giovedì 5 novembre 2015

Tel Aviv: what's new?

Non mi poteva andar meglio per il volo, domenica primo novembre era una giornata da sballo, cielo blu terso, cirri e nembi finiti chissà dove, certamente tutti in vacanza per altri lidi. Ci ho messo un po' a riconoscere Venezia, ma poi mi è venuto in mente quel bellissimo libro di Tiziano Scarpa "Venezia è come un pesce" che ha proprio una foto simile in copertina e ho finalmente realizzato. Le isole croate e greche invece sembravano corolle di fiori, ninfee sospese sul Mediterraneo. Bellissimo!


Per l'albergo invece mi è andata meno bene, non sempre le ciambelle riescono col buco perfetto. Ho dovuto rinunciare all'amatissima stanza 513 con vista strepitosa sul mare (http://www.saranathan.it/2015/01/tel-aviv-stanza-513.html) perché, era troppo cara per me da sola e su booking me ne sono prenotata un'altra più modesta, ma che prometteva bene. Del nuovo albergo mi ha fregato la mia passione per il colore,  la foto delle cappottine bianche e blu sull'edificio all'esterno. E' sempre sul lungomare, ma il mare non lo vedo, vuoi che sono al primo piano, vuoi che davanti c'è un immenso cantiere per due futuri grattacieli, insomma, la vista iniziale sono state esclusivamente quattro gru e mi chiedo se sono i cinesi che hanno l'appalto perché sopra c'è scritto "Yong Mao". Mi sono consolata guardandone il riflesso sui vetri del grattacielo a fianco, la gru come una moderna scultura. Dopo tre giorni ho simpatizzato con Willy, il gentilissimo menager dell'albergo e, potenza della comunicazione,  va meglio, molto meglio, adesso sono al piano superiore, stanza grande, due finestre e balcone per fumare, vedo non so quanti tetti e perfino  un pezzetto di mare più thé, caffè e brioches a disposizione a tutte le ore, cosa volere di più? In fondo ci vuol poco per essere felici, basta salire di un piano e la prospettiva cambia.

Ho scritto "Tel Aviv: what's new?" per sfrucugliare la curiosità e mettere la voglia di leggere l'articolo, ma in realtà il titolo è un bluff, non ho ancora scoperto se c'è qualcosa di nuovo e per la verità non l'ho nemmeno cercato. Anzi, proprio come un cane che conosce il suo territorio, controlla gli odori e ci fa sopra una pisciatina per mettere la sua firma, anch'io mi sono subito fatta chilometri a piedi per ritrovare contrasti e contraddizioni che amo, cogliere una volta ancora quel certo mix di oriente ed occidente, fantasia e casino, ritmo frenetico e aria vacanziera tipici di questa città. 
Ritrovare per esempio quel pot pourri di disordinati stili architettonici, dalle stupende Bauhaus, il loro progressivo restauro avanza a passi da gigante, a quelle malconce e sgarrupate, dai grattacieli che fanno ombra alla Torre Shalom che un tempo era fieramente l'edificio più alto con la piattaforma di osservazione all'ultimo piano alla appena rinnovata  Casa Kleizer in stile eclettico di primo novecento perché i proprietari venivano da San Pietroburgo dove stucchi e decori si sprecavano; da quella squadrata col moucharabia tutto irregolare ai supermoderni ultimi piani piazzati sic et simpliciter su un vecchio edificio moresco per non parlare di quel terrazzo con tanto di fenicottero rosa al neon. Un casino urbanistico totale che ha grande fascino, ma che la dice lunga sull'assenza di un piano regolatore e anche sullo spirito intraprendente e anarchico dei suoi abitanti

Non so bene quale sia quella molla che spinge a ricercare luoghi e cose che già si conoscono, forse l'onda dei ricordi, forse un bisogno di rassicurazione, che corra pure il tempo, ma si deve sempre poter  contare su alcune certezze . Certezze piccole, senza alcuna importanza, intendiamoci bene, eppure,  per me almeno, preziose. Per esempio i viali alberati delle vecchie strade, per esempio le dimensioni dei panini che solo qui fanno giganteschi così, o i divini strudel ai semi neri di papavero o la varietà dei pani e il rosso dei melograni pronti ad essere spremuti nei baracchini lungo le strade.
Altro che "new" d'Egitto, in questi primi giorni sono andata a rassicurarmi che malgrado tutte le gru che infestano una Tel Aviv in eterno cantiere a cielo aperto, ci fosse sempre il Tayelet, ovvero la stupenda passeggiata lungomare di legno nel quartiere "in" del vecchio porto, che per strada circolassero tutti gli originali di questo mondo nell'indifferenza più assoluta, che gli uccellini continuassero a finire gli avanzi dei piatti e che soprattutto la popolazione sterminata dei gatti avesse perdonato quel parlamentare israeliano che pare abbia proposto di mandare i felini in Thailandia perché la Halakhah (il complesso delle norme codificate della legge ebraica) proibirebbe di sterilizzare i gatti.  Io non l'ho sentito, me l'hanno raccontato i cugini, ma che ci fanno con i gatti in Thailandia, se li mangiano? E con le varie tensioni fra cui si dibatte Israele quel signore trova prioritaria la problematica dei gatti randagi?
Considerazioni finali a botta calda: i media informano a tutte le ore di quel accade in giro per il paese, nell'ordinaria precarietà è comprensibile l'ossessione dell'informazione, ma chi come me non ascolta la radio né  guarda la televisione, non si accorge di niente, a Tel Aviv la vita sembra scorrere come al solito, non vedo polizia per le strade, atmosfere diverse né prudenze particolari, caffé e ristoranti sono gremiti a tutte le ore e ti chiedi quand'è che la gente lavora. In piazza Diezengoff c'è il solito mercatino delle pulci, la Gelateria Italiana in Ben Yehuda street ha tirato fuori delle sedie a forma di cono gelato che più kitsch si muore e poi si può sempre contare sui favolosi tramonti, ma questa è una storia che ho già raccontato.


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