mercoledì 15 luglio 2009

Si legge kassa, si scrive kacca

Russia a noi! All'uscita dall'areoporto subito un tipico cielo del nord, squarci di azzurro solcati da densissimi ed irregolari ammassi neri neri, nuvolette bianche qua e là sembrano brucare i pascoli celesti. Dalla rampa dell'aereo scendono due preti ortodossi, lunghi lunghi magri magri, capelli lucidi raccolti con codino, qualche businessmen, una supposta Ludmila biondo pannocchia, tacchi a spillo metallici 12 centimetri, professione intuibile, con cihuahua tremolante in braccio e due cuccie per la bestiola al seguito e soprattutto il gruppone italiano, eterogeneo andante, per lo più coppie età media 60 anni, dall'insegnante liceale con marito bancario all'industrialotto varesotto, danè e parrucchino in testa, nell'aria accenti veneti, romani, siciliani e un barese stretto che inizialmente scambio per greco. Aiutoooo, in mezzo ci sono anch'io con la fedele amica Patrizia, detta Gastone (il fortunato).

San Pietroburgo, Pietrogrado, Leningrado, San Pietroburgo, con i suoi quattro nomi esemplificativi degli alterni momenti storici, si presenta subito nella sua maestosa bellezza: il bus col gregge attraversa la Piazza della Vittoria, complesso monumentale a perenne ricordo di quei terribili anni 1941-45 e la liberazione finale dopo 900 giorni di assedio, poi un lungo viale staliniano, statua imponente di Lenin, pare che a Mosca le abbiano tolte tutte. Perennità dell'arte e precarietà della storia subito a confronto, i busti di Puskin, Gogol e Gorki rimangono sempiterni, Saddam Hussein, Pol Pot, il grande timoniere o Stalin prima o poi ridiventano calcinacci. Fondata nel 1703 da Pietro il Grande su un territorio malsano e paludoso, ingrandita ed arricchita a fine del medesimo secolo dalla grande Caterina, San Pietroburgo è città stupenda, palazzi imperiali sontuosi, grandi viali e giardini curatissimi, petunie e surfinie traboccanti ovunque, restauri attenti e rispettosi, canali e ponti di grande fascino, una metropoli di 5 milioni di abitanti. La gente per strada è ormai vestita come da noi, jeans e maglietta, la globalizzazione è una realtà, ma sorride e ride poco, gentilezza e cortesia non sembrano far parte degli ingredienti nazionali, a forza di ubbidire per secoli, servi della gleba prima, compagni da collettivismo forzato poi, gli abitanti non hanno nulla della raffinatezza della loro città. San Pietroburgo del resto non sembra una città russa, architettura, amministrazione e vita sociale furono sempre frutto di importazione ed imitazione, praticamente una Versailles in vacanza in terra russa, opulenza barocca da musei vaticani, profusione inenarrabile di ori, stucchi, decori, riproduzione festose di corti europee per i pochi happy few, zar principi e regine che hanno potuto goderne e gli architetti italiani nel secolo d'oro sono venuti a frotte. Siamo all'Europa, albergo storico 5 stelle sulla Nevskij Prospekt, la Prospettiva Nevskij, l'equivalente degli Champs Elisées parigini o l'Unter-den-Linden berlinese. La prospettiva è una summa di tutti i possibili stili, dal barocco settecentesco al Modernismo, variante russa dell'art nouveau di fine ottocento. La vita di questa strada mi sembra in fondo uno specchio della nuova Russia, reduci pluridecorati accanto ad adolescenti vestiti all'ultima moda, telefonini in quantità, i negozi dei grandi nomi della moda nostrana e zingari a piedi scalzi ed ubriaconi. Appesi alla reception foto di ospiti illustri dell'albergo, sorridono anche Gorbatchov e Catherine Deneuve, va beh, con Gastone riteniamo che forse può andare bene anche per noi. Molliamo subito in camera la valigia senza aprirla e cominciamo col Museo Russo di Stato proprio accanto. Icone, pale religiose, artigianato dell'intarsio del legno, costumi folcloristici, scatole laccate, vetri dipinti, la tradizione nazionale russa insomma e poi la modernità pittorica con gli artisti che "ricercavano e sperimentavano" nel fervore rivoluzionario molto libertario ai suoi inizi e cioè i Kandinskij, i Malevich, i Tatlin, la Goncharova, Larionov. Segue poi naturalmente la pittura di regime, la cosiddetta "agitprop" (agitazione + propaganda), compagni operai e compagne contadine immortalati encomiasticamente nella dura besogna quotidiana. In un quadro c'è una donna che sta visibilmente facendo una fatica boia con un giogo intorno al petto, ma ha una bella collana di pietre dure al collo, il lavoro nobilita si sa e rende liberi, la pensava così anche Hitler. Al museo colpisce il personale delle sale, una profusione di pensionate, una per ogni stanza, chi vestita "modernamente", chi appena uscita da un kolkoz agricolo con fazzolettone in testa e vecchie scarpe ai piedi, sembrano stanchissime e totalmente assenti, molte dormono reclini sulla sedia con le braccia conserte; più che custodire tesori, sembrano loro poveri tesori bisognosi di essere custoditi.

