venerdì 28 maggio 2010

Weimar: culla di civiltà

La Turingia, il "cuore verde" della Germania, il primo "Land" che visito nella ex-DDR, la ex-Germania dell'est e Weimar, suo centro propulsore, suo polmone culturale. A fine guerra ci sono entrati per primi gli americani, ma secondo la spartizione degli accordi di Yalta tutta la regione è stata poi consegnata ai russi, il cambio di occupazione pare abbia avuto luogo di notte. 

Weimar, nel 1999 nominata "Capitale Europea della Cultura". Il nome di questa città è indissolubilmente legato ad alcuni tra i maggiori poeti ed artisti. Il pantheon dei giganti del pensiero e delle arti che hanno vissuto e lavorato a Weimar contiene in quattro secoli di storia, la quintessenza della cultura tedesca e non solo: Cranach il Vecchio, Bach, Wieland, Schiller, Herder, Goethe, Listz, Nietzsche, Gropius, Richard Strauss, Feininger, Kandinskij, Klee, senza parlare dell'intellighentzia di passaggio da Hegel e Schelling a Mme de Stael, Heine, Gide o Felix Mendelssohn, tanto per citare qualche nome alla rinfusa.



Nel piccolissimo  Ducato di Sassonia-Weimar, la città contava 6000 abitanti ai tempi di Goethe, fra fine settecento e inizio ottocento, ora sono 64.000, ma fin da allora ha rivelato i suoi contrasti:

  • contrasto fra l'esiguo numero di abitanti e la sua importanza culturale
  • contrasto fra  modernità, nelle varie epoche, delle sue proposte culturali in politica, letteratura, musica, filosofia, architettura e conservatorismo  reazionario.
  • contrasto fra apertura internazionale e vento xenofobo
  • contrasto fra il nome "la Repubblica di Weimar" (1919-1933) primo esperimento democratico in Germania dove l'Assemblea Nazionale ha stilato la prima Costituzione del paese ed il suo governo, che di fatto si è trasferito a Berlino solo una settimana dopo la sua ratifica a Weimar.

La città è piccola, curatissima, molto turistica e ricca di fascino. E' giorno di mercato, evviva il mega wuerstel, la mia amica Camille non resiste. 



Distrutta in parte dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, non ha dovuto aspettare la riunificazione del 1990 per essere tutta restaurata; conscia del suo valore, a partire dal 1955 già la DDR vi ha investito molti fondi. Visitiamo la casa di Schiller e quella di Goethe, con il giardino progettato dallo scrittore anche botanico e dove ogni stanza ha un colore diverso, nel rispetto delle sue teorie cromatiche sulla relazione tra stato d'animo e colore. Vediamo la casa di Cranach e una sua famosa Pala d'Altare nella Chiesa San Pietro e Paolo (di cui mi sono piaciute molto le panche), la sera concerto barocco al Castello e poi soprattutto Art Nouveau e Bauhaus


Henry van de Velde, architetto e designer belga, significativo esponente dell'Art Nouveau (Jugendstil in Germania) progetta Haus unter der Hohen Pappeln, la sua residenza con anche i mobili, il Nietzsche Archiv, dove il filosofo ha vissuto gli ultimi tre anni e l'edificio che oggi ospita l'Università del Bauhaus. Dovrà lasciare la città in seguito al vento xenofobo dopo la prima guerra mondiale.
 Il Bauhaus Museum piccolo, ma ricco, ricostruisce la storia del movimento di architetti, artisti, artigiani che ha esercitato una profonda influenza sull'architettura moderna e non solo in Europa. Il Bauhaus e la sua scuola sono stati fondati nel 1919 a Weimar da Walter Gropius che riesce a reclutare come insegnanti artisti del calibro di Kandinskij, Klee, Feininger, Schlemmer, Moholy-Nagy. Nel '24 una maggioranza di partiti conservatori vince le elezioni in Turingia, l'anno seguente si tagliano i fondi alla scuola che migra a Dessau e poi a Berlino, dove sarà chiusa dai nazisti, a Weimar sarà riuscita solamente a costruire una casa campione Haus am Horn, che ora ospita manifestazioni culturali.
Per finire un salto al cimitero della città. La comunanza di vedute fra il Bauhaus e la giovane democrazia di Weimar fanno concepire a Gropius un monumento "alle vittime di marzo" (giovani morti per contrastare un putsch di destra nel 1920). Restaurato nella sua concezione originaria, era stato parzialmente distrutto negli anni '30, al nazismo non poteva certo piacere la forma di un lampo, simbolo di lotta e tentativo di libertà, opera di "arte degenerata".

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