mercoledì 24 settembre 2014

il congiuntivo ai Caraibi

E se vi dicessi che ai Caraibi esiste un arcipelago di isole un po' strano? E' abitato dagli umani, da una ricca fauna, da una lussureggiante vegetazione, ma anche e soprattutto dalle parole, parole di tutti i tipi, avverbi, pronomi, nomi, aggettivi, verbi e quel pizzico di sale che talvolta ci si mette sopra, ovvero gli accenti. Seguendo la logica di questo arcipelago pare che gli accenti siano come le spezie per gli alimenti, danno sapore alle parole.

E se vi dicessi che sull'arcipelago regna seminando il terrore un dittatore, il nefasto Nécrole, che si fa chiamare "Monsieur -le-Président-à-vie-et- même- au- delà"? Lui trova che i suoi sudditi parlino troppo, un grande spreco di parole scritte e orali e allora ha proibito quelle inutili, anzi, come risulta dalla circolare ministeriale 453 del 2-02-2013 ne ha autorizzate soltanto dodici: nascere, mangiare, bere, urinare, defecare, dormire, divorziare, sposarsi, lavorare, invecchiare, morire e naturalmente acclamare che per ogni tiranno è indispensabile. E allora tutte le parole proibite si sono ribellate, hanno sfilato in manifestazione brandendo grandi cartelli protestatari fino davanti al palazzo presidenziale, ma Nécrole ha perso l'occasione di catturarle tutte con una grossa rete, mentre erano là riunite in piazza e le ha fatte invece disperdere con gas lacrimogeni. "Se perdiamo le parole, non servirà più incendiare i libri come si è fatto in varie epoche storiche, anche ai nostri giorni, nessuno potrà più raccontare niente, ma come si farà a capire qualcosa?" si interrogano gli abitanti dell'arcipelago che votano la loro solidarietà con le parole e la guerra a oltranza  contro Nécrole. Nel frattempo le dodici parole autorizzate, ospitate con tutti gli onori in un'ala del palazzo presidenziale, conducono una vita lussuosa, ma si annoiano da morire, sbadigliano in continuazione; come "morire" che pure ha a disposizione tanto di bara a forma di Ferrari, come per esempio il verbo "mangiare" che certo non si diverte se non può essere accompagnato da nessun commento, da nessun apprezzamento: perbacco com'era buono! che leccornia! rapanello, avocado, lepre in salmì, vinaigrette, charlotte alle pere Williams... le parole hanno il potere di arricchire un piatto, sono anch'esse un nutrimento.
E se vi dicessi che laggiù, in quelle isole lontane è operativa una "fabbrica delle parole"? Se ne inventano di nuove ad ogni istante perché il mondo va avanti, un continuum di scoperte in progress e servono le parole per definirle e poi in quella fabbrica capita di assistere anche a scenate di gelosie fra i sinonimi: per esempio "serenità, gioia, contentezza, letizia, piacere, allegria, beatitudine" ce l'hanno su a morte con "felicità" che la fa da padrone, è sempre lei la più citata, la più chiacchierata,  la più agognata, la più scritta e le altre si sentono trascurate. Come ogni stato che si rispetti, poi, su una delle isole dell'arcipelago esiste addirittura un ospedale per le parole malate: corridoi vuoti, nessuna infermiera, ma l'eco di sottili gemiti che dicono la sofferenza inferta da noi umani alle parole: immobile sul suo letto, pallidissima, esausta, giace una piccola frase "je t'aime", solo sette lettere e un apostrofo. -"Sono un po' stanca" - sussurra con un fil di voce- "sembra che ho lavorato troppo. Mi devo riposare". Tutti lo pronunciano a oltranza questo benedetto "je t'aime", nota l'autore, ma bisogna fare attenzione alle parole, non adoperarle a caso, proteggerle, non servirsene come menzogne, perché anche le parole si consumano e talvolta è troppo tardi per salvarle.

E se vi dicessi che da quelle parti può capitare di incontare Antoine, si, proprio quello del Piccolo Principe, e un pallidissimo Marcel chino sulla sua Recherche che non finisce mai e Jean (de la Fontaine) circondato da tanti animali che sembra di essere nell'arca di Noè? Già, quando la morte si avvicina a un grande scrittore, le sue amiche parole, all'ultimo istante, lo rapiscono e lo portano sull'isola, qui e solo qui potrà continuare a vivere grazie alle sue parole impresse per sempre sui fogli bianchi. Senza quelle sue pagine scritte è come se lo scrittore morisse una seconda volta.
Per finire, navigando qua e là si approda all'isola più interessante, quella dei congiuntivi. Lasciamo perdere l'isola degli infiniti che come dice Nécrole non sanno quel che vogliono, lasciamo perdere quella degli imperativi che litigano in continuazione perché tutti comandano e ognuno vuole aver ragione, facile da sottomettere per il dittatore anche il condizionale, un perditempo verbale che emette solo ipotesi e che non ha mai il coraggio di affermare quel che pensa veramente, ma il congiuntivo, ah, il congiuntivo è un'altra cosa! Il congiuntivo è un nemico dell'ordine costituito, un eterno insoddisfatto che da mane a sera desidera o dubita. In un mondo che vuole solo certezze- si può mai costruire una civiltà partendo dal desiderio e dal dubbio? - si chiede Nécrole. Già, il sogno è pericoloso per l'ordine sociale, una malattia nefasta perché evoca l'universo del possibile "vorrei che tutti gli uomini fossero liberi", per esempio. "Réclamer le possible, tout le possible, c'est critiquer le réel, le monde tel qu'il est, la pauvreté, les injustices..."  Il sogno sarebbe dunque una battaglia, una battaglia contro la realtà, una battaglia per migliorare la realtà e il congiuntivo risulterebbe il più rivoluzionario dei tempi verbali, per questo il tiranno Nécrole, assetato di "status quo", lo teme e lo vuole eliminare.

Esiste veramente sulla carta geografica un arcipelago come questo? Prima che la fantasia straordinaria di Erik Orsenna lo inventasse era certo introvabile, ma adesso no, c'è, ed è vivo e vegeto. Delle riflessioni profonde piene di poesia come solo le favole sanno essere, un dono prezioso dello scrittore a tutti coloro che amano quel tesoro inestimabile che è ogni lingua. A proposito, se qualcuno ha l'intenzione di organizzare un viaggio da quelle parti, che me lo faccia sapere subito per favore, vorrei aggregarmi anch'io.

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