Camminiamo per il centro ed ammiriamo in particolare la Chiesa del San Salvatore del Sangue (già i nomi di tutte le chiese la dicono lunga sulla dolorosissima religiosità locale), in stile neo-russo, molto simile a San Basilio di Mosca, vero schiaffo al classicismo imperante delle altre chiese e palazzi di San Pietroburgo. Cupole multicolori a cipolla dorate e sfaccettate all'esterno, interno tutto rivestito di stupefacenti mosaici oro e blu cobalto con effetto cromatico da vero sballo. Imparo qui per la prima volta l'iconostasi, presente in tutte le chiese russe-ortodosse. E' una sorta di divisione lignea fra l'altare (che rimane nascosto) ed i fedeli, sorta di porta quasi sempre chiusa tra l'uomo ed il sacro, fra il terreno ed il trascendente, il sacerdote fa da tramite. L'iconostasi è una divisione artistico-religiosa che racchiude più pannelli dipinti di icone e santi secondo una disposizione sacra ben precisa, a sinistra la Madonna, a destra il Cristo Redentore, nelle file in alto ed in basso scene o figure del vecchio e nuovo testamento e il santo, patrono locale. Le iconostasi osservate nei monasteri e nelle innumerevoli chiese del nostro viaggio (una presenza che ho sentito veramente "schiacciante"), sono realizzazione di grande bellezza e pregio artistico, inevitabile però pensare al povero russo impossibilitato ad un rapporto diretto col sacro, che rimane eternamente confinato al di là di una "parete".

La sera ceniamo in uno stupendo caffè art nouveau Singer, a base di blinis al salmone e cioccolata calda superdensa al punto giusto. Fa un certo effetto andare a letto alle 11.30 di sera perchè c'è ancora il sole alto come da noi in estate alle 4 del pomeriggio. Sono le famose notti bianche, albe-tramonti-albe all'orizzonte senza soluzione di continuità, il grande buio dell'inverno cede il posto alla grande luce di pochi mesi estivi.


Nel secondo giorno russo visitiamo col gruppone e guida la fortezza di San Pietro e Paolo, i cui bastioni circondano un'imponente cattedrale dove in tombe tutte uguali di semplice ed austero marmo chiaro riposano tutti i Romanov, non è che per zar ed imperatori la fine sia diversa. Rinunciamo nel pomeriggio alla visita facoltativa alla residenza estiva Zàrskoje Selò della grande Caterina per intolleranza al gregge; preferiamo un pò di avventura solitaria, annusare al quotidiano l'odore della città, bighellonare a caso. Come al solito si va ad un mercato, la nostra passione, nella fattispecie quello coperto di Kuznechnyj, alla stazione metro Vladimirskaja. Diviso per settori merceologici, fanno bella mostra di sè le carni, wurstel, maialini e lingue di vitello tutte ben allineate, i pesci, salmoni giganteschi non d'allevamento, merluzzi sotto sale e tanti tanti tipi affumicati. Tra le verdure spiccano naturalmente le patate in colori e varietà diverse, barbabietole, ravanelli mega e cavolacei a volontà, tra la frutta ribes, mirtilli e lamponi, soprattutto amarene e ciliege. I banchi più belli sono quelli dei formaggi: non stagionati, bianchi e freschi di varie consistenze, sorta di torte tagliate a fette con maestria dalle donne campagnole dietro ai banconi. Manca il folcloristico gridare dei mercati del sud, il caldo invito a comprare dei meridioni, che mercato è con tutto questo silenzio?


