mercoledì 25 novembre 2009

Petra



Penso a quel proverbio " meglio un giorno da leone che 100 da pecora" e rispetto la vecchia saggezza popolare; il nostro solo ed unico giorno in Giordania per visitare Petra è stato proprio da re della foresta, faticoso, ma "vaut le voyage" come recitano le guide. Straordinario fin dall'inizio, alle 7 del mattino: arriva a prenderci in albergo un certo Jonathan che ci porta alla frontiera israeliana con la Giordania che ad Eilat si chiama Rabin (quella di Gerusalemme: Allenby). Qui, ci affida ad un certo Zacharia che ci aiuta a sbrigare le formalità israeliane. Attraversiamo a piedi da sole quei cento metri di noman's land e voilà, eccoci dall'altra parte, re Hussein col figlio Abdullah ci sorridono in fotografia e spunta Joussuf per i timbri giordani; poi ci consegna ad Amer (identico a Ciccio Ingrassia) che sarà nostro chauffeur personale fino a Petra, dove avremo Bechir come guida, fra le vecchie rovine.
Francamente non ce lo aspettavamo: prima di tutto di avere Jonathan, Zacharia, Joussuf, Amer, Bechir, ben 5 uomini a nostra disposizione, più seguite di un prezioso pacco DHL e poi avevamo pagato per un viaggio collettivo e non individuale (pare che la comitiva in partenza da Eilat fosse di 47 russi e gli organizzatori hanno pensato bene di non mescolare due italiane raffinate (sic) con i rustri del Volga. Questa spazzolata al nostro ego è certamente merito del solito culo di Gastone.

Due ore in macchina, prima attraverso la Desert road e poi la Kings road, sissignore, la strada dei re, tutt'intorno qualche accampamento beduino, qualche villaggio e soprattutto deserto e montagne a perdita d'occhio. I colori sono il giallo dello zolfo, il blu ed il nero del manganese, il rosso del ferro, il bianco del silicio, le stesse stupefacenti formazioni già ammirate nel parco naturale di Timna, alle miniere di re Salomone vicino ad Eilat due anni fa, ma in proporzioni centuplicate. Dopo le città nabatee di Shivta, Mamshit, Nizzana, Haluza, Avdat visitate nel Neghev, finalmente Petra, la capitale. La strada sale e sale, si inerpica fra sassi, sabbia e tornanti, la bellezza non è mai facilmente accessibile. Questi Nabatei, nomadi originari della penisola araba, nelle loro preregrinazioni saranno pur stati pirati e briganti, ma diventano ricchi perchè abilissimi commercianti di incenso, mirra e delle spezie più preziose. Iniziano una loro sedentarietà rifugiandosi nel deserto che per loro funge da fortezza. L'assenza di acqua lo rende in effetti inaccessibile agli estranei e solo i Nabatei riescono a viverci grazie alle loro straordinarie capacità di controllo delle risorse acquifere. Scavano canali, costruiscono acquedotti e serbatoi, posano tubature di ceramica, riescono a convogliare verso la loro città l'acqua di tutte le sorgenti anche distanti parecchi kilometri ed a conservare ogni singola goccia di acqua piovana: un vero capolavoro di ingegneria idraulica.
Lo storico Strabone nella sua opera Geografia, scritta nel primo secolo d.C. relata in modo ammirato del sistema civico dei Nabatei:
" Poichè hanno pochi schiavi, vengono per lo più serviti dai loro congiunti o si servono a vicenda da sè stessi, cosicchè l'abitudine si estende anche ai loro sovrani. Il re è così democratico che, oltre a servirsi da solo, qualche volta e quando è il suo turno, serve anche gli altri. Sovente egli rende conto della condotta dei suoi familiari nelle assemblee popolari e ogni tanto il suo modo di vivere stesso viene esaminato".

Nel 106 dell'era volgare il legato romano in Siria, annette il regno nabateo per conto dell'imperatore Traiano e lo incorpora nella nuova Provincia Arabia. Dai pochi documenti a disposizione non si sa se la transizione da regno indipendente a provincia romana sia avvenuta pacificamente, ma certamente Petra rimane città di primaria importanza, il centro amministrativo, l'unica della provincia che Traiano chiama Metropolis. Paganesimo e cristianesimo coesistono a Petra durante tutto il periodo bizantino, ma con la caduta di Bisanzio nel 630 Petra diventa zona depressa e dimenticata dal mondo arabo e islamico. Se ne interessano secoli dopo i Crociati che costruiscono a Wadi Musa, la valle di Mosè, appena fuori Petra, una fortezza, per completare la linea di torri di segnalazione da cui far passare dispacci luminosi fino a Gerusalemme. Wadi Musa dovrà poi arrendersi a Saladino ed i Crociati abbandoneranno la regione. Per lunghi secoli i beduini di Petra devono aver continuato a far pascolare le bestie ed a coltivare la terra, abitando, durante i mesi freddi, nelle grotte e nelle tombe dei Nabatei, ma per l'occidente, Petra scompare dal ricordo e dalle mappe, conosciuta solo dagli studiosi, fino a che lo svizzero tedesco Johann Ludwig Burckhards non la riscopre nel 1812. Con la guida Bechir entriamo finalmente nel Siq, l'antica entrata principale di accesso alla città.

