domenica 21 marzo 2010

Cuba: non solo salsa sigari sesso e sole

Chi ha pazientemente "viaggiato" con me attraverso parole ed immagini, può tirare il fiato, questa è l'ultima fatica cubana, riflessioni in libertà sull'esperienza vissuta. Percorso ricco e vario, cayos, città, campagne, piantagioni, valli, montagne, spiagge e oceano, un vero tripudio di paesaggi naturali ed umani. L'isola è veramente grande, 1200 km da un estremo all'altro e ci sarebbe ancora molto da vedere, ci è mancata per esempio l'Isla de la Juventud, rifugio di pirati del calibro di Francis Drake e Morgan e fonte di ispirazione per Stevenson e la sua L'isola del Tesoro; ci è mancata la scoperta della Bahìa de Cochinos, quella Baia dei Porci, tentativo fallito di ingerenza kennedyana, che ha segnato la definitiva rottura fra Cuba e gli Stati Uniti, ci sono mancati Niquero, Manzanillo e la jungla della Sierra Maestra, i luoghi della regione Granma, epicentro dell'organizzazione rivoluzionaria che ha cambiato la storia di Cuba, mete difficili da raggiungere senza un mezzo proprio che all'inizio del viaggio non avevamo.

Quando prima della partenza dicevo che con Gastone saremmo andate per 5 settimane a Cuba, la gente si stupiva: -ma che ci fate a Cuba 5 settimane?- Certo, se si va solo a Varadero o in qualunque villaggio turistico per abbronzarsi e cuccare, una settimana basta ed avanza, peccato che di Cuba non si ricavi niente, ma proprio niente se non un'immagine parziale e distorta, e non è solo questione di tempo, ma anche di come si sceglie di adoperare quello che si ha a disposizione. L'Italia ha sempre avuto incollata l'etichetta dello stereotipo "sole-pizza-ammore", a Cuba sono toccate in sorte le 4 S, salsa, sigaro, sesso e sole. Si compra un panama, tra un montecristo in bocca e qualche mojito scolato ci si improvvisa novelli Hamingway, due sculettate di salsa, una giovane chica e oplà, il gioco è fatto, ma non è così, l'isola e soprattutto i cubani si meritano di più, molto di più.

Nel nostro precedente viaggio in India, due filtri hanno impedito un contatto non mediato con i luoghi e la gente, l'autista Ravi ed una metalingua, l'inglese, storpiato sia da noi che dagli indiani. A Cuba siamo state veramente in presa diretta: numero 1, in giro da sole, organizzavamo direttamente i nostri itinerari con difficoltà ed imprevisti, numero 2 l'immediatezza dello scambio verbale. Già, il mio giudeo-spagnolo, spagnolito, ladino, ha più denominazioni, quel castigliano del 1500, quella lingua, che gli ebrei cacciati da Sepharad, la Spagna di allora, dall'editto di espulsione del 1492 di Isabella la Cattolica si sono portati appresso nel loro peregrinare intorno al Mediterraneo e soprattutto nell'impero Ottomano all'epoca ben più ospitale, ha tenuto per più di 5 secoli, grazie ad una trasmissione orale di generazione in generazione. Questa lingua, per quanto mi riguarda, l'ho ricevuta in dono da mio padre e dalla nonna paterna ( erano bulgari, ma in casa preferivano parlare in ladino); questa lingua a Cuba, come del resto negli altri paesi dell'America latina (l'ho già sperimentata in Honduras e Guatemala) funziona benissimo, lontana dalla Spagna, suo centro propulsore, non ne ha conosciuto tutte le evoluzioni e le trasformazioni . Me ne sono chiesta la ragione e forse l'ho individuata nel comune traumatico momento storico: nel XVI secolo dei mondi liberi hanno "conosciuto" i conquistadores, nel XVI secolo gli ebrei di Sepharad hanno dovuto fuggire, per entrambi uno tsunami epocale, gli uni si sono visti imporre drammaticamente "anche" una nuova lingua, gli altri si sono portati via fra lacrime e masserizie quella che conoscevano, e "quella lingua" è rimasta. Il cubano è loquace e gioviale, ama lo scambio, parlare la stessa lingua, ovviamente, rende l'incontro più libero ed autentico.

