In Birmania sorprendente il totale estraniamento, come catapultata in un altro pianeta di cui vorresti sapere tutto perché ignori ogni cosa e il dolcissimo sorriso, disarmante e autentico di decine di migliaia di Buddha e delle persone. Ci sono poi i viaggi che ti strappano soprattutto il cuore, tale è il calore dell'ambiente e della sua gente e penso alla magica Cuba con la sua musica che ti accompagna a tutte le ore e spunta da ogni anfratto.
Infine i viaggi della testa, intellettualmente e visivamente super stimolanti, straordinarie certe realizzazioni di architettura contemporanea, ma dove il cuore no, quello di una trasgressiva mediterranea come me, non riesce a vibrare ed è il caso del Giappone. Se mi si chiedesse di definire il paese con un solo aggettivo risponderei senza esitazione "estremo". Secondo me è estremo in tutti i sensi e cerco di spiegarmi. Per posizione geografica, già in quanto isola e al di fuori di tutti i continenti, per la sua storia, è stato un paese sempre indipendente e occupato per la prima volta e per breve tempo solo nel 1945, per scelte politiche strenuamente isolazioniste, per la costante difesa e fierezza di valori e tradizioni ancestrali.
Ed è mai possibile che non si possa fumare neanche all'aperto se non in apposite zone agli angoli di certe strade? Fumare è un piacere che si vuole condividere stando in mezzo agli altri e of course ho trasgredito, cosa me ne faccio di mettermi da sola in castigo in un cantuccio magari con le orecchie d'asino come si usava una volta dietro la lavagna? E poi il divieto non è per la salute degli altri, perché in tutti i ristoranti e luoghi pubblici chiusi si può fumare, eccome, è giusto per non avere i mozziconi per terra.
In viaggio amo fotografare la gente suscitando le più svariate reazioni individuali, chi gradisce, chi non vuole, chi sorride, chi fa una smorfia. In Giappone un'omogenea reazione collettiva, tutti sorridono, tutti si mettono in posa con il gesto di vittoria delle mani, persino il bambinetto di tre anni ancora un po' impacciato si esercita con le dita. Un'omologazione comportamentale frutto, credo, di modelli troppo rigidi.
Ho avuto bisogno di vedere le onde grigiastre del mare del nord, quei cieli carichi di nuvole, la natura talvolta cupa di certi paesaggi malinconici per comprendere il tormentato movimento letterario e artistico del romanticismo che certo non poteva sorgere nell'assolata costiera amalfitana, così scelte estreme come fare il kamikaze o praticare il harakiri mi sono risultate più comprensibili a stretto contatto col contesto giapponese. Una società strettamente regolamentata, strutturata, disciplinata, codificata, può finire per suscitare reazioni estreme, come la violenza di certi manga, come la raffinatissima ma particolare fantasia erotica dello scrittore Kawabata nel suo racconto "La casa delle belle addormentate", come quei kamikaze simboli-martire dell'eccesso di obbedienza militare o come il suicidio rituale non solo degli antichi samurai, ma di un uomo dei giorni nostri, quel poeta, scrittore, saggista che fa di nome Yukio Mishima.
Il 25 novembre 1970 Mishima ha minuziosamente organizzato la sua tragica morte, un suicidio rituale, in diretta davanti allo schermo televisivo per sottolineare la sua ribellione di fronte a quello che lui considerava un tradimento dell'onore e dei valori ancestrali del suo paese. Sottoscrivendo il Trattato di San Francisco nel 1951, il Giappone aveva rinunciato per sempre ad avere un proprio esercito se non per la stretta autodifesa, abdicazione della propria autonomia e sottomissione agli Stati Uniti, entrambe inaccettabili per Mishima. E parole del poeta Mishima pendevano sospese in un'installazione artistica (Inujima Art Project) sull'isola Inujima in una vecchia fabbrica di rame, esempio restaurato e trasformato di archeologia industriale; non ne ho scritto in modo più esteso perché quel luogo mi ha comunicato malinconia.
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