martedì 9 novembre 2010

Tel Aviv: Arte all'Università


Galleria universitaria d'arte Genia Schreiber, Università di Tel Aviv, questo è uno di quegli indirizzi da tenere preziosi in tasca se si viene da queste parti, ne vale veramente la pena. Intanto l'architettura e gli spazi interni: grandi, bianchi, luminosi e modernissimi, il confronto tiene senza problema con certe gallerie della Grande Mela.


All'ingresso una Testa di Medusa del 1999 di Giacomo Manzù.

Ingresso naturalmente gratuito, nessuna delle opere esposte in vendita poiché in quanto spazio universitario non è a fine di lucro, le pubblicazioni d'arte editate per le mostre a prezzi irrisori. Ma la cosa più bella è un'altra, me l'ha raccontata in una lunga chiacchierata la studentessa  alla reception ( Ruth, fotografa, ha già frequentato per  4 anni il prestigioso Istituto d'arte Betzalel di Gerusalemme per la sua formazione artistica, ora è per tre anni all'Università di Tel Aviv per completare quella teorica). Durante l'anno ci sono 4 mostre e tutto, dico proprio tutto, viene organizzato dagli studenti, sotto l'egida naturalmente degli insegnanti. Tutto significa la scelta dell'esposizione e degli artisti, l'allestimento, la preparazione dei cataloghi e del materiale informativo, le innumerevoli problematiche che stanno dietro l'organizzazione di una mostra; altro che critici d'arte, curatori e addetti ai lavori spocchiosi e irraggiungibili, i protagonisti sono loro, gli studenti, i giovani, subito sul campo con ruoli decisionali ed operativi. Mi sembra semplicemente fantastico.

In questo momento c'è una mostra fotografica. Se ho capito bene, una riflessione sulla fotografia come tentativo di rapporto e rielaborazione personale con l'immagine malgrado e nonostante le nuove risorse e possibilità offerte dall'epoca digitale che rischiano di alterare l'immediatezza del dialogo fra l'occhio e la realtà.

Qui pure la sede della Fondazione Michel Kikoine,  grazie alle tele donate dalla figlia dell'artista.     


Accanto ai quadri di Kikoine, per esempio un bellissimo "Nu couché, femme de l'artiste" del 1930, una serie di autoritratti di piccolo formato di Chagall (1912-13), Modigliani (1919), Soutine (1918), Kikoine (1925-27). 



Seguono poi dei ritratti che il grande Modì nei parigini anni '20 ha fatto agli amici Kisling, Max Jacob, Lipchitz, Chana Orloff. Parigi nei primi decenni del '900 per gli artisti europei, quelli provenienti dall'est in particolare, è stata veramente l'ombelico del mondo, sinonimo di libertà artistica e creativa, una immensa caverna d'Alì Babà che senza "apriti Sesamo" offriva gratuitamente, come il Louvre per esempio la domenica mattina, i suoi tesori. Ci sono approdati in tantissimi, dal Giappone come Foujita, dall'Italia come Boldini o Modigliani, dalla Bulgaria come Pascin, ma soprattutto la schiera di russi, lituani, ucraini come Zadkine, Soutine, Chagall, Survage, Kisling, Lipchitz, Mané-Katz, Naum Gabo, Pevsner, Brenner, Chagall, Orloff e tanti tanti altri. Tutti questi artisti costituiscono la cosiddetta "Ecole de Paris" o come dicono certi "l'Ecole juive de Paris" perché la maggior parte sono appunto ebrei. Tutti arrivati in quel porto franco per gli spiriti liberi, in quella terra d'accoglienza che è sempre stata la Francia, non più a Montmartre ma a Montparnasse, per respirare arte, cultura e libertà. All'inizio hanno fatto tutti la fame, alcuni sono diventati  famosissimi, altri sono morti chi di malattia chi per il nazismo, altri ancora sono riusciti a scappare soprattutto in America ed in Israele. Avevo scritto una modesta pubblicazione divulgativa alcuni anni fa sull'Ecole Juive de Paris, perciò li conosco, i famosi, ma anche i meno noti, avevo dovuto naturalmente studiare e documentarmi.  Mi ha dato grande gioia ritrovare molti di loro riuniti ed esposti alla Galleria Universitaria Genia Schreiber dell'Università di Tel Aviv.










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