domenica 24 dicembre 2017

Parigi: il MoMa alla Fondazione Vuitton

Affissi in ogni angolo della  metropolitana parigina i manifesti del MoMa di New York alla Fondazione Vuitton fino al 5 marzo 2018: la mostra  certo è da vedere, ma imperdibile è soprattutto la Fondazione stessa, la sua straordinaria architettura e mi scuso per il colore delle foto ma c'era un tempo da lupi, sembrava quasi notte di giorno. Inaugurata dal Presidente Hollande e da Bernard Arnault, presidente di LVMH nell'ottobre 2014, non l'avevo ancora vista e ne sono stata entusiasta. Métro linea numero 1, si scende a Les Sablons, due fermate prima della grande Arche e si fa a piedi un  tratto costeggiando  quel polmone verde parigino che è il Bois de Boulogne e il Jardin d'Acclimation, attualmente in lavori, un oasi di piante, attrazioni e divertimenti inaugurata nel 1860 e voluta da Napoleone III° e dal barone Haussmann, il creatore dei grands boulevards e della Parigi che vediamo ancora oggi. 
Mi manca ancora purtroppo la visita al Guggenheim di Bilbao, ma le realizzazioni di Frank Gehry ho avuto occasione di vederle in America, al Château La Coste vicino a Marsiglia, a Berlino, in Giappone e ogni volta mi stupisce. Per le sue linee fantasiose e destrutturate più che architetto mi sembra un poeta, più che architetto si direbbe un mago della materia perché nei suoi progetti cemento, acciaio, ferro, vetro sembrano docilmente piegarsi al suo estro, diventano duttili e malleabili assumendo le forme più disparate come fossero di stoffa, di carta o di pongo.  Ma se davvero è architetto, allora ci si deve aggiungere vicino la parola "artista", basta guardare gli schizzi visionari dei suoi progetti. Quanto poi alla manutenzione e alla pulizia della struttura non oso pensarci, fatiche tantaliche da equilibristi funamboli, ma questa è un'altra storia e non è affare mio. 
La mostra "Etre moderne: le MoMa à Paris" si dipana sui quattro piani della struttura, ma una sezione molto interessante è dedicata alla storia del MoMa stesso fin dalla sua prima mostra con opere prestate degli apripista della modernità quali Cézanne, Gauguin, Seurat e Van Gogh nell'ottobre del 1929 grazie ai talenti del suo mitico primo direttore Alfred H. Barr Jr. Ciò che ha contraddistinto fin dagli inizi il percorso del leggendario museo  è stata la scelta, assolutamente nuova e vincente nel panorama espositivo dell'epoca, dell'internazionalità e dell'interdisciplinarietà, vessillo programmatico proposto in Europa dal movimento tedesco del Bauhaus, ovvero l'attenzione alle opere di tutte le latitudini e non solo alla pittura ed alle arti grafiche in genere, ma a tutte le manifestazioni artistiche come architettura, scultura, fotografia, design industriale, cinema, performances, istallazioni fino alla contemporaneità del nostro mondo virtuale con i giochi video, con i segni e i simboli legati all'informatica e ad internet. 
La mostra offre una panoramica storica davvero globale del '900 occidentale fino ai nostri giorni, non manca neppure la Walt Disney con un film di Topolino del 1928. Secondo un itinerario cronologico sfilano circa duecento opere e inizialmente si passa dagli antesignani della modernità appena citati ai mostri sacri come Picasso, Matisse o Brancusi, dalle varie avanguardie futurismo-surrealismo-dadaismo- cubismo con i loro esponenti all'espressionismo tedesco di Beckmann e di Kirchner fino alle punte estreme dell'astrazione di un Mondrian o di un Malevitch. Protagonista del primo segmento espositivo è naturalmente la vecchia Europa, ma in seguito e parallelamente comincia ad aprirsi la scena americana con Edward Hopper attivo fin dal 1930 e poi via via l'espressionismo astratto, primo vero movimento squisitamente americano con Pollock, Rothko, Willem de Kooning e poi gli artisti minimalisti come Frank Stella e la Pop Art da Lichtenstein a Warhol.  (Pablo Picasso: "L'atelier" 1927-28 - Ernst Ludwig Kirchner: "Scene di strada a Berlino" 1913)
Willem de Kooning: "Woman I" 1950-52  - Magritte: "Le faux miroir" 1929
Edward Hopper: " Casa vicino alla ferrovia" 1925  -  Mark Rothko: "No. 10" 1950
Con l'arte degli ultimissimi decenni ho già avuto più volte occasione di scrivere che sono in difficoltà, non mi emoziona, spesso non capisco e non ne ho nessuna competenza, perciò anche se la mostra del MoMa la esibisce esaustivamente, la sottoscrittà si limiterà a citare tre esempi che l'hanno intrigata. "Senza titolo" (USA Today) un' opera del 1990 del cubano  Felix Gonzales-Torres. Nell'angolo di una stanza una montagna di caramelle in carta rossa, argento e blu, i colori della bandiera americana e lo spettatore è invitato a servirsi, contribuendo così alla progressiva scomparsa della "creazione". L'artista, morto nel '96 per il virus HIV aveva avuto modo di spiegare che l'idea è stata una forma di rielaborazione del lutto di fronte alla epidemica scomparsa di tante persone intorno a lui ammalate di AIDS. Seconda opera  "Let's walk to the middle of the ocean" del 2015 dell'afro-americano Mark Bradford, un'astrazione profondamente ancorata nella realtà materiale perché l'artista organizza la sua opera partendo da frammenti di carta, di giornale, di pubblicità recuperati nelle discariche o per strada. In questo quadro l'idea forse di un mondo alla deriva, i continenti mescolati e divisi dalle acque,  la forza cromatica di un caos di tensioni sociali e politiche che agitano questo nostro mondo.
E termino con la performance "Measuring the universe" dello slovacco Roman Ondak, esponente dell'arte concettuale. Il titolo avrà forse un senso figurato che non conosco, ma va anche interpretato alla lettera nel senso che i visitatori sono invitati ad entrare nella stanza e a farsi misurare la loro altezza che verrà registrata sul muro da un'addetta con il nome e la data. Le progressive iscrizioni finiscono per formare una traccia umana e collettiva che rimanda alla tradizione familiare di misurare progressivamente sui muri di casa o su una qualche superficie l'altezza dei bambini che crescono.


2 commenti:

  1. Anche questo era molto bello e interessante. La fondation e' stupenda!Grazie e bac in questa Santa Notte ��

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  2. Ammiro le opere di Gehry da un punto di vista poetico, per il resto sono assolutamente una pazzia. Ricordo un documentario in cui si vedeva l'architetto accartocciare progetti e gettarli nel cestino, poi ripescarli e osservare la forma del cartoccio come ispirazione per l'opera successiva...

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