sabato 20 ottobre 2007

Israele: un paese giovane

Eccomi a rehovot Ilan, nella periferia di Tel Aviv, da Miriam, che non vedo da 38 anni. Già, solo 38 anni; Miriam era la mia compagna di banco in prima media e grande amica fino ai 19 anni, poi, i casi della vita, ci eravamo perse di vista, sapevo che si era sposata con un ebreo romano e che era andata a vivere in Israele, ma null'altro. Pochi mesi fa avviene il miracolo, l'indirizzo e-mail datomi da una fortuita conoscenza comune e via, il filo si è riannodato. Per mesi computer a gogo per raccontarci i decenni passati e ora eccomi qui, per una settimana ospite da lei. Ha tre figlie stupende, la madre ancora in gambissima che l'ha raggiunta qualche anno dopo e la sua famiglia mi sembra offrire uno spaccato molto rappresentativo di una delle mille famiglie possibili in Israele. Fa aliah (venire a vivere in Israele) una trentina d'anni fa con Emilio; studiano la lingua, cercano casa e lavoro, si rimboccano le maniche insomma, ricominciano tutto da zero, come al solito, la mia tribù ne ha un'abitudine millenaria. Emilio in particolare, questo è stato l'argomento principale delle nostre bellissime chiacchierate mattutine mentre Miriam era al lavoro (Emilio ti ringrazio), sente che fare l'ebreo in diaspora gli sta stretto perché contraddittorio: come la mettiamo con il solito tormentone dell'identità, è religione? è tradizione? Fedeltà ad una storia? Solo dovere di memoria o anche progettualità futura? Un casino, il solito casino che fa riempire pagine e pagine da sempre ad intellettuali di tutti i tipi quando si domandano che cos'è un ebreo. Allora Emilio convince Miriam che se verranno in Israele tutto sarà molto più semplice, non certo per l'organizzazione di vita o la tranquillità politica, ma per i mille dubbi interiori, per una ricerca di coerenza fra pensieri ed azione. Qualunque tipo di ebreo sarai, buono o cattivo, religioso o no, impegnato o no, sei nel tuo paese, sei a casa, sulla tua terra e fra la tua gente e contribuirai secondo le tue possibilità alla crescita comune. Non so se Emilio ha trovato risposta a tutte le sue domande, forse è preoccupato perché l'attuale realtà israeliana non ha esaudito tutti i sogni messi in valigia al momento della partenza dall'Italia, ma certamente non si interroga più sulla sua identità come la sottoscritta, lui ha trovato il suo posto . Daniela, la primogenita vive nel Moshav Shadmot-Dvora in Galilea con marito e due figli.

E' sposata con Shanì, di origine russa e con idee di sinistra. La seconda figlia Gaia fa l'informatica, vive a