Uno stupefacente canyon lungo più di un chilometro con rocce di quasi cento metri di altezza. Bellezza non descrivibile, formazioni geologiche dalle forme più strane, scorci di luci ed ombre, riflessi di raggi di sole che illuminano i vari colori della pietra, canali d'acqua e nicchie votive scolpite nella roccia.



In qualche modo un cammino iniziatico verso l'improvviso splendore del cortile naturale col Tesoro, un monumento funerario per un re nabateo del primo secolo ante C.interamente scolpito nella pietra con una piccola camera totalmente vuota sul retro che probabilmente serviva per accogliere il feretro.





I beduini credevano che non solo questo monumento, ma tutta la città di Petra servisse da magazzino per le ricchezze del faraone depositate qui per magia; consideravano però che questo monumento, il più sontuoso, fosse quello che contenesse il nucleo più prezioso del tesoro.L'urna scolpita in alto era considerata il vero scrigno e ogni beduino col fucile sparava mirando all'urna ad ogni passaggio (tipo pentolone della cuccagna), sperando ardentemente che le ricchezze del faraone gli piovessero addosso. In realtà neanche l'ombra del tesoro e l'urna malamente butterata.




Vista questa credenza del tesoro, è facile capire perchè sospettassero di ogni viaggiatore straniero e quanto sia stato complicato per gli archeologici organizzare delle visite (venivano vestiti all'araba per non destar sospetti). Il Tesoro non sono monili d'oro e gemme preziose, ma lo straordinario lavoro dell'uomo e la bellezza della natura, secoli e secoli per comprenderlo.

Dopo il Siq ed il Tesoro, la strada si allarga, si accede ad un immenso anfiteatro naturale, molte altre tombe scolpite più o meno riccamente, il teatro romano, un lungo viale pieno di colonne circondato da templi ed edifici pubblici, una parte di pavimento di marmo ricostituito.




Malgrado la reputazione di Petra fosse quella di essere un vasto e sontuoso cimitero, era però, e prima di tutto un luogo per i vivi e il quartiere principale della città sorgeva nella vasta area del suo bacino. Accanto al teatro dovrebbe iniziare la Petra, città dei vivi, con negozi ed edifici abitativi. Purtroppo non è rimasto quasi nulla, tre imponentissimi terremoti nel 363, nel 551 e nel 749 ne hanno fatto scempio. Le costruzioni e persino altri imponenti templi sono stati inevitabilmente più soggetti agli sconvolgimenti sismici che i monumenti scolpiti nella roccia. A noi oggi sembra strano trovare delle tombe appena si entra in una città, ma non così nel passato, quando vita e morte coesistevano fianco a fianco.
Nell'ottocento studiosi della legge divina e semplici turisti arrivavano qui Bibbia alla mano come se fosse una guida da viaggio: la profezia della distruzione di Edom (il luogo di Petra), qui Mosè fuggendo con la sua gente lontano dall'Egitto e dalle ire del faraone avrebbe usato dei magici poteri conferitogli da Dio per percuotere con la sua verga la roccia e far scaturire l'acqua, fra le montagne che circondano il bacino di Petra il gebel Harun (forse il monte Hor dell'Antico Testamento) con i suoi 1.350 metri di altezza, dove si pensa che sia morto e sia seppellito Aronne, fratello di Mosè. Quest'ultimo è luogo di grande santità per gli abitanti della zona ed anche per gli israeliani che dal 1994, anno del trattato di pace con la Giordania, accorrono numerosi.
A Petra naturalmente la macchina turistica si è messa in moto, un gran fermento di gente, di cammelli, di cavalli, di asini, di calessini che trasportano chi non se la sente di fare chilometri a piedi, ma anche questo ha il suo fascino. Intanto ci ricorda quanto potesse essere animata l'antica Metropolis, poi giovani e meno giovani locali sono bellissimi con i vestiti tradizionali ed occhi neri contornati di kajal come carboni ardenti, gioia degli occhi osservare la loro maestria nel dirigere gli animali e farli a volte improvvisamente correre non si sa verso che cosa.




Il tramonto si avvicina rapido, lo spettacolo straordinario di qualche ora sta per finire, ripercorriamo a malincuore il Sik in senso inverso e ci chiediamo se tutto quello che abbiamo visto, emozionante, bello, troppo bello, era vero oppure un sogno.











Il dono della giornata a Petra è stata l'ultima perla del mio soggiorno in Israele. Un abbraccio tutto rosso agli amici che mi hanno letta viaggiando con me. Grazie!!!! sara

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