mercoledì 5 dicembre 2012

oltre il Torii inizia la Via degli Dei

Di Torii, questi tradizionali portali di accesso giapponesi che introducono al santuario shintoista e stanno ad indicare l'ingresso in un'area sacra, ne ho visti tantissimi e ovunque. E' costume che una persona che ha ottenuto successo negli affari doni un torii in segno di gratitudine e questo mi ha fatto pensare ai birmani che offrono dei Buddha ai templi per acquisire meriti, non ho ancora capito se per questa vita o quelle future.

Tradizionalmente di pietra o legno, sovente di colore rosso, adesso se ne trovano anche in acciaio e cemento.  Già il passare sotto è una prima forma di purificazione, seguiranno poi le abluzioni rituali prima di avvicinarsi al santuario. Se i templi buddhisti sono imponenti, più edifici in una stessa area, numerose stanze di meditazione, l'alloggio dei monaci, i santuari shintoisti sono superfici molto più modeste, piccoli chioschi, spesso non c'è un luogo chiuso in cui raccogliersi, ma solo degli altari davanti ai quali sostare. Forse non serve un grande sacrario perché in ogni giardino, in ogni casa giapponese c'è un altare con i suoi simboli.   I Kami accompagnano sempre la vita dell'uomo.

Irrispettoso e impensabile con poche superficiali nozioni parlare di una religione, nella fattispecie dello  shintoismo, l'espressione religiosa più antica del Giappone, un insieme di credenze animiste e panteiste fortemente influenzate dallo sciamanesimo che santifica un'infinità di divinità tutelari (kami) personificazioni degli antenati e di vari elementi naturali, mi limiterò perciò a mostrare quel che ho visto a Kyoto, nel santuario Nonomiya-jinja, uno dei più vecchi e frequentati del Giappone.



Il santuario si trova in un luogo assolutamente magico, una lunga passeggiata per raggiungerlo attraversando un'affascinante e fittissima foresta di bambù: sembra di entrare dentro una favola e ne sono rimasta incantata. Appese a delle spalliere sono acquistabili delle tavolette di legno, lisce o dipinte, gli ex-voto locali, dove verranno scritte preghiere, desiderata o ringraziamenti che resteranno per un anno in balia dei capricci del sole, del vento, della pioggia prima di essere bruciate. Con l'anno nuovo si ricomincia.


Qui ma ovunque, in tutti i luoghi sacri, legati sulle staccionate, su una corda, intorno a un albero e anche nei templi buddhisti si vedono miriadi di fogliettini bianchi appesi; credo si tratti di oroscopi o predizioni perchè a Tokyo, a Senso-ji (il tempio buddhista più antico e più famoso del Giappone) e nell'adiacente santuario  shintoista Asakusa-jinja ho visto una cassettiera con un cilindro, forse per gli oboli. Ignoro il criterio della scelta, quali le coordinate per l'assegnazione del proprio foglietto, ma certamente suggerimenti, previsioni o auguri  che il destino riserva. 
Purtroppo non ho avuto la fortuna di assistere a nessuna cerimonia shintoista e certo saranno bellissime, ho solo visto delle foto, ma nel sacrario Nonomya-jinja, in mezzo a quella meravigliosa foresta di bambù ho osservato a lungo i numerosi  fedeli  che si avvicendavano davanti all'altare: arrivavano, tiravano l'estremità di una corda, un inchino, due schiocchi di mani, un altro inchino e via andare, il tutto durava dai due ai tre minuti. Una vera sintesi di religiosità, niente a che vedere con le vite intere passate chini sui libri fra preghiere e interpretazioni ermeneutiche  dei fedelissimi di Mosè che stanno sempre lì a spaccare il capello in quarantacinque. A ognuno la sua storia, lo dicono anche i fogliettini bianchi!

Non centra assolutamente nulla,  niente di sacro anche ammesso che si voglia considerare l'arte contemporanea o meglio l'arte "tout court" come uno dei valori supremi,  è un mio parallelismo totalmente arbitrario, ma scrivendo questo post sui Torii mi è venuta in mente l'installazione del 1996 di Daniel Buren che abbiamo visto nei primi giorni a Tokyo nel quartiere di Odaiba. L'opera si chiama  "25 porticos, the color and its reflections". Tante prospettive, tante coloratissime righe bianche, rosse, verdi, blu, gialle; perché non vederle in fondo come moderni e stilizzati ingressi pieni di speranza verso la Via degli Dei? 

