martedì 18 dicembre 2012

Sayoonara Giappone e il colore?

Ci sono viaggi, senz'altro i più belli, che ti prendono la testa e il cuore. La testa nel senso che la curiosità intellettuale viene continuamente sollecitata e il cuore perchè i luoghi che vedi e le persone che  incontri suscitano magicamente in te grande empatia.  Ho provato questo senso di pienezza in Myanmar e in Cile e ovviamente, considerate le lontananze dei due paesi, per ragioni diversissime. In Cile si concentrano all'ennesima potenza tutte le bellezze di madre natura e l'atmosfera umana è solare, mi sono sentita a casa, potrei andarci a vivere domani.
 In Birmania sorprendente il totale estraniamento, come catapultata in un altro pianeta di cui vorresti sapere tutto perché ignori ogni cosa e il dolcissimo sorriso, disarmante e autentico di decine di migliaia di Buddha e delle persone. Ci sono poi i viaggi che ti strappano soprattutto il cuore, tale è il calore dell'ambiente e della sua gente e penso alla magica Cuba con la sua musica che ti accompagna a tutte le ore e spunta da ogni anfratto.
Infine i viaggi  della testa, intellettualmente e visivamente super stimolanti, straordinarie certe realizzazioni di architettura contemporanea, ma dove il cuore no, quello di una trasgressiva mediterranea come me,  non riesce a vibrare ed è il caso del Giappone. Se mi si chiedesse di definire il paese con un solo aggettivo risponderei senza esitazione "estremo". Secondo me è estremo in tutti i sensi e cerco di spiegarmi. Per posizione geografica, già in quanto isola e al di fuori di tutti i continenti, per la sua storia, è stato un paese sempre indipendente e occupato per la prima volta e per breve tempo solo nel 1945, per scelte politiche strenuamente isolazioniste, per la costante difesa e fierezza di valori e tradizioni ancestrali.

 Estremo per rigore, igiene, disciplina, ordine, raffinatezza, efficienza,  obbedienza collettiva, organizzazione, rispetto di formalismi e convenzioni, ma come sempre c'è il risvolto della medaglia con le sue facce negative. In Giappone per esempio ogni dettaglio è curatissimo, persino i tombini delle strade vogliono risultare opere d'arte, persino il disordine ambisce ad essere ordinato, ma allora che disordine è? C'è spazio per un po' di sano, fisiologico casino o tutto deve essere sempre perfetto, troppo perfetto? controllato, troppo controllato?
       
Ed è mai possibile che non si possa fumare neanche all'aperto se non in apposite zone agli angoli di certe strade? Fumare è un piacere che si vuole condividere stando in mezzo agli altri e of course ho trasgredito, cosa me ne faccio di mettermi da sola in castigo in un cantuccio magari con le orecchie d'asino come si usava una volta dietro la lavagna? E poi il divieto non è per la salute degli altri, perché in tutti i ristoranti e luoghi pubblici chiusi si può fumare, eccome, è giusto per non avere i mozziconi per terra.

 In viaggio amo fotografare la gente suscitando le più svariate reazioni  individuali, chi gradisce, chi non vuole, chi sorride, chi fa una smorfia. In Giappone un'omogenea reazione collettiva, tutti sorridono, tutti si mettono in posa con il gesto di vittoria delle mani, persino il bambinetto di tre anni ancora un po' impacciato si esercita con le dita. Un'omologazione comportamentale frutto, credo, di modelli troppo rigidi.
Non c'è un cane che corra in libertà, tutti rigorosamente al guinzaglio anche nei prati, anche nei parchi, anche in piena natura, in compenso ho visto tanti quattro zampe portati in carrozzina e la cosa la dice lunga. Da queste parti  per gli specialisti della psiche dovrebbe essere una manna. Una società ad alta competitività, dove lo stress e la pressione sui bambini inizia a tre anni per poter entrare nell'asilo giusto, tappa necessaria per accedere poi alla scuola elementare giusta e così di seguito fino alla fine degli studi e dove il tasso di suicidi è fra i più alti del mondo.

E il colore, la fantasia, un po' di sana follia, dove sono andati a finire? I colori dominanti del Giappone sono il bianco, il beige, il grigio, il nero esattamente come tutti i panni stesi, come gli uomini  rigorosamente vestiti solo di scuro che al mattino si affrettano a grandi passi sulla metropolitana.

Ho avuto bisogno di vedere le onde grigiastre del mare del nord, quei cieli carichi di nuvole, la natura talvolta cupa di certi  paesaggi malinconici per comprendere il tormentato movimento letterario e artistico del romanticismo che certo non poteva sorgere nell'assolata costiera amalfitana, così scelte estreme come fare il kamikaze o praticare il harakiri mi sono risultate più comprensibili a stretto contatto col contesto giapponese. Una società strettamente regolamentata, strutturata, disciplinata, codificata, può finire per suscitare reazioni estreme, come la violenza di certi manga, come la raffinatissima ma particolare fantasia erotica dello scrittore Kawabata nel suo racconto "La casa delle belle addormentate",  come quei kamikaze simboli-martire dell'eccesso di obbedienza militare o come il suicidio rituale non solo degli antichi samurai, ma di un uomo dei giorni nostri, quel poeta, scrittore, saggista che fa di nome Yukio Mishima.


Il 25 novembre 1970 Mishima ha minuziosamente organizzato la sua tragica morte, un suicidio rituale, in diretta davanti allo schermo televisivo per sottolineare la sua ribellione di fronte a quello che lui considerava un tradimento dell'onore e dei valori ancestrali del suo paese. Sottoscrivendo il Trattato di San Francisco nel 1951, il Giappone aveva rinunciato per sempre ad avere un proprio esercito se non per la stretta autodifesa, abdicazione della propria autonomia e sottomissione agli Stati Uniti, entrambe inaccettabili per Mishima. E parole del poeta Mishima pendevano sospese in un'installazione artistica (Inujima Art Project) sull'isola Inujima in una vecchia fabbrica di rame, esempio restaurato e trasformato di archeologia industriale; non ne ho scritto in modo più esteso perché quel luogo mi ha comunicato malinconia.

Sayoonara ai covoni di spighe di riso delle campagne, alle bellissime saracinesche dipinte viste al mercatino vicino al Tempio di Senso-ji, sayoonara  ai magnifici tramonti sulle isole del mare interno con le ciminiere che fumavano e sembrava un paesaggio metafisico, sayoonara a quel magnifico signore che con la coperta sulle gambe dipingeva sereno il panorama davanti a lui, sayoonara ai miei splendidi compagni di viaggio con i quali una volta ancora mi sono trovata benissimo e ho avuto il piacere di scoprire tante cose.


Termino questo mio interessantissimo viaggio nel paese del sol levante con una proposta bislacca, ovvero un gemellaggio Tokyo-Napoli. Non so quale personalità proporre come capo della delegazione nipponica in visita al Vesuvio, non conosco nessuno, ma per quanto concerne casa nostra avrei le idee chiare: un bel gruppo partenopeo di Posillipo con in testa Luciano de Crescenzo in assenza del grande Eduardo purtroppo buonanima. Mescolando efficienza e rigore degli uni, fantasia individuale e allegria degli altri, secondo me scoppierebbero faville con benefici per entrambe le città, meglio dei botti di San Gennaro.
  



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