martedì 13 settembre 2011

Q.I. e Q.E.

Sulla scia delle riflessioni sulle emozioni suscitate dai luoghi, mi sono ricordata di aver scoperto in anni recenti che oltre al Q.I c'è per fortuna anche il Q.E. Non amo le tabelle i grafici gli schemi le statistiche, anche se so che servono, imprescindibili per gli studi di settore e per avere una panoramica più ampia, di quozienti poi non ne parliamo, già il suono stesso della parola la fa sentire pretenziosa e ostile. Per fortuna il quoziente di intelligenza non me l'hanno mai misurato, me la cavo a stento con le tabelline e ricordo ancora con terrore i problemi di quarta elementare  sui tempi di riempimento della vasca da bagno, allora in funzione un solo rubinetto, adesso che c'è pure l'idromassaggio Jacuzzi con tutti  quegli spruzzi, li immagino ancora più difficili. Non so se i supermercati fanno i test di Q.I. prima di assumere il loro personale, ma è certo che il Ministero della Pubblica Istruzione ha una fiducia cieca e illimitata nella dotazione intellettiva del suo esercito di formatori, vecchi e nuovi prof. ne siamo tutti esentati, evviva! Per quanto concerne il Q.E. sono andata a cercare e al sito
http://www.psicolab.net/2008/quoziente-emotivo-qe-e-qi/  ho trovato quanto segue:

Emozione e intelligenza
Lo psicologo americano Daniel Goleman (1996) ha descritto l´intelligenza emotiva, cioè la carta vincente per il benessere e il successo nella vita privata e nel lavoro. Si sono rapidamente moltiplicate vere e proprie mappe mentali e questionari per capire quanto si è dotati di “competenza emotiva” e di sensibilità, sia nella vita privata sia nel mondo del lavoro. Managers, imprenditori, formatori di personale hanno rapidamente fatto proprio questo nuovo parametro di valutazione. Diversi reclutatori oggigiorno, tengono conto tanto del Q.E. quanto del Q.I., consapevoli che l´emotività si rivela essere un asso nella manica nella vita professionale. Coloro che hanno una naturale predisposizione all´intuizione ora possono avere la meglio sui tipi essenzialmente razionali. Per avere successo, non serve solamente avere ottenuto un sacco di titoli di studio, ma bisogna anche essere in grado di saper usare le proprie emozioni per capire meglio gli altri, per avere una più costante forza di volontà e per meglio conoscere se stessi. Le donne sono più intuitive degli uomini. Sono più inclini a captare gli umori passeggeri, in particolare osservando le espressioni del viso. D´altra parte le donne hanno più capacità empatiche degli uomini e sono in grado si percepire meglio i sentimenti altrui. Gli uomini provano le stesse emozioni ma, per una questione di educazione, hanno più difficoltà ad esternarle, soprattutto sul lavoro. Il riconoscimento ufficiale del quoziente emotivo ha avuto come conseguenza la rivalorizzazione dell´intelligenza del Cuore. “Usare” il Cuore per capire gli altri permette di sdrammatizzare certe situazioni e, soprattutto, permette di accettare il prossimo, difetti compresi. Come conciliare cognizione e sentimenti? Come conquistare, insomma, la competenza emotiva? Claude Steiner, (1999) psicologo clinico, nel volume L´alfabeto delle emozioni, afferma di aver coniato lui stesso il termine “competenza emotiva” vent´anni fa. Da allora lavora a un programma per insegnare alle persone “ad aprire il Cuore, a esplorare il panorama emotivo, a saper dare e ricevere carezze”. I passi fondamentali per conquistare questa abilità, in breve, sono cinque:
  1. saper riconoscere le proprie emozioni e i loro effetti;
  2. dominare i propri stati d´animo e saperli utilizzare al momento giusto;
  3. avere la spinta alla realizzazione di sè;
  4. osservare gli altri con comprensione ed empatia;
  5. apprendere la capacità di comunicare.
Se per un adulto imparare la “lezione del Cuore” è importante, per i bambini la competenza emotiva è fondamentale per sfruttare al meglio ogni talento di cui la genetica li ha dotati. Ma come si spiega questo improvviso entusiasmo verso i valori del Cuore, verso una ricomposizione tra ragione e sentimento? Certamente tanto interesse ai temi dell´interiorità non è estraneo ai valori della New Age, da cui lo stesso Goleman sembra affascinato. In parte, si tratta anche di una reazione alla rivoluzione cognitivista degli anni Cinquanta, che ha congelato le emozioni riducendo tutto alla razionalità. Però, a ben vedere, questa tensione verso la consapevolezza di sé che ora si chiama intelligenza emotiva appartiene a tradizioni occidentali antichissime. I classici latini la chiamavano compostezza, equilibrio, magnanimità e definivano le emozioni “motus animae”, i moti dell´anima. Lo stesso Albert Einstein non trascurava il valore delle emozioni: “Noi viviamo in una sorta di prigione che ci separa dagli altri” scriveva. “Il nostro compito deve essere quello di allargare il raggio nella nostra empatia, fino ad abbracciare tutte le creature viventi”.

Niente stress, niente numeri, equazioni, figure geometriche, calcoli astrusi, trabocchetti mentali e lancette dell'orologio che girano inclementi cronometrando lentezze ed incertezze. Per valutare il Q.E. pare chiedano per esempio come reagisci alla tristezza, come ti comporti al matrimonio della tua migliore amica, cosa fai se arrivano degli ospiti a sorpresa, come ti relazioni agli altri; francamente mi sembrano domande rilassanti, molto più gestibili, quasi quasi me la sentirei di sottopormi ai test, potrei persino fare bella figura.

2 commenti:

  1. Non ti sminuire, Sara: faresti un'OTTIMA figura, com ben sappiamo noi tutti che ti vogliamo bene.
    franca

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  2. Oui, je suis d'accord, Sara, on ne donne pas assez d'importance à cette intelligence-là dans notre société.

    En tout cas, si tu as aimé Claude Steiner, tu adoreras Eric Berne, qui a fondé l'Analyse Transactionnelle. Son livre s'appelle : Que dites-vous après avoir dit bonjour ?(1970) et j'ai trouvé ça très intéressant ! Baci

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