Per quanto riguarda la situazione politica dico solo che non posso condividere quel punto di vista, che definisce il sistema politico del paese "una democrazia rivoluzionaria". Francamente mi sembra un eufemismo. Quando da 52 anni si perpetua al governo un solo ed unico partito, quando da 52 anni non ci sono libere elezioni, quando il Granma è l'unico quotidiano editato, quando chi la pensa diversamente crepa in galera se non riesce a scappare prima e una persona chiude le finestre e si guarda intorno prima di parlare, ammesso che voglia parlare, tutto questo per me ha un altro nome, si chiama "dittatura", posso tuttalpiù aggiungere l'aggettivo rivoluzionaria per far piacere ai puri e duri. La spinta e le motivazioni iniziali, maturate nel humus dell'ingiustizia delle élite e della miseria, sono state senz'altro nobilissime ed hanno prodotto grandi acquisizioni sociali, come alfabetizzazione per tutti, accesso alle università su larga scala, sanità di ottimo livello gratuita per l'intera popolazione, conquiste, queste, ancora impensabili non solo nei paesi del terzo mondo, ma persino nella democratica America del nord e legittimamente i cubani ne vanno molto fieri, ma una "rivoluzione" che dura così a lungo nel tempo e non permette il libero confronto delle idee finisce inevitabilmene per diventare "regime di stato ".

Ho cercato di tradurre con parole ed immagini questo stupendo paese, la vivacità e l'umanità della sua gente, ma non tutto è trasmettibile.

Come dire del ritmo in ogni angolo, dell'energia straordinaria che si sprigiona da vecchi e giovani, matti e bambini?

Come dire del tempo che si è fermato soprattutto nei piccoli centri come Puerto Padre, Nuevitas, la stupenda Remedios, le chiacchere sull'uscio di casa, i giocatori di domino, le biglie dei bambini, il barbiere, forbici in mano, sul marciapiede?

Come dire del risveglio serale di piazze e strade pigre e sonnolente al richiamo della musica, il pifferaio magico, come a Trinidad, a Baracoa, a Santiago, a Santa Clara?

Come dire l'emozione davanti ad un solitario baobab sulla terra rossa di Vinales?

Come dire dei mille incontri estemporanei, chi sei? dove vai? da dove vieni? vuoi ballare? e chi ti racconta fieramente delle sue medaglie conquistate sul campo guerrigliero?

Come dire della solarità di questa gente che contagiosamente ride e sorride?

Come dire dello stupore di una disincantata cittadina metropolitana all'incontro " on the road" di sydecar, calessi, carretti, carri, cavalli, muli, asini, maiali, galline, greggi?

Come il Bel Antonio nel suo paesino siciliano di 60 anni fa, (nostalgia del nostro grande Marcello), tutta Cuba sta affacciata al balcone,

guarda cosa è successo, cosa succede, cosa succederà, coinvolgendo anche l'amico a 4 zampe.

Di veramente "puro" sull'isola caraibica credo ci sia solamente il sigaro, perché la società cubana è figlia della società creola nata dalla colonizzazione e dalla deportazione di schiavi africani, dall'immigrazione europea e quella nord-americana; il cubano è insomma un gran bastardo e lo scrivo attribuendo a questo aggettivo il significato più ricco, più nobile e alto. Gran miscuglio di gente proveniente dai luoghi più disparati, indigeni autoctoni, l'aristocratico hidalgo spagnolo e lo schiavo africano, haitiani, giamaicani, cinesi, francesi, inglesi, una "summa unica di tanti altri, di tanti diversi", nei secoli un'alterità sempre accolta, digerita, integrata e trasformata persino in musica. Bellissima lezione, grazie Cuba!


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