mercoledì 28 febbraio 2018

Triennale: Giro Giro Tondo e visioni polari

Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra, e tutti giù per terra!!! Dai, cantate mentalmente la vecchia filastrocca, toglietevi cappotto e zainetto, mettetevi comodi e cominciate subito a sorridere perché,  varcato il ponte di legno, si entra nel favoloso mondo del gioco che comprende davvero una gamma infinita di qualità: stupore, magia, poesia, fantasia, colore, sogno, divertimento, stimolo creativo, scuola di vita e struggenti ricordi d'infanzia per chi all'anagrafe, ma solo all'anagrafe, più bambino non è. Ci prende per mano e ci porta a fare questo bellissimo viaggio nell'universo ludico di ieri e di oggi la mostra "Giro Giro Tondo" alla Triennale di Milano che come al solito ha fatto centro, anzi centrissimo. Mi dispiace non aver dato la segnalazione prima, ma l'esposizione ha chiuso i battenti il 18 febbraio scorso e sono riuscita a vederla per il rotto della cuffia solo l'ultimo giorno.
Un'esplosione di colore, di allegria e anche di riflessione a ritroso nel tempo e nel presente dove attingere a piene mani, soprattutto nel freddo siberiano di una domenica di febbraio. Vi si troverà: la varietà dei materiali con il vecchio caro legno, la stoffa, la latta, la carta, il cartone e la plastica odierna che nel design interpreta e ingigantisce le forme iconiche dell'infanzia; la varietà dei giochi, dai cavalli a dondolo all'imprescindibile lego, dalle case di bambole alle nuove possibilità dei giochi sul computer, oplà schiacci un tasto e ci metti la testa dell'animale che ti gira; la varietà di artisti, scrittori, inventori che da sempre innaffiano questo giardino prezioso dedicato al mondo dei piccoli facendo sognare anche i grandi come Bruno Munari, Gianni Rodari o Enzo Mari, come Fortunato Depero con le sue marionette del Teatro dei Balli Plastici  o Tullio Altan con la sua Pimpa. 
Con una grande sezione tutta a lui dedicata ritroviamo con gioia il nostro Pinocchio, una storia di formazione per eccellenza, l'emblematico percorso di crescita fatto di sbagli, trasgressioni, dubbi e incertezze per diventare infine adulti. Non potevano poi mancare testimonianze dei "buoni maestri", le Montessori, i don Milani, i Mario Lodi e tanti altri; coloro che hanno profondamente rispettato il bambino, coloro che con sensibilità e lungimiranza hanno intuito le imprescindibili connessioni fra gioco e apprendimento, fra creatività e pedagogia didattica. Mi sono poi piaciute molto le parole  del maestro e giornalista Alex Corlazzoli: " La scuola non può essere una porta che si chiude per imparare storia, geografia, italiano o matematica, ma dev'essere una finestra spalancata sul mondo".
Da ultimo per chi non ha paura e sogna di esplorare gli abissi marini, ecco una grande balena rosa che nel suo immenso ventre non accoglie Giona o un certo burattino, ma famiglie intere vocianti.
Scendere pochi gradini e passare dalla mostra "Giro Giro Tondo" a quella fotografica in bianco e nero "Arctic. Last Frontier" l'altro giorno mi ha fatto un certo effetto; ma come, stavamo tranquillamente navigando nell'oceano in pancia a una balena rosa e ci ritroviamo in pieno polo nord fra i cani da slitta? Col freddo polare di questi giorni la visione di ghiaccio e neve diventa più che pertinente anche se si impone una considerazione drammatica: per noi dei climi temperati il fenomeno è straordinario e speriamo passeggero mentre per gli Inuit ( o esquimesi come venivano chiamati un tempo), c'è la certezza di un progressivo cambiamento e non solo climatico nell'ampia regione nord del pianeta dove vivono. Groenlandia, Siberia, Islanda non sono più le stesse e in pericolo sono i loro abitanti e il loro tradizionale modo di vivere. Le magnifiche foto esposte sono il lavoro di Ragnar Axelsson (islandese), Carsten Egevang (danese) e Paolo Solari Bozzi ( italiano), tre fotografi che indagano il volto sfaccettato di questa natura affascinante e infranta e che vogliono testimoniare di una cultura tribale millenaria. "Queste immagini potrebbero essere l'unica cosa che ci rimane dell'Artico" avverte amaramente con parole forse profetiche il fotografo Denis Curti nel suo testo di presentazione alla mostra.






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