Dopo l'attenzione al corpo, ci vuole subito un pò di cultura per lo spirito ed eccoci nell'abitazione del grande Dostoevskij nella stessa via del mercato. A San Pietroburgo sono legati moltissimi grandi personaggi della cultura e della storia nazionale. Qui hanno composto Ciajkovskij, Stravinskij e Sciostakovic, qui sono nati i capolavori di Pushkin, Gogol e Dostoevskij. All'ingresso subito la cassa per pagare, ma noto che in alfabeto cirillico la "s" si scrive come la nostra "c", con evidente risultato scatologico, non male come accesso alla casa del sommo scrittore, che pare fosse superordinato e puntiglioso, nessuno poteva accedere al suo studio. Al guardaroba abbiamo un primo assaggio della rigidità russa, dobbiamo assolutamente lasciare la giacca a vento. D'accordo per la borsa, la consegnamo senza problema, ma fa freddo e la giacca vorremmo tenerla, niet niet, il regolamento non lo consente e la donnetta si incazza, in russo lei, in italiano io. Quanti secoli di democrazia necessitano per osare ragionare con la propria testa e diventare flessibili?


La sera con l'inseparabile Gastone colpo di vita, niente giro in barca col gruppone, ma cena e movida metropolitana nel locale jazz più "in", il Jimi Hendrix Blues Club. Sala sotterranea da baita tirolese tutta in legno, vodka a fiumi (noi rigorosamente solo acqua naturale temperatura ambiente), musica scatenata con incursioni di rock, qualcuno balla, due lesbiche assatanate sono quasi imbarazzanti nel loro flirtare. Come due cenerentole a mezzanotte torniamo a piedi in albergo senza paura, sembra mezzogiorno.

L'ultima mattina a San Pietroburgo è riservata all'Ermitage, col Louvre forse il più ricco museo del mondo. All'Ermitage come al Louvre del resto l'interesse è duplice, da una parte il palazzo stesso con l'incredibile magnificenza di una corte regale (350 sale espositive) e dall'altra l'abbondanza pantagruelica delle opere, praticamente tutto, tutti i secoli e tutti i massimi artisti delle scuole europee, per non parlare dei favolosi tesori provenienti dalla Siberia e dall'Asia centrale, le antichità egizie, greche e romane e delle collezioni persiane e cinesi. Facciamo un giro generale a volo d'uccello giapponese, ci sarebbe da ubriacarsi fra Rembrandt, Velazquez, Leonardo, Raffaello e Tiziano, il naso è sempre rivolto all'insù ed intorno a 360 gradi. La nostra guida Olga spiega con dovizia delle prime favolose acquisizioni di Pietro il Grande, gli altri zar e soprattutto Caterina che comprava sempre come una matta per superare col proprio prestigio personale e quello della sua corte gli altri sovrani europei. Olga non ci racconta però che dopo la rivoluzione d'ottobre del '17 l'Ermitage divenne un museo statale e triplicò in men che non si dica le sue collezioni grazie all'espropriazione di molti collezionisti, fra cui i milionari moscoviti Sciukin e Morosov, proprietari di fantastiche tele di impressionisti, Picasso e Matisse acquistate personalmente a Parigi dai Durand-Ruel, dai Vollard, dai Kahnweiler, il gotha dei mercanti d'arte. Olga non ci racconta nemmeno degli inestimabili trofei d'arte razziati dall'armata rossa a fine conflitto alla Germania, che a sua volta li aveva sottratti alla Francia ed agli altri paesi nella sua iniziale marcia trionfale in giro per l'Europa. Olga non ci racconta infine della spoliazione di intere collezioni di famiglie ebree da parte di Russia e Germania. C'è un grande contenzioso in proposito perchè anche la Russia reclama opere saccheggiatele dalla Germania nazista e dalla Francia napoleonica, col risultato che vari capolavori rimangono congelati nei caveaux di molti musei.

E' domenica 5 luglio, le 4 del pomeriggio, con gli occhi pieni dei fasti imperiali sanpietroburghesi e qualche perplessità su cui vorrei meditare ci congediamo dalla città. Sul molo della Neva, ci aspetta il Generale Lavrinenkov. Nessun timore, non ci arruoliamo nell'esercito della grande Russia di Putin, è solo il nome militarmente altisonante della nostra nave per la crociera San Pietroburgo- Mosca, a nome Dottor Zivago, senza Omar Sharif ma con Gastone, si fa quel che si può.

1 commento:

  1. Francamente interessante e divertente! Ho letto tutto il pezzo! Ciao.Piero (amico degli zii e ultimo incontro a Nizza -Cafè de Lyon)

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