       

lunedì 3 dicembre 2012

Kyoto ieri e oggi

Contando sulla nostra guida Hai che ci avrebbe portato in giro e sulla mia passione per le sorprese, di Kyoto non sapevo proprio niente se non il libero scorrere dell'immaginazione nutrita per esempio da quel bellissimo libro di Arthur Golden "Memorie di una geisha" che si svolge tutto a Gion, l'antico quartiere delle geishe, o da alcuni articoli letti di Pico Iyer, saggista, scrittore, giornalista anglo-indiano trapiantato in Giappone: "L'antica capitale è consacrata all'interiorità e al silenzio. Costruita a griglia, sul modello della città cinese di Changan, Kyoto fu progettata per ospitare le processioni rituali e tutti i grandi eventi dell'impero. Per la maggior parte del tempo, quindi gli abitanti hanno vissuto al chiuso, nelle celle rivestite di tatami, nelle stradine tortuose del quartiere delle geisha, nelle sale da tè poco più grandi di un ripostiglio o nelle stanze zen piene di vuoto".

Così, senza nessun senso della realtà, prima di arrivare fino a qui e vederla "in carne e ossa" mi sono cullata nell'idea di una città storica, preservata rispettosamente antica fra ciliegi in fiore, ponticelli, laghetti piene di carpe rosse e signore in kimono, in qualche modo imbalsamata nel tempo, un Mulino Bianco del Sol Levante insomma.

Che ingenuità! Come pensare che una metropoli di un milione e mezzo di abitanti, visitata da 40 milioni di turisti all'anno in un paese moderno e all'avanguardia come il Giappone godesse di un'immunità urbanistica, di uno statuto speciale fuori del tempo, di un  lasciapassare della storia senza conoscere la speculazione edilizia e l'avanzare del cemento finanziato dai ricchi investitori di Tokyo o nuovi modelli comportamentali importati dall'Europa e dall'America?

 A Kyoto è nato e continua a svilupparsi il gigante dell'elettronica dei giochi video Nintendo mentre tentano di sopravvivere le ultime case di legno e il manager in giacca, camicia e cravatta si accompagna con la moglie in abito tradizionale. Nelle brume dell'alba per le strade di Kyoto succede che i monaci intenti a fare il giro delle case per la questua giornaliera del cibo incrocino ragazze giapponesi, filippine, cinesi e thailandesi che rientrano dal loro lavoro nei bar, nei ristoranti, nei locali notturni. Chi si è appena alzato e chi se ne va a letto a dormire.

A Kyoto c'è proprio di tutto: l'areoporto e il mitico Shinkansen, il treno super rapido, gli autobus, la metropolitana sotterranea, ma anche un vagone pittoresco che si incunea in un budello talmente lungo e stretto che sembra quasi sfiorare le vecchie case.

Per le passeggiate romantiche ci sono persino i calessi senza i cavalli, ma tirati a mano da giovani baldanzosi , come li abbiamo visti nel vivace quartiere di Arashiyama sulle rive del fiume Oi, pieno di ristoranti e negozietti dove al tempo di Heian l'imperatore e la sua corte venivano a passeggiare e a divertirsi. Chi lo sa se anche qui ce l'avevano un cantautore locale che come il nostrano Odoardo Spadaro negli anni 50 gorgheggiava " com'è delizioso andar sulla carrozzella, sulla carrozzella sotto braccio alla mia bella...."?

Nel quartiere di Gion infine, un sapore  rétro e apparentemente autentico come me lo aspettavo, case di legno, persiane abbassate, vicoli e vicoletti,, canali d'acqua, selciati di pietra, lanterne rosse che segnalano case da tè e ristoranti. Quando si è come noi dei turisti diurni e non notturni  impensabile incontrare gheishe e maiko, le apprendiste gheisha, anche se per la verità mi sarebbe piaciuto vedere i loro volti bianchi, le loro capigliature così costruite, assistere a un'esibizione delle loro arti tradizionali cui sono state lungamente formate, la musica con lo shamisen, sorta di mandolino a tre corde suonato con un plettro d'avorio, la danza, la cerimonia del tè e l'arte floreale.     

Quell'anima del "tempo che fu" certo è rimasta e ne abbiamo avuto sentore nei nostri giri fra templi, giardini e santuari, nei  quartieri di Arashiyama e di Gion dove alle ore giuste magari avremmo incontrato le ultime geishe in circolazione, nei fascinosi giochi di luci e ombre fra gli alberi dei rigogliosi boschi circostanti, ma quel che è certo è che per le strade di Kyoto si aggira  una seconda anima, quella del presente, con il traffico, i centri commerciali, i palazzoni, i marchi della moda occidentale, il telefonino incollato all'orecchio e le ragazzine con lo zainetto colorato sulle spalle e i leggings attillatissimi sulle gambe.  Quanto queste due anime convivano pacificamente, non so dire.