venerdì 1 febbraio 2013

Libreville fuori porta: Cap Esterias

Le due mete domenicali fuori porta da Libreville sono Pointe Denis e Cap Esterias, rispettivamente a una trentina di chilometri a sinistra e a destra della capitale. A Pointe Denis i ragazzi non hanno avuto tempo di portarmi e mi sono goduta solo il loro racconto dello spettacolo straordinario delle tartarughe marine giganti "liuto"che di notte vengono a depositare le uova sulla spiaggia e poi le sotterrano sotto la sabbia.
 A Cap Esterias invece ci sono stata nella mia prima domenica gabonese, invitati da un'amica dei ragazzi che come molti "expatriés" ha affittato una spartanissima casetta sul mare per i fine settimana. Sia nella turisticamente meglio attrezzata  Pointe  Denis che  nel più selvaggio Cap Esterias si è direttamente sull'oceano mentre a Libreville le acque sono miste, l'oceano si unisce con  le acque dolci dell'estuario del fiume Kamo e guardando il loro colore viene meno voglia di tuffarcisi, comunque la domenica la spiaggia della capitale è gremita.

 Atmosfera serena, i bambini giocano sulla spiaggia e si rincorrono sui grossi bellissimi tronchi sfuggiti alle spedizioni in giro per il mondo, come li abbiamo visti trainati a Lambaréné, e depositati sulle rive dalla corrente del fiume, gli adulti mangiano e se la raccontano. Fra loro ho la fortuna di conoscere la responsabile  culturale  per il Gabon dell'Unesco e la madre in visita che ora  vive in Francia. Hanno entrambe storie molto interessanti da raccontare; Yvette parla di problemi, prospettive, metodi di lavoro e criteri di quell'organizzazione internazionale attualmente un po' in crisi per mancanza di fondi che è l' Unesco, la cui vocazione non è solo valorizzare siti in giro per il mondo, ma l'impegno costante anche per l'educazione e la sensibilizzazione culturale all'interno dei paesi.

Racconta con quante difficoltà sia finalmente riuscita in accordo con le autorità locali competenti a stendere  un progetto di lavoro per il Gabon che finora senza programma e consapevolezza culturali, non ha ancora repertoriato i suoi beni materiali e immateriali (siti, artigianato, lingue, tradizioni), non riconosce i suoi artisti e non sa promuoverli e tutelarli. Spiega che non sempre un "bene" risponde perfettamente a tutti i criteri necessari per l'assegnazione del titolo Patrimonio dell'Umanità o sa mantenerli nel tempo  (e queste sue parole daranno una risposta alle mie perplessità sull'insufficiente manutenzione del Parco della Lopé), ma l'attribuzione, con tutti gli aiuti conseguenti che l'Organizzazione mette in campo, vuole anche essere una spinta, un incoraggiamento a paesi e governi per operare di più e meglio in una certa direzione.


 Yvette mi presenterà anche un'amica e collega di lavoro, la vivacissima Claudine, un'antropologa gabonese che insegna all'Università e consulente Unesco, occasione molto stimolante per intravedere seppur superficialmente la ricchezza e la varietà di usi e costumi, modi di vivere e interpretare la realtà degli abitanti di questa parte del mondo. Per esempio il ruolo fondamentale della donna malgrado le apparenze nella società gabonese o la funzione delle maschere dalla grande varietà formale secondo l'etnia e la regione di appartenenza. Le maschere hanno in comune la loro significanza, la funzione-simbolo di riti iniziatici propiziatori o scaramantici, il timore rispettoso che devono suscitare in donne, bambini, nei non-iniziati in genere,  in qualche modo le maschere rappresentano un fattore di regolazione sociale. Non me ne intendo, ma trovo bellissime le maschere gabonesi e non stupisce certo che l'essenzialità, la purezza di linee dell'arte africana abbiano esercitato notevole influenza sui grandi artisti del  '900, Brancusi, Modigliani e Picasso in testa.

 La madre di Yvette racconta invece le sue terribili vicissitudini perché proviene dal Kasai, una regione dell' attuale Repubblica Democratica del Congo, ex Congo Belga, dalla storia tormentatissima. La signora è stata drammaticamente vittima due volte di epurazione etnica, ha vissuto in campi profughi, ha conosciuto la guerra civile fra Baluba, l'etnia  della famiglia Bantu maggioritaria nel Kasai cui lei appartiene e i vicini secessionisti abitanti del Katanga. (Mi sono ricordata che a fine anni '60 i puri e duri del servizio d'ordine del Movimento Studentesco dellUniversità Statale venivano chiamati i katanghesi). E' stato toccante sentire in diretta da qualcuno che le aveva personalmente vissute e dalla sua viva voce peripezie da brivido di cui negli anni ho avuto una sommaria informazione dai media e che mi sembravano così lontane.

A Capo Esterias ci facciamo anche una bella passeggiata, il vecchio faro, il villaggio, i fedeli che escono dalla messa della piccola chiesa, le donne che preparano per la vendita i granchi ripieni, la vita quotidiana dei bambini che quando passi ti scrutano con quegli occhi come dei carboni accesi.  

Il pomeriggio della vigilia di Natale a Libreville ho accompagnato Alex ad una festa dell'Associazione Umanitaria Arc en Ciel dove lei fa del volontariato. I giovani ballano, scherzano, si divertono, ma dietro, una volta ancora, casi di vita difficilissimi, storie di violenza, solitudine, abbandono, miseria, un disagio giovanile che non trova ascolto né aiuto presso le istituzioni, tutto in mano a volontari e suore dai bei vestiti verdi e molto sorridenti nell'approccio. La strada è una scuola molto dura, questi ragazzi trovano qui un centro di accoglienza sempre aperto, la possibilità di dormire, mangiare, raccontare i loro problemi, essere seguiti da psicologhi ed educatori. .
Partecipiamo anche a una serata musicale in allegria con un complesso del Mali al Centro Culturale Francese, l'unico posto a Libreville in cui si organizzino eventi culturali e si proiettino ogni tanto dei film. Incredibile la partecipazione e la vivacità del pubblico in sala. Mentre il gruppo musicale si esibisce, la gente si alza in piedi e si mette a ballare, molti se ne vanno a farlo direttamente sul palcoscenico; qui si usa così e lo trovo molto divertente, se solo avessi il coraggio di farlo anch'io.

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