mercoledì 8 giugno 2011

sul fiume Ayeyarwady

Sono passati 3 mesi dal viaggio in Myanmar. Ho scritto una serie di post a botta calda appena rientrata, poi silenzio ma non certo oblio, c'erano altri luoghi e riflessioni da condividere e  il desiderio di lasciar sedimentare i bellissimi ricordi. Riprendo ora in mano i miei preziosi appunti di viaggio e le foto scattate fedele a quel vecchio insegnamento impartitomi da bambina di terminare sempre le cose iniziate.


3 giorni di navigazione per un tratto relativamente breve, Mandalay - Bagan.
L'Ayeyarwady e soprattutto a metà febbraio, quando non è ancora iniziata la stagione delle piogge, non risulta certo di quella portata d'acqua di un Volga o del Dniepr, eppure stiamo parlando del più grande fiume birmano che da nord scorre per 2000 km verso un vasto delta a sud-est della capitale Yangon. Navigabile per buona parte del suo percorso tutto l'anno, l'Ayeyarwady ricopre da secoli un ruolo fondamentale nel sistema dei trasporti e delle comunicazioni e la sua attività è stata molto intensa soprattutto durante il periodo della dominazione britannica.

Ci imbarchiamo per la crociera da una città che non ho particolarmente amato, la caotica Mandalay, l'ultima capitale del Myanmar prima dell'avvento del colonialismo britannico, che è tuttora un importantissimo centro culturale e religioso e preziosa base di partenza per visitare nei dintorni Monywa con la magnifica Thanboddhay Paya, uno stupa centrale riccamente decorato e circondato da 845 stupa piccoli e altre tre città imperiali del passato, Amarapura, Ava e Sagaing, le cosiddette città "abbandonate". La consapevolezza buddhista della caducità della vita ha infatti spinto molti re a dare inizio al proprio regno scegliendo una nuova capitale ed un nuovo palazzo, di qui la ragione dei cambi e delle molte capitali. Quando il re si spostava nella nuova capitale, il suo palazzo di legno veniva spesso smontato e portato via e quelle che erano state potenti città si ritrasformavano in villaggi di contadini.
Lungo il lunghissimo muro in mattoni rossi (2 Km per lato) che con il fossato intorno racchiude vari edifici attualmente sede della giunta militare che governa il paese e quello che era stato il palazzo del re Mindon andato a fuoco nel 1945 durante combattimenti tra le truppe inglesi ed indiane e le forze giapponesi che occupavano il Myanmar dal '42, leggiamo una promessa che è in realtà uno slogan politico vuoto di significato, come dimostra la situazione del paese: "il Tatmadaw, ovvero il partito delle forze armate, non tradirà mai la causa nazionale".
Lungo le sponde del fiume in città, davanti alla nostra sobria e bellissima nave tutta di teak (l'80% delle foreste di questo pregiatissimo legno si trovano nel paese)che lentamente scivola sull'acqua, sfila come prima immagine un patchwork coloratissimo di panni stesi ad asciugare al sole, e poi la maestosità del fiume, scene di vita quotidiana sull'acqua, pagode in quantità, capanne e paesi che vivono sulle rive del fiume.

Ogni volta che attracchiamo sulle rive ci saranno le donne ad aspettarci  con le loro mercanzie, la povertà del villaggio, capanne e il selciato di terra battuta in netto contrasto con la maestosità dei templi, i bambini che giocano a rotolarsi sulla sabbia delle sponde, talvolta persino un taxi locale. 
Ogni volta che ripartiamo portiamo via la quieta religiosità dei templi e dei fedeli che li frequentano nella pratica quotidiana, tempi e modi che sembrano avanzare al rallentatore, frammenti infinitesimali di istanti di vite, un'immagine che ci è rimasta nel cuore, gli sguardi sorridenti e curiosi di adulti e bambini che ci  salutano guardandoci andar via.

Quando al mio ritorno milanese racconto e mostro le foto, mio figlio Francesco mi dice: "ma non ti vergogni a stare su una barca così bella con tutta la povertà che vedi intorno a te? Ha ragione, in ogni momento lo spettacolo intorno sottolinea il contrasto, ne sono consapevole, eppure qui si respira un'aria serena, sento molta più solitudine ed infelicità nelle nostre opulente città occidentali. Aggiungo anche che mi manca ormai la velleità giovanile di cambiare il mondo, la mia storia, da turista europea, è un'altra, non me la sento più in sacco a pelo e zaino, credo di contribuire comunque all'economia del luogo .e cerco di convivere con le mie contraddizioni.

Arrivare alla mitica Bagan dal fiume è semplicemente magico. Rocce frastagliate e  guglie in quantità  di pagode e monasteri che svettano ovunque. In 40 km quadrati di terreno ci sono  migliaia di stupa, più di 4000, alcuni restaurati, la maggioranza in rovina. Per comprenderne la pletora non va mai dimenticato che nel mondo buddhista costruire pagode è in assoluto l'azione più meritevole, segno evidente della devozione profonda del popolo del Myanmar alla sua religione.

 Ovunque si poserà, lo sguardo troverà templi grandi e gloriosi e minuscoli zedi solitari in mezzo ai campi. Lo straordinario fervore religioso che ha dato origine a questo incredibile numero di edifici è durato due secoli e mezzo partire dal 1044 con il regno di Anawrahta che ha creato il primo governo centralizzato del paese e che conquistando il regno mon di Thaton ha portato a Bagan i loro artigiani, la loro cultura ed i sacri testi buddhisti che custodivano; gli altri dieci re che si sono succediti hanno poi ulteriormente contribuito all'epoca d'oro della città. Ciò che oggi viene identificato come "birmano", nasce dalla fusione delle culture dei mon e dei birmani concretizzatasi nel momento aureo dell'era di Bagan. Il declino di questo luogo, a giusto titolo patrimonio dell'Umanità, coincide con l'invasione dal nord dei mongoli di Kublai Kahn nel 1287. 

Non parlo in questo post della Shwezigon Paya, del  tempioThatbyinnyu, della Pagoda Shwesandaw e di Ananda Pahto, forse il più bello e mistico dei numerosi templi che abbiamo visitato e rimando ai miei due scritti precedenti "monasteri, stupa e pagode" (e il seguito).

 Dico solo che assistere ad albe e tramonti dalla sommità degli stupa o goderne in una visione d'insieme da lontano, è un'esperienza carica di emozioni e fonte di riflessione. Aggiungo che molte sculture e oggetti religiosi custoditi nei monumenti di Bagan sono stati rubati e vedibili nei musei di mezzo mondo e che il modo "birmano" di procedere ai restauri  non ha gli stessi nostri criteri di rispetto del passato  e il carattere conservativo degli interventi. Ciò ha forse creato dei problemi e rallentamenti nell'elargizione dei fondi dell'Unesco, nel coordinamento degli interventi su un'area così vasta e nel procedere a ricerche archeologiche e storiografiche più approfondite.  


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