Noi turisti del presente cerchiamo curiosi il bello e non restiamo certo delusi. E come sarebbe possibile?
venerdì 24 maggio 2013
"rocce d'oro" d'oriente e d'occidente
Noi turisti del presente cerchiamo curiosi il bello e non restiamo certo delusi. E come sarebbe possibile?
martedì 21 maggio 2013
Milano: minimalia d'artista
Una breve interruzione delle mie note americane per segnalare un chicca di modeste proporzioni spaziali, le sono sufficienti due pareti del Museo di Brera perché si tratta di quadri minuscoli solo 8 cm. x 10, ma di grande qualità. "A tutti i pittori ho chiesto l'autoritratto" è il titolo della mostra che non mi sono lasciata scappare, ne ho letto in proposito sul Corriere della Sera di martedì 7 maggio in un articolo di Valentina Fortichiari, la nipote di Cesare Zavattini. Nel lontano 1941 Zavattini dopo aver ricevuto in dono da un amico un quadretto di Campigli decide di iniziare questa sua collezione di tele minime chiedendo praticamente a tutti i maestri del '900 italiano, molti fra loro suoi amici o vecchie conoscenze, di fare in piccolo formato un autoritratto e un tema libero.
Personalità poliedrica dai molteplici interessi, capofila del neo-realismo come autore di soggetti e sceneggiature di una delle migliori stagioni del cinema italiano, Zavattini non sta solo con la penna in mano, dal 1938 comincia anche a dipingere "a sporcarmi di tempere, inchiostri, oli, vernici, a usare le dita come pennelli......Per divertirmi dipingo per ore e ore. Che gioia profonda mi danno i quadri, e se avessi soldi non farei altro che comprare quadri" come dice lui stesso. Non solo scrittore per professione e pittore per passione, Zavattini diventerà anche collezionista attento ed esigente, arriverà a possederne 1500 circa di opere tutte appese nel suo studio romano, compagni muti ma sempre presenti nel suo lavoro quotidiano.
Per ragioni economiche nel 1979 Zavattini è costretto a vendere la sua collezione che verrà smembrata fra collezionisti e galleristi, ma nel 2008 la Pinacoteca di Brera arriva ad acquistarne 152 che entrano a far parte del patrimonio pubblico nazionale e che formano l'attuale mostra. Marina Gargiulo, curatrice della mostra, così si esprime nella presentazione al catalogo: "L'idea nasce per caso e per necessità: da un lato Zavattini non può permettersi una "collezione di quadri grandi perché costavano troppo" e si inventa il collezionismo economico "ridotto", di "quadri piccoli"; dall'altro si lascia attrarre dal fascino singolare del formato minimo.....Lo spazio minimo suona come una sfida, una provocazione, in cui il mondo dell'arte del Novecento si lascia intrappolare volentieri: " Una collezione unica....tutta la pittura italiana contemporanea in una camera". E anche Giuseppe Migneco glielo scrive in una lettera: " ....Comincio a capire la tua idea (che a prima vista mi sembrava piuttosto bislacca): Sarai tu solo a possedere una collezione di quadri minimi. Ti abbraccio Migneco".
A fronte di diverse personalità e temperamenti corrisponderanno ovviamente molteplici reazioni e risposte degli artisti interpellati a far parte della collezione, come risulta dal ricco epistolario e dalla documentazione presentati nella mostra. Per offrire una maggiore possibilità di scelta c'è chi gli invia un numero superiore di quadri rispetto alla richiesta, come Fortunato Depero che ne spedirà cinque, c'è chi come Rosai, in caso di mancato gradimento è disposto persino a ritoccare la sua opera, chi come Enrico Baj, e non solo lui, confesserà la difficoltà e la fatica nel cimentarsi col "piccolo": " Caro Zavattini, ......Non chieda altri quadretti! Sono uso fare quadri enormi, metri alla volta, e il passaggio al piccolo formato, repentino e durissimo, l'ho affrontato bene sì, ma non avrei la forza di riprovarci. Se i detti due non la soddisfano, me li rimandi pure. Cordialmente suo Baj". (20 settembre 1964)
" Caro Zavattini, grazie per la gentile lettera e per l'ordinazione di due quadri....Comunque non tarderò a farli. Li farò a olio e saranno i soli così piccoli che avrò mai fatti. Io ho l'ambizione sbagliata di fare delle pitture immense che poi mi danno dei dispiaceri per riuscire sempre come vogliono loro non come voglio io. Chissà che io non mi salvi appo i posteri per i miei quadri minimi, grazie al vostro mecenatismo. Contraccambio cordialmente, Saluti e ammirazione". Massimo Campigli ( 4 marzo 1943). "Non ti ho mandato l'autoritrattino (ne ho tentati tre), perché non sono soddisfatto. Quegli otto centimetri, credimi, sono la mia tortura. Ma il quadretto lo avrai, costi quel che costi. Ti abbraccio. Il tuo Domenico Cantatore". (20 giugno 1950)
(in senso orario partendo dall'alto: Cesare Zavattini, Dino Buzzati, Felice Casorati, Claudio Parmiggiani, Bruno Munari, Fortunato Depero.)
Renato Guttuso |
Mimmo Rotella |
Umberto Lilloni |
Massimo Campigli |
E ci sarà anche chi, in nome di un vecchio sodalizio, farà dono a Zavattini della sua opera come per esempio Carlo Carrà o Filippo de Pisis. " ....Te lo dono con molto piacere come ricordo della nostra amicizia....Tuo Carlo Carrà". (7 novembre 1942). "Caro Zavattini, eccoti il quadro mio che spero vada bene. Te lo regalo in "segno di stima e di amicizia". L'ho fatto a tempera per potertelo mandare subito. Starà meglio sotto vetro....Tante belle cose dal tuo Filippo de Pisis" (7 novembre 1942).
Se penso a quelle installazioni museali immense che vanno tanto di moda oggi, alle gigantografie che imperversano per i muri delle città, a certe opere "extra big" e "extra large" che sperano forse così di restare nello sguardo di chi le osserva, quei 125 quadretti della collezione di Cesare Zavattini raccolti nell'arco di una vita, risaltano come un patrimonio artistico prezioso e non solo per il prestigio di artisti famosi, ma anche perché rara lezione di modestia, sensibilità e buon gusto.
domenica 19 maggio 2013
grazie! cara vecchia Hollywood
Per certi amici sono un'esagerata, una gasata infantilmente entusiasta, ma come si fa a non sbarellare se dal balcone della propria stanza d'albergo si gode dall'alba al tramonto di una vista come questa? Sembra di essere alle porte di quelle città ideali di cui hanno favoleggiato i filosofi Campanella, Tommaso Moro o Bacone, città ideali concretizzate come Sabbioneta, Brasilia o Chandigar, solo che qui l'architetto supremo è la natura oppure chissà, forse qualcuno che ci sta dietro. Tipologie di parchi totalmente diverse: al Yosemite Park un paesaggio dolomitico all'ennesima potenza, al Grand Canyon gli occhi rivolti in giù per una voragine della terra che non finisce mai, alla Monument Valley lo sguardo puntato in su per vedere spuntare da un terreno desertico relativamente piatto monoliti immensi di arenaria che raggiungono i 300 metri.

