sabato 19 novembre 2016

il Massachusetts Institute of Technology

Sempre a Cambridge, bostoniano sobborgo periferico a nord, al di là del fiume Charles, ma dalla parte opposta di Central Square rispetto ad Harvard, ecco il M.I.T, ovvero il Massachusetts Institute of Technology. Anche senza sapere nulla, anche senza conoscere discipline e differenti specificità scientifico-didattiche dei due Istituti Universitari si intuisce subito che si è catapultati in un altro mondo, talmente sono diversi l'atmosfera e l'architettura dei luoghi. Benché fondato oltre due secoli dopo Harvard, anche il MIT, inaugurato nel 1861, non è di primo pelo come dimostra lo stile di certi Istituti,  ma mentre ad Harvard il taglio sembra più classico-umanistico, orientato verso lo studio e l'analisi del passato, girando per gli istituti del MIT ci si sente completamente proiettati verso innovazioni avveniristiche.  Futuro e ricerca  le parole d'ordine, come sembra suggerire per esempio una lunga fila di ingrandimenti cellulari al Koch Institute for Integrative Cancer Research o come rivela una banale aiuola di salici piangenti vista per strada che si scopre rientrare invece in un studio di tecnologia del verde per la raccolta e il riciclaggio dell'acqua piovana.   . 
Sorto inizialmente per la ricerca applicata all'industria, il M.I.T ha ben presto espanso il ventaglio delle sue ricerche in più campi; vi si insegna biologia, chimica, matematica, fisica, scienze della terra, meteorologia e astronomia e fra gli strumenti  il M.I.T può disporre di cinque acceleratori ad alta energia, di un reattore nucleare e di numerosissimi laboratori di ricerca e programmi interdisplinari. Non stupisce che il M.I.T, secondo la classifica del QS World University Rankings, si riconfermi quale la migliore università al mondo per il quinto anno consecutivo, al secondo posto la californiana Stanford e al terzo Harvard mentre il nostro Politecnico si trova in 183° posizione, sic!!! (dati forniti da un articolo apparso su Repubblica il 6 settembre di quest'anno). E' cosa risaputa che quanto a cultura media generale gli americani è meglio lasciarli perdere, un vero disastro, però in proposito di formazione specialistica ad alto livello possono davvero vantare le migliori università del mondo. Qui al M.I.T  mettono il computer in mano anche alle scimmie, ho visto la divertente fotografia.
(la scultura: "Favole di Esopo, II, 2005 in acciaio dipinto di Mark di Suvero) 
Come per Harvard, anche al MIT non ce l'abbiamo fatta a visitare i suoi tesori museali, il "MIT Museum" e il "List Visual Arts Center", però tre cose favolose le abbiamo viste, eccome: per cominciare lo straordinario complesso decostruttivista "Ray & Maria Strata Center" di Frank Gehry di cui sto mostrando interni ed esterni. STUPENDO, ho adorato, da qualunque parti si guardi la prospettiva cambia e mi ha fatto pensare a quel viennese Hundertwasser che tanto ammiro per la sua libertà creativa ( http://www.saranathan.it/2012/10/toilet-of-modern-art.html)
Le altre due cose ammirate nel campus del M.I.T  sono le realizzazioni di un altro pezzo da novanta dell'architettura mondiale, ovvero la Cappella e il "Kresge Auditorium" di Eero Saarinen, architetto e designer finlandese naturalizzato statunitense. Sobrio e funzionale l'auditorium, semplicemente magnifica l'essenzialità della Cappella. Non so perché, ma i luoghi religiosi di culto, più sono vuoti e più mi sembrano sprigionare spiritualità, avevo avuto la stessa sensazione nella minuscola sinagoga progettata da Mario Botta nel campus universitario di Tel Aviv (http://www.saranathan.it/2010/12/you-are-part-of-story.html)
Mi hanno davvero molto impressionato questi campus universitari americani, ricordo il soggiorno a Swarthmore nella periferia di Philadelphia qualche anno fa e ora Yale, Harvard, il M.I.T e altri college ancora di cui scriverò e che abbiamo visitato nel nostro periplo nel New England dove c'è la più alta concentrazione di queste scuole d'élite. E' un vecchio, noto problema italiano quello della fuga oltreoceano dei nostri migliori cervelli: lo si capisce ancora di più venendo qui, vedendo quali sono i mezzi messi a disposizione, l'obbligatorietà delle pubblicazioni e conoscendo la semplice informalità dei rapporti professori-studenti, altro che "baroni" nostrani. Purtroppo e come sempre ci sono dei "ma": l'ultima foto che ho scattato al M.I.T davanti al mirabolante Koch Institute, punta di diamante mondiale della ricerca sul cancro, era quella di un "homeless" con le sue quattro cose nel carello del supermercato. ( la scultura: "Alchimista" 2010 in acciaio inossidabile dipinto dello spagnolo  Jaume Plensa)

  











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