogno di presentazione.
E non solo l'uva, ma gli alberi ricchi di pere, mele, mele cotogne e avanti con le marmellate, i melograni rossi rossi, i cachi ancora indietro, le dalie in fiore, un vero festino della natura di fine estate con i primi colori dell'autunno che bussa alla porta.


Vado a cercare Oscar, un robot dal nome da maggiordomo che anni fa, quando Carlo Alberto me lo aveva presentato, mi aveva molto divertito, ma la sua casetta è vuota, affidabile ed ubbidiente fa autonomamente il suo orario di lavoro ed è in giro a tagliar l'erba.
Erano  proprio i giorni della vendemmia, quel momento cruciale accompagnato da grande attenzione perché rappresenta il fine più o meno riuscito del lavoro di tutto un anno; i grappoli di prima scelta destinati a divenire il nettare degli dei, l'amarone più pregiato, adagiati uno per uno con mille precauzioni manco fosse un neonato, poi gli altri, ammonticchiati in cassette e quelli tagliati e scartati per terra perché non sono come dovrebbero. Sentendo parlare di vitigni dai nomi diversi, di caratteristiche dell'acino,  del tasso di alcolicità dell'uva, della fatica del ceppo, di confronti con gli anni passati per quantità e qualità, di  regole e normative a mai finire, si intuisce la complessità del mondo della vite, insieme all'ulivo forse la pianta più antica della storia dell'umanità.  

Si intuisce che quello del vino è un mondo ricco e affascinante e non solo perché George Clooney in un film si era messo a fare il coltivatore. Intorno alla vite, un lavoro che non è solo lavoro, ma vera passione e Carlo Alberto questa passione ce l'aveva proprio. Osservo la bellezza di questa campagna, il borgo di Marano sulle colline in lontananza, sfondo al grappolo maturo che aspetta di essere reciso, osservo l'amica che si muove fra i filari, che lavora con gli uomini, che fa domande, vuole capire e imparare e l'ammiro perché con grinta e volontà si ritrova a dover far fronte per la prima volta a saperi  che ancora non le appartengono, eppure sembra voler accettare la sfida. In una pausa dal lavoro si beve, si parla, si mangia del formaggio e qualche salatino; c'è una famiglia intera, padre, madre e figlio  che vendemmia in quella campagna da non so quanti anni. Con l'essenzialità tipica di tutti coloro che lavorano la terra e che non hanno tempo né inutili parole da sprecare, la  donna si rivolge a me e dice: " Era un uomo degno" e quelle quattro parole mi sono sembrate dire tutto.    

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