lunedì 7 novembre 2011

in visita alla Mondadori

Alla Mondadori in passato ci sono venuta due volte, ma era per lavoro, dritta filata all'appuntamento senza osservare in giro e poi all'epoca non facevo la blogger, sguardo e obbiettivi erano totalmente diversi. Per chi ama la carta stampata, i libri e la scrittura come la sottoscritta, entrare in una casa editrice è sempre un'emozione e questa volta  faccio la turista con una guida sopraffina, l'amica Franca, che ci lavora da 35 anni e che me la fa visitare e scoprire. Niente male, questa la vista di cui gode dalla sua finestra, una scultura di Arnaldo Pomodoro poggiata in solitario sull'acqua  che malgrado il cielo bigio e la pioggia battente in compagnia di un albero si specchia narcisisticamente sulla superficie trasparente e regala i suoi riflessi.

E' a casa del diavolo, oltre l'idroscalo, oltre Linate, all'epoca solo campagna, la metropoli sembra veramente lontana e difatti nel '75 quando è stata inaugurata la nuova sede non più nella centralissima via Bianca di Savoia, in questo posto di confino non ci voleva venire nessuno, scioperi e proteste, adesso ormai quell'esercito di circa 1200 dipendenti si sarà rassegnato e abituato, l'uomo è notoriamente un animale accomodabile.
 Praticamente è come il Vaticano, una cittadella che potrebbe vivere in autarchia, c'è tutto o quasi, il dottore, l'agenzia viaggi, i corsi di yoga, lo spaccio, la banca, l'auditorium, il bar, la libreria, organizzazione e sala delle attività ricreative, lo Sporting Club a poche decine di metri che adesso si chiama Club Marconi e  non appartiene più alla Mondadori, ma comunque a quota agevolata per fare una nuotata nella bella piscina e sgranchirsi le ossa. Sul tetto l'eliporto, gli amministratori delegati mica si spostano in tram, autobus o quattro ruote come i comuni mortali, il loro tempo è prezioso, meglio l'elicottero.

 Un discorso a parte merita poi il servizio mensa, dai menù vegetariani alle grigliate tutto ai ferri, dalla yogourteria alla pizzeria alla gelateria per un euro e cinquanta a pasto; mi si racconta che anni addietro in seguito ad un'inchiesta dell'Espresso sulle migliori tavole aziendali d'Italia, la mensa Mondadori si piazzò addirittura davanti a quelle di Palazzo Madama e Montecitorio, eppure non mi risulta che senatori e deputati si trattino male, seconda solo alla mensa dell'Università di Bologna, la più antica università del mondo, ma con quella vetta gastronomica impossibile competere, irraggiungibili tagliatelle e agnolotti della generosa Emilia e poi pare venissero macellati solo animali ruspanti.
Un lungo corpo centrale di 5 piani, ai lati come due foglie,  quella circolare per la mensa e vari servizi comunitari, l'altra per tutte le redazioni delle riviste, tranne Panorama che ha l'onore della sede principale. Accanto, sorto solo due anni fa e di cui non conosco l'autore, un edificio modernissimo tutto vetri, sede dell'area "pubblicità".

 "Tutto semplice e senza sfarzo" uno dei principi concettuali che ha guidato il brasiliano Oscar Niemeyer nel concepimento del complesso Mondadori dei primi anni '70. Oscar Niemeyer, pezzo da novanta dell'architettura mondiale che amava dire: "l'architettura per me è un passatempo interessante". Come Le Corbusier appartiene alla "scuola razionalista", ma come tutti i grandi, rivisita col suo tocco personale forme essenziali e armonie ardite.

Come Le Corbusier, con cui ha collaborato per diversi anni, crede nelle possibilità costruttive del "cemento armato" e c'è chi piuttosto che architetto lo definisce "scultore di monumenti". Lui il principale progettista di Brasilia (anni '56-60), la nuova capitale pianificata a tavolino ex nihilo nel cuore dello sterminato Brasile, la stessa sfida urbanistica che Le Corbusier ha affrontato a Chandigarh, la capitale del Punjab a nord-ovest dell'India, edificata negli anni '50 che ho avuto la fortuna di visitare con gli amici dell'associazione Le Corbusier. (http://nathansara.blogspot.com/2007/04/viaggio-in-india-inizio.html); ripropongo qui sopra una mia foto del Palazzo dell'Assemblea (il Parlamento) di Chandigarh per sottolineare una linea di continuità architettonica che mi sembra evidente.

Secondo un'asimmetria volutamente calcolata diverse nell'edificio le distanze  fra le varie colonne, disposte pure casualmente secondo l'arbitrio delle maestranze seguendo un "principio di libera composizione" le piastrelle dall'unico motivo grafico  in un grande pannello d'effetto all'ingresso.

Nella hall centrale, come una scultura di memoria storica, il primo torchio a mano acquistato da Arnoldo Mondadori nel 1927.
Non scriverò che Niemeyer potrebbe rigirarsi nella tomba vedendo la trasformazione di quegli "open space" studiati per ogni piano degli interni perché il grande architetto è ancora felicemente in vita ed ha compiuto nientepopodimeno che 100 anni nel 2007, ma francamente non credo sarebbe contento. Di "open", a parte l'assenza di muri ed il comune soffitto, non c'è quasi più niente, scaffali, cassetti, cartoni, schedari, piante, pile di libri, ci si è serviti di tutto per creare delle divisioni, un proprio angolo, uno straccio di privacy lavorativa e di movimento. Se è vero che le idee dovrebbero essere al servizio dell'uomo e non viceversa, comprensibile e naturale il bisogno umano di avere un proprio spazio, di delimitare un proprio territorio e pazienza per l'open space esteticamente violato, progettare teoricamente è una cosa, viverci un'altra.

Giriamo per tutti i piani, una capatina anche al quinto, l'ultimo, quello della direzione suprema, il sancta sanctorum del potere. La moquette è diversa, angoli salotto, ordine e silenzio, atmosfera felpata, si sente che si è nelle alte sfere e non solo dell'etere. Mi vengono in mente of course il ragioniere Fantozzi  e le sue vicende umane e lavorative, mi chiedo quali quadri saranno appesi alle pareti degli uffici off limits, la grandezza di certe scrivanie e le poltrone poi, davvero di pelle umana? Da queste parti aleggia anche lo spirito di " Zio Cardellino", quel libro drammaticamente esilarante di Luciano de Crescenzo, probabilmente l'occulta musa ispiratrice del nostro sfigatissimo ragioniere nazionale. Sarà forse un caso, ma proprio dietro Palazzo Mondadori c'è la sede dell'IBM.

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