mercoledì 1 dicembre 2010

Rosh Pina e l'arca di Noè



Lasciata Haifa, via all'interno, verso la Galilea, il polmone verde di Israele, storicamente i primi kibboutz e moshav agricoli per un popolo che non avendo mai potuto possedere la terra nei paesi d'accoglienza, non era mai stato agricoltore. La terra ha sete, pochi campi verdi e tanta terra rossa  riarsa, qui non piove da diversi mesi, è una vera e drammatica emergenza idrica. Gli israeliani erano diventati specialisti nel bombardare le nuvole di non so bene cosa e farle piovere, ma come fare quando di nuvole neanche l'ombra? Però non si può mai dire, da queste parti siamo in "area miracoli". In lontananza il lago di Tiberiade sempre più povero d'acqua, la città omonima, il Monte delle Beatitudini, Capharneum.

 Gastone sostiene che non si dovrebbe ritornare mai  nei luoghi che si sono amati e di cui abbiamo un bel ricordo e forse ha ragione, rivedere Safed (Zefat, Tzfat, Sfat) dieci anni dopo è stato deludente. Del più alto paese di montagna, arroccato a 800 metri in alta Galilea, con la vista e il pensiero che spaziano lontano, del dedalo dei suoi vicoli di pietra, dei vecchi amanuensi che  nei loro banchetti sui cigli della strada dipingevano le lettere dell'antico alfabeto ebraico  ricercandone i significati più reconditi, degli artisti  bohème che reinterpretavano modernamente il sacro con l'ispirazione del magico silenzio del luogo, di quel certo non so che di mistico che aleggiava nell'aria, non ho ritrovato il sapore.
Certo, è sempre cittadina molto religiosa, i caffettani neri girano in abbondanza, nelle vetrine cappelli improponibili da regina Elisabetta per le spose praticanti che non devono mai mostrarsi a capo scoperto in pubblico, ma purtroppo anche una interminabile fila di negozietti moderni, business alla fiera del sacro. La Kabbalah, l'interpretazione mistica dell'ebraismo, è di casa da queste parti, qui  nel '400 e nel '500 sono giunti grandissimi maestri e studiosi in fuga dall'Inquisizione e dalle persecuzioni in Spagna e poi nel '700 un altro grande flusso migratorio di religiosi dalla Russia. In molti, soprattutto americani, assetati di spiritualità, si sono messi a studiare la Kabbalah, ma anche questo mi lascia perplessa. E' come se volessi scalare l'Everest di botto senza essermi mai allenata, gli studi kabbalistici dovrebbero eventualmente essere un punto di arrivo e non di partenza, da affrontare solo dopo anni e anni dedicati alla conoscenza delle fondamenta della religione. Nel famoso quartiere delle sinagoghe visitiamo quelle antichissime di Joseph Caro nato in Spagna  e di Isaac Louria, detta di Ha'ri, fra i  Maestri più grandi, nato a Gerusalemme, entrambi del XVI secolo.
Un magnifico Tabernacolo scolpito in legno d'ulivo  contiene i Sacri Rotoli della Torah; alla finestra-vetrata una rappresentazione delle Sephiroth, le dieci emanazioni attraverso le quali si manifesta il Trascendente.

Il sole tramonta molto presto, verso le quattro, ci mettiamo in macchina con gli ultimi riflessi del tramonto perché temiamo di affrontare col buio strade che non conosciamo, ma tutto bene, Rosh Pina dove dormiremo la notte è a pochi chilometri. Non conoscevo il fascino agreste di questo paesino fondato da rumeni a fine '800, la prima colonia ebraica in Galilea, ma è una dritta di mio cugino Eldad e lui se ne intende. A Rosh Pina gli alberghi non mancano, ma molto meglio le Zimmer, le camere, qui le chiamano così, alla tedesca, ambitissime dagli israeliani per il fine settimana da queste parti e sinonimo di chalet di montagna, o bungalow in legno molto confortevoli e trandy ( in camera abbiamo persino una vasca da bagno jacuzzi che come delle cretine non adoperiamo, tutti quei pulsanti ci disorientano). La Villa Tehila, consigliata dalla guida, come una fattoria nella foresta di Biancaneve e i sette nani è piena di angoli, anfratti, cortiletti, sale, salette, stanze a tutte le altezze e non finisce di stupire con la marea di oggetti più disparati, perfino un carretto siciliano, che trasbordano ovunque. 



Ma soprattutto ci sembra di imbarcarci nell'arca di Noè. Decine di  animali pacificamente insieme in recinti comuni: pappagalli, uccelli svariati, conigli, procioni, cincillà, toponi non meglio identificati, tassi, un lama, galline, faraone, oche, due cavallini  e avanti così.

I proprietari si inseriscono perfettamente nel paesaggio, sembrano due profeti del '68, un passato pressoché archeologico di idealismo, pionierismo, pacifismo, spinelli e chitarra, capelli bianchi lunghi con la coda di cavallo (il marito) e ultimo ma significativo dettaglio, il loro cane, un bastardino molto petulante che fa di nome Aronne, come il fratello di Mosé. 
Il paese è minuscolo e stupendo, tranquillo, non c'è quasi niente se non posto per la fantasia, le vecchie case di pietra in parte restaurate, le stradine di campagna dissestate, suona per fortuna ancora vero. C'è una vecchia sinagoga, delle vecchie foto che mostrano la storia del luogo e dei primi pionieri, in vendita qualche prodotto artigianale, del miele, dei liquori casalinghi alla cannella e limoncello.

Per Nimrod: al finire del paese, strada sconnessa e terra incolta all'abbandono spunta all'improvviso una piazzola in muratura tutta ben sistemata. Su un cartello c'è scritto Nimrod. Un signore di una certa età dissoda, zappetta, sistema, pulisce tutto intorno. Interpreto che da quel punto si debba vedere Nimrod, le rovine della cittadella fortificata in direzione del monte Hermon e ne chiedo conferma al signore. No, Nimrod era il suo unico figlio, uno splendido ragazzo di 35 anni morto nell'ultimo conflitto in Libano. Per ricordarlo, per lavorare e non pensare, lui ha costruito questo punto di osservazione sulla vallata. Per Nimrod

Rosh Pina, una bellissima sorpresa, in lontananza le alture del Golan.


  

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