Dopo un mese di Myanmar, grandi spazi e poca gente, la quiete delle campagne, la serena operosità dei villaggi, il silenzio dei monasteri, l'austera parsimonia di luci, rumori e comportamenti persino nella capitale Yangon, Phnom Penh, alla prima passeggiata esplorativa notturna sembra una città tentacolare di quasi 2 milioni di abitanti, una babele modernissima, figlia d'oriente e d'occidente, tutta neon, motorini, tuc tuc, macchine, biciclette, clacson, musica a manetta, locali gremiti, piatti per i turisti stracolmi di vivande. Intuibili da subito certe contraddizioni, povertà e ricchezza, fascino e caos. Mi colpiscono in particolare la giovanissima età dei locali, scollature e minigonne ardite (per la gioia e la vergogna dei pedofili e dei consumatori stranieri di sesso), ragazzi che, banchetto appeso al collo, non vendono sigarette o souvenir, ma libri, merce preziosa perché negata in un passato non ancora remoto.
Sono solo le prime superficiali impressioni, ma documentandomi in seguito come faccio spesso nei viaggi per non farmi condizionare "a priori", scoprirò che sono valide. Pare che in Cambogia tutto sia in vendita: templi antichi, statue angkoriane, parchi nazionali, persino siti del genocidio e con tragica consequenzialità anche le persone. Leggo che nel 2005, durante la visita del paese, il direttore della Banca Mondiale, richiesto di riassumere il paese con tre parole abbia detto davanti all'élite del governo: "corruzione, corruzione, corruzione".
La tradizionalmente onesta e scrupolosa popolazione locale deve quotidianamente confrontarsi col malcostume generale pagando medici ed infermieri perché facciano con un pò di attenzione il loro lavoro che dovrebbe essere gratuito, professori che promuovono non certo in base al rendimento scolastico, impiegatucci della pubblica amministrazione solerti solo dopo la riscossione. Non è certo una giustificazione, ma un tentativo di comprendere, l'indigenza è grande e c'è chi rimpingua i magri bilanci arrangiandosi indegnamente.
Bisognerà attendere il mattino per incontrare in una luminosità lunare la maestosità del mitico Mékong che dal lontano Tibet percorre instancabile 4800 chilometri di cui 500 in Cambogia (in certi punti largo fino a 5 chilometri) prima di terminare il suo percorso nel mare della Cina meridionale, a sud del Vietnam.
Saranno le luci dell'alba a svelare le abitudini cittadine nella quotidianità diurna, ginnastica e tai chi sul lungofiume che sembra un lungomare.
La leggendaria Angkor, ciliegina finale del nostro viaggio, tramonta agli inizi del XV° secolo e da allora subentra la capitale Phnom Penh in posizione geograficamente più interessante per il commercio fluviale con Laos e Cina via il delta del Mékong. E' durante il protettorato francese (1863-1953) che la città viene divisa in quartieri secondo un piano urbanistico tuttora attuale. Andandosene i "protettori" lasciano edifici prestigiosi come il Palazzo Reale, il Museo Nazionale, il mercato centrale Psar Thmei, vari ministeri.
Di mercanzia ce n'era proprio tanta, la concorrenza micidiale ed i cambogiani molto solerti cercavano di acchiappare più clienti possibile; sotto la bella cupola il caldo però è veramente soffocante, qualcuno da queste parti forse non sa che chi dorme non piglia pesci.
CIAO SARA E' SEMPRE STUPENDO LEGGERTI!
RispondiEliminaE LE FOTO SONO BELLISSIME!ADRIANA