Stupenda scelta di Jere e Cheryl, alloggiamo al Goulding's Lodge, un posto "incontournable" come dicono i francesi. I coniugi Goulding sono arrivati nella valle nel 1924 e poco dopo hanno aperto il loro spaccio commerciale dove si poteva comprare proprio di tutto come nei vecchi negozi di una volta, qui persino il bestiame, e lo hanno gestito per oltre 40 anni. I loro principali clienti nonché amici erano i Navajo, ma anche artisti, scrittori, archeologi, antropologi e soprattutto attori e registi, John Ford un vero habitué.

L'appartamento dei Goulding al primo piano e la bottega al pian terreno adesso sono un museo, in fondo preziosa memoria della valle e di una certa sua storia. All'esterno davanti alla casa carri e diligenza, e dentro di tutto, le stanze private dei Goulding con i loro arredamenti , gli articoli che si vendevano all'epoca, manufatti navajo collezionati dai padroni di casa, vecchie foto e soprattutto articoli di giornali e materiale documentario cinematografico. Da quando nel 1938 il grande regista John Ford ha girato qui Ombre Rosse con un giovanissimo e sconosciuto John Wayne, la Monument Valley è stato il set "naturale" prediletto della mitica Hollywood per una pletora di film western e proprio qui, al Goulding's Lodge, vivevano gli attori durante le riprese.

I Navajo tradizionalmente non usavano il denaro, ma il vecchio e praticissimo baratto; in cambio di zucchero, farina, caffè, fiammiferi, chiodi, vanghe, cavalli e pecore offrivano cestini di vimini, ceramiche, tappeti, gioielli in argento e turchese, lavorazioni artigianali apprese dai vicini messicani a inizio '800.

Discendenti da cacciatori itineranti i Navajo hanno continuato a optare per una vita semi-nomade. Così invece di "pueblo", case in pietra nella roccia come nel Canyon de Chelly o a Mesa Verde, la loro dimora tradizionale è l' Hogan su pianta esagonale o ottagonale a forma di cupola o tronco di cono costruiti tipicamente con tronchi d'albero o occasionalmente di pietra. La costruzione viene poi ricoperta con fango, detriti o zolle erbose usati come isolanti termici. L'ingresso si apre verso est, la direzione del sole che nasce, all'interno una distribuzione ben precisa degli spazi, come già visto nelle "kiva" del Tusayan Museum del Grand Canyon, ma nessuna divisione e nessuna finestra tranne un'apertura circolare in alto per far uscire il fumo.
A cena, lo confesso, un vero cedimento "turistico", mi sono proprio lasciata andare scegliendo un Fried Chicken Dinner, calorie ti saluto, fra i piatti preferiti di Duke, il soprannome di John Wayne e a questo punto mi sento più che mai sua intima amica anch'io.
L'itinerario continua e si riparte, ma fermiamo un attimo la macchina per voltarci indietro e guardare una volta ancora quell'interminabile stradone che porta alla favolosa Monument Valley: un ultimo ammiccamento a Hollywood e ai suoi capolavori, quel Forrest Gump che camminava, camminava, camminava instancabile verso l'infinito portandoci tutti con lui.
Lungo una strada sterrata lunga 27 Km, la Valley Drive, si fa il giro del parco passando dai punti più spettacolari, giganti di pietra con il nome delle forme che evocano, per esempio la Roccia dell'Elefante, la Roccia del Cammello, le Tre Sorelle, il Pollice, il Re sul suo Trono. Inoltrandosi nell'area ci sono incisioni rupestri e villaggi Navajo, ma bisogna avere una guida locale perché off-limits per le macchine private. Non ci siamo potuti andare.
L'itinerario continua e si riparte, ma fermiamo un attimo la macchina per voltarci indietro e guardare una volta ancora quell'interminabile stradone che porta alla favolosa Monument Valley: un ultimo ammiccamento a Hollywood e ai suoi capolavori, quel Forrest Gump che camminava, camminava, camminava instancabile verso l'infinito portandoci tutti con lui.
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