lunedì 18 marzo 2013

maudit Modì e compagnia





Giovedì sera era iniziato un freddo polare, eppure tutta intabarrata fra guanti, sciarpa e giacca a vento è stato bellissimo andarmene in giro per il centro e vedere piazza della Scala e la Galleria V. Emanuele della mia Milano tutte illuminate, il Duomo sempre in restauro che non finisce mai, proprio come la famosa Fabbrica che l'ha creato. Ho pensato che come spesso succede riservo curiosità e fotografie agli angoli più sparuti del  mondo dimenticando di soffermarmi su ciò che mi è vicino.

 Non ho guardato i prezzi in vetrina di Vuitton, mi è bastato il marchio Prada che sotto l'Ottagono ormai regna incontrastato, una borsetta costa "solo" 1200 euro, ho fissato la targhetta tre volte per essere sicura di aver visto bene e in questi difficili tempi di crisi mi è sembrato proprio offensivo, comunque giapponesi e coreani gremivano il negozio come se distribuissero il pane gratis e poi francamente non so dire se gli hamburger di Mcdonalds di fronte allo storico Savini dove cenava Verdi erano meglio, certo è che le patatine fritte almeno se le potevano mangiare tutti.
 In lontananza si scorgeva il soffitto illuminato dell'opera di Fontana al Museo del '900, proprio un bello scorcio! La mia meta era Palazzo Reale, al giovedì  rimane aperto fino alle 22,30 e la sera, quando il giorno si riposa, c'è meno gente e non si fa mai la coda per entrare.

Modigliani: Ritratto di Zborowski 1916
 Degli esaustivi testi di presentazione, come altre volte però l'installazione museale manca di originalità,  tutte le opere in fila indiana senza qualche paratia che movimenti gli spazi, forse basterebbe un colore diverso di muri e moquette per ogni sala dedicata ai vari artisti, magari qualche frase significante qua e là, all'estero in materia sono dei maestri e si potrebbe imparare, ma ho avuto grande gioia nel visitare la mostra "Modigliani, Soutine e gli altri artisti maledetti" della collezione Netter. Un'occasione straordinaria perché si tratta di tele non presentate al pubblico da più di settant'anni e il Signor Jonas Netter, pace all'anima sua, ebreo alsaziano trapiantato a Parigi, vero mecenate, vero instancabile collezionista, grande amico e confidente della sua scuderia artistica, ne sarebbe molto contento perché lui nei suoi artisti avvicinati inizialmente solo perché non si poteva permettere finanziariamente di acquistare tele impressioniste, "ci crede, ci crede a tal punto che, quando rivende qualche tela agli inizi degli "anni folli", lo fa non per guadagnarci, ma per far conoscere i suoi artisti...Assai sensibile all'idea che la cultura debba essere per tutti e alla portata di tutti, Netter sogna che i suoi artisti  possano un giorno essere conosciuti anche negli ambienti più modesti e dal pubblico più ampio" come scrive il curatore della mostra  Marc Restellini nella sua presentazione al catalogo.

Modigliani: Ritratto di Jeanne Hébuterne 1918
 Grande gioia nel ritrovarli ed ammirarli, dicevo, perché in fondo molti di loro sono per me delle vecchie conoscenze e non penso solo a Modigliani, a Soutine, a Kisling, Suzanne Valadon, il figlio Utrillo, Derain o Vlaminck, anche se con altre opere incontrati più volte in tante mostre, ma anche a nomi meno noti e meno esposti come Pinchus Krémègne, Michel Kikoïne, Isaac Antcher, Zygmunt Landau, Aizik Feder. Nel 1995 incaricata dalla R.C.S. Libri & Grandi Opere e pubblicata dalla parigina CELIV avevo scritto il testo  "Ecole Juive de Paris", una modesta pubblicazione divulgativa d'arte, un lavoro da negro come si usa dire in gergo e retribuito malissimo che però mi aveva costretta, per poterne parlare, a studiare molto e a documentarmi e la cosa mi era piaciuta tantissimo perché la storia della Parigi di primo novecento, l'aria di libertà e vivace fermento che gli artisti venuti dai quattro angoli del mondo vi respiravano, era un argomento  proprio affascinante.

Kisling: Ritratto d'uomo (Jonas Netter) 1920
 Di quella folta schiera di artisti ( ce ne sono state cronologicamente due ondate) che si usa riunire sotto il nome di "Ecole de Paris", arrivati nella Ville Lumière a nutrire talento e ispirazione e arricchirsi di proficui scambi culturali, non tutti certo erano ebrei, basti citare Picasso, Derain, Juan Gris, Brancusi, De Chirico, Mondrian,  ma molti, moltissimi, si, come anche numerosi mercanti d'arte fra cui quel poeta polacco Léopold Sborowski stretto consigliere di Netter. Netter era senza i miliardi di un Barnes o dei russi Shukin e Morosov, Sborowski non aveva la galleria di un Paul Rosenberg, ma insieme costituiranno una collezione formidabile. Proprio su questo mondo "ebraico" a Parigi si era concentrato il mio lavoro. Persone e storie diversissime fra loro, mondi agli antipodi fra sefarditi (discendenti dagli ebrei spagnoli espulsi nel 1492 dai sovrani cattolici) come Modigliani o Jules Pascin, aperti, disinvolti e integrati da sempre nei paesi del Mediterraneo che li avevano ospitati e quelli aschenaziti ( ebrei dell'Europa centrale e orientale), la maggioranza, chiusi e isolati nei ghetti di comunità conservatrici come Chagall, Soutine, Kikoine, Mané-Katz, Chana,Orloff,  e tanti tanti altri.

