venerdì 9 novembre 2012

Kanazawa e gli alberi con la stampella

Da Tokyo a Kanazawa su  un treno a due piani e bisogna sedersi in quello superiore perché sotto lungo tutto il percorso ci sono le paratie frangi rumore e non si vede niente. Campi coltivati, talvolta il mare, sempre sullo sfondo montagne e colline verdi totalmente vergini perché considerate sacre e quindi sopra non si costruisce niente, in pianura invece sfruttato ogni anfratto del terreno, case e case senza soluzione di continuità che si assomigliano tutte coi loro tetti grigi, ogni tanto per fortuna ne spunta qualcuno blu ad interrompere l'omogeneità del paesaggio.


All'arrivo la stazione è avveniristica, ma dopo il primo bagno di straordinari grattacieli e frenetica modernità dei primi due giorni a Tokyo di cui scriverò in seguito, mi sono abituata e non mi impressiono più. 

Come in molte città del Giappone a Kanazawa scorre il fiume, un fiume importante perché portatore nel passato del più prezioso dei metalli, l'oro. Difatti le foglie d'oro hanno qui più di 400 anni di storia, danno a Kanezawa  il monopolio del mercato di tutto il Giappone e ne fanno il più grande centro di lavorazione del metallo dopo che la Tokyo del periodo edo e Kyoto hanno cessato le loro attività in questo settore. Nell'ambito della cultura buddhista l'oro e l'argento hanno sempre rivestito grande importanza per ricoprire templi, statue del Buddha, oggetti e visitando un atelier ho pensato a quelli visti in Birmania in ben altre condizioni di lavoro.

Se vivessi in Giappone non ho dubbi, vorrei essere un albero, sarei  longevo, rispettatissimo e curatissimo. Nello stupendo giardino Kenroku-en, pare uno dei più famosi del paese, un tripudio di alberi carichi di secoli dai rami immensi che sfidano tutte le direzioni sostenuti ovunque da "stampelle" necessarie in particolare d'inverno quando la neve appesantisce il carico. In qualche modo sembra di essere in una clinica ortopedica all'aperto. L'attenzione per ogni dettaglio fa riflettere e la dice lunga sul rapporto "costruito" che il giapponese intrattiene con la natura, mi chiedo se la parola "wilderness" ha un suo  corrispondente ideogrammatico.











La visita al parco è stata anche l'occasione per vedere le prime amatissime carpe e la prima casa del tè imprescindibili entrambe in ogni giardino giapponese (quelli cosiddetti "bagnati", perché quelli "secchi", tutti di stampo "zen" nei templi buddhisti sono fatti secondo una rigorosa simbologia solo di  rocce, pietre, ghiaia, sassi e sabbia),  la prima coppia  vestita in modo tradizionale e un simpatico giovane fotografo alle prese con una foto di gruppo di vocianti turisti locali.




Dal parco Kenroku-en edificato nel XVII° secolo al "Museo di Arte Contemporanea del XXI° secolo" creato nel 2004 da Sejima Kazuyo,  la stessa che ha concepito la nuova sede  distaccata del Louvre a Lens e attuale direttrice della sezione architettura della Biennale di Venezia, ci corrono vari secoli, ma a piedi è un istante, solo questione di 20 minuti. Struttura luminosissima e scelta di opere contemporanee a carattere spesso ludico. Per esempio una prospettiva magica creata dall'indiano Anish Kapoor (L'origine del mondo), per esempio il muro vegetale del Francese Patrick Blanc che ha firmato la famosa facciata verde del Museo de l'homme" al quai Branly di Parigi e soprattutto " The Swimming Pool"  del 2004 dell'argentino Leandro Erlich. Una piscina  vuota trompe l'oeil, con un solo segmento d'acqua di pochi centimetri racchiuso fra due lastre di vetro; si può osservare dall'esterno e all'interno penetrare sotto l'acqua senza bagnarsi con effetti    che divertono e disorientano  invitando a riflettere sui possibili inganni di ciò che si vede e sui nostri rapporti con la cosiddetta realtà.


Incuneata tra il mare del Giappone e la catena di montagne Hakusan, Kanazawa è la città più importante della regione di Ishikawa. Risparmiata come Kyoto per i suoi valori architettonici dai bombardamenti americani durante la seconda guerra mondiale e non avendo subito gravi cataclismi naturali, la città ha potuto conservare un patrimonio originale con le sue case di samurai raccolte intorno ai resti del castello e il suo quartiere delle geishe ancora autenticamente in attività e non solo ad uso turistico, un mix equilibrato e piacevole tra passato medievale e modernità.
Bellissime le stradine con le vecchie case di legno, i musciarabia davanti alle finestre, ovvero i paraventi lignei come quelli ottomani fatti per vedere all'esterno senza essere visti, i patii interni, scorci di abitudini di vita che forse stanno finendo anche in Giappone.

Abbiamo potuto visitare una  "chaya", una casa di geisha ben preservata con i mobili e soprattutto le straordinarie collezioni di teiere, pettini, monili, scatole laccate ed intarsiate, unghie di avorio per suonare i vari strumenti
 
Forse perchè ci siamo andati di giorno mentre è di notte che le case di piacere si animano, ma di geishe neanche l'ombra e abbiamo finito per accontentarci della vista di quattro amabili signore in kimono che si guardavano curiosamente in giro esattamente come noi.



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