martedì 6 maggio 2014

Panama: El Casco Viejo

Casco Viejo, Casco Antiguo, San Felipe: tre nomi diversi, ma la città non cambia, è sempre la Panama vecchia, vicina e lontana tra mare, terra e gabbiani da quell'altra Panama tutta grattacieli e business. Bellissima e fatiscente, tirata a lustro e barcollante, un gioiello che oscilla tra ori e stucchi, macerie e ruspe, i soliti contrasti pieni di fascino a cui ci hanno abituato Cuba, il centro e sud America e anche certe realtà del nostro sud italiano. 
Forse sarebbe giusto definirla una città "work in progress" come si usa dire oggigiorno, perché è evidente il cambiamento in atto, nel giro di poco tempo probabilmente non ci saranno più le case di legno, l'intonaco che si stacca  dalle pareti, i terrazzi pericolanti, le chiese che hanno solo la facciata e dietro il vuoto del cielo e se ne dovranno andare pure loro, gli abitanti di sempre, che certo non ce la faranno a pagare il prezzo delle loro stamberghe ridivenute palazzi. Progressivamente si perderà quell'impronta popolare perché progressivamente avanza il restauro di lusso.

Un dedalo di vie strette strette che quando ti affacci al balconcino del tuo albergo ti sembra che con un salto potresti entrare in casa del vicino dirimpettaio e magari favorire a tavola con lui. Un dedalo di vie strette strette che sfociano in magnifiche grandi piazze: l'immancabile Plaza Bolivar, la Plaza de la Catedral, la Plaza de Francia con l'obelisco dedicato a Lesseps e agli altri ingegneri francesi che hanno lavorato al Canale, la Plaza Herrera che, dopo uno dei vari incendi che nel corso dei secoli hanno offeso la città, è diventata la Plaza de Toros.
Plaza de la Indipéndencia detta anche Plaza de la Catedral
Casco Viejo un po' come i Cremlini russi perché un tempo ormai remoto qui in centro ci stavano solo chiese e conventi, i palazzi del potere e la crème de la crème. Le chiese hanno iniziato a restaurarle, ma molto ancora resta da fare, il Palazzo presidenziale e vari ministeri invece sono naturalmente già da ammirare in perfetta forma. 
Fondata nel 1519 dagli spagnoli che come per Cartagena de Indias si servivano della città quale porto per imbarcare tesori razziati dalle Americhe verso la madre-patria, la vecchia Panama fu completamente rasa al suolo nel 1671 (tranne due soli edifici, convento e chiesa di San José e  de la Merced)  dal solito pirata Morgan, eroe dei romanzi d'avventura ma tristemente famoso nella realtà  di queste parti e due anni dopo ricominciò la ricostruzione del Casco Viejo, circondato stavolta di mura protettive, in parte visibili ancora adesso e leggo che il Casco Viejo di Panama è l'unica cittadella fortificata del Pacifico. Sette imponenti incendi poi hanno fatto capire che le case in  legno di palma non bisognava costruirle più, perché il fuoco non rispetta niente. 
Gli spagnoli fino al 1821, poi verso il 1850 gli americani che hanno costruito la ferrovia, poi nel 1880 sono arrivati i francesi per il Canale e poi sono ritornati gli americani per finire il Canale. Ne è passata di gente da queste parti e non lo racconta solo la storia, ne testimoniano anche le architetture delle case perché ogni passaggio ha lasciato qualcosa: stile churriguerresco, ovvero il tardo barocco spagnolo, coloniale francese, neoclassico, Art Nouveau come il palazzo della City Bank, i grattacieli poi della Panama City moderna sono tutta un'altra storia ancora.
Il nostro centrale albergo "Tantalo" è una vera meraviglia, antico fuori e moderno di gran buon gusto dentro. Nel patio interno c'è persino una parete-giardino verticale. Ogni stanza è dedicata a uno scrittore e io sono stata fortunata perché mi è capitato il grande Charles Bukowski, poeta e scrittore "dannato" e a me i "maledetti" piacciono molto. In giro per la stanza ci sono dei suoi libri e poesie scritte dovunque sulle pareti, anche in bagno davanti al water, notorio luogo di meditazioni profonde, peccato che tutto fosse in inglese perché il mio inglese è terribilmente basic. In caso la memoria vacilli un giorno, immortalo la stanza e la mia compagna di viaggio Laura.  

Andandomene a zonzo da sola trovo sull'uscio di una bottega incasinatissima un tipo che lavora alacremente su una figura di cartapesta, salta fuori che è toscano e chissà come mai è finito da queste parti, comunque mi fa entrare e dentro fervono i lavori, non so per quale festa panamense, ma c'erano leoni dorati, elefanti, faraoni, coni gelato. 

La vista dalla terrazza del Tantalo è stupenda e fra tetti antichi e mega building la foto mi sembra riassumere questo affascinante miscuglio di antico e moderno che è Panama. Altrettanto significativo l'incrocio stradale davanti all'albergo
Termino con uno stereotipo scontato e me ne scuso, ma questi cappelli che usiamo chiamare Panama ma in realtà fanno di nome Montecristo come i sigari e vengono prodotti in Ecuador,  erano troppo colorati per non attirare la mia attenzione. Del resto il colore in ogni sua sfumatura reale e figurata e la gentilezza e solarità della gente incontrata mi sono sembrati la cifra peculiare di questo viaggio fra Colombia e Panama e ringrazio i miei compagni di viaggio di avermi accolta fra loro. Sono pronta per una nuova avventura.



1 commento:

  1. Bellissima descrizione traboccante di poesia. Hai molta empatia per luoghi come questo, in bilico "tra ori e stucchi, macerie e ruspe", lo si capisce dal tuo amore incondizionato per Cuba, così simile a Casco Viejo. Anche le fotografie sono una specie di dichiarazione d'amore per un luogo che fra non molto non ci sarà più, destinato a soccombere al turismo e all'economia globale; spariranno ahimè i fantocci di cartapesta, corrosi dal tempo, i murales fantasiosi, i balconcini in ferro battuto... Ma i ricordi rimangono, sospesi nel tempo, come le parole del "maledetto" Bukowski: "... I write to you a little illegal story of love...". Spero che, per concludere in bellezza, ti sia almeno portata a casa un bellissimo panama originale.
    Hasta luego in Andalucìa, Sarita preciosa.

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