Pinchus Krémègne: Céret  1930 circa
 Fra i primi oltre a Modigliani c'è il bulgaro Jules Pascin, che nell'infanzia aveva letto di nascosto Le mille e una notte e che accompagnava la zia all'hammam osservando i corpi nudi e abbandonati delle donne tra i vapori e gli effluvi del bagno turco, i secondi cominciano appena a conoscere l'emancipazione e a liberarsi da un'arte di carattere prettamente religioso legata agli oggetti di culto e alle miniature. Non a caso Chagall evoca con nostalgia violinisti e rabbini della tradizione hassidica durante la sua infanzia a Vitebsk, Soutine si ribella alla rigidità del suo microcosmo lituano e al suo arrivo a 19 anni  da Cracovia, Moïse Kisling, il futuro mondano gaudente frequentatore del bel mondo e dei salotti più prestigiosi della capitale, portava ancora i cernecchi lungo il volto.

Soutine: La pazza  1919 circa
 "Quand on vit dans un sale trou comme Smilovitch on ne peut pas supporter qu'il existe des villes comme Paris" affermerà Soutine e Chagall: "J'ai apporté mes objets de Russie et Paris leur a donné sa lumière". Diversissimi anche per personalità e evoluzioni artistiche, ma comune a tutti la miseria dei primi anni parigini (Modigliani morto giovanissimo non conoscerà che quella diversamente da certi suoi amici e comunque le sue richieste sono originali: "Mon prix est de dix francs la séance plus un peu d'alcool" risponde allo scultore lituano Lipchitz che con la moglie voleva farsi ritrarre); comuni la solidarietà ("tout le monde vivait très mal, mais on se partageait un morceau de pain" ricorderà Krémègne) e l'entusiasmo che offre la libertà, comuni l'identità ebraica variamente vissuta e interpretata che troverà in Chagall e Mané Katz i suoi più nostalgici cantori, l'amore per l'arte e il rifiuto di riconoscersi in qualsivoglia scuola o movimento, volendo perseguire ognuno un proprio percorso creativo.


Kisling: St. Tropez  1918



Non è che l'antisemitismo sia assente in Francia. L'Affaire Dreyfus (quell'ufficiale israelita condannato a torto per alto tradimento nel 1894 e poi riabilitato nel 1906 grazie a un importante movimento d'opinione animato da intellettuali del calibro di Zola) aveva profondamente spaccato in due il paese e le coscienze evidenziando sentimenti ostili apparentemente assopiti e i critici d'arte di destra non mancavano mai di denunciare "l'Internazionale del pennello" e l'arte germano-ebraica, ma non è certo paragonabile la vita all'ombra della Tour Eiffel con lo "shtetl" russo, ucraino o lituano.



Kikoine: Via Alberata  1930 circa

 Facendo il topo di biblioteca avevo raccolto tante notizie: per esempio dell'antisemitismo di Cézanne e Degas, in quest'ultimo così spinto da non voler più frequentare l'amico ebreo Pissarro che pure apprezzava come pittore, o del delirio del pubblico davanti ai Balletti Russi di Serge Diaghilev con costumi e scene create da Léon Baskt esiliatosi nel 1909 a Parigi per sfuggire alla persecuzione antisemita della burocrazia zarista, di Soutine che con i soldi del successo finalmente in tasca prende lezioni di dizione francese per perdere quell'insopprimibile accento slavo e che una volta confidava all'amico Kikoine che " la bellezza non si concede da sola, è necessario violarla" proprio come fa con le sue case che vacillano, con i rossi gladioli che sembrano spade, con i suoi volti deformati, con il sangue ancora vivo de suoi quarti di bue appesi.

Henri Epstein: Nudo stante  1920 circa
Feder: Ritratto di donna  1915
"A Parigi gli ebrei sono degli uomini e vi si può dipingere in tutta libertà" scrive Krémègne agli amici Soutine e Kikoine che lo raggiungeranno e Parigi offre prima Montmartre e il Bateau-Lavoir e poi soprattutto la cité Falguière et la Ruche di Montparnasse, falansteri dall'affitto irrisorio per dove sono passati molti artisti divenuti celeberrimi; Parigi offre il suo Louvre dove gli artisti non si stancano di studiare i maestri del passato e i suoi caffé, la Rotonde, le Dome, il Select, le Parnasse e la Coupole, luoghi privilegiati per le discussione estetiche e non solo quelle. Ma per tutti quegli artisti che si credevano ingenuamente"degli uomini liberi" arriveranno la guerra e l'occupazione nazista a rimettere i puntini sulle i. Chi come Kikoine porterà fieramente cucita sul bavero della giacca la stella gialla, chi come Soutine ricercato dalla Gestapo cambierà domicilio in continuazione, chi come Chagall, Mané-Katz, Lipchitz, Pascin, Kisling troverà rifugio negli Stati Uniti e chi come Epstein o Feder morirà ad Auschwitz. 80 pittori e scultori di Montparnasse partiranno per i campi della morte.

Nessun commento:

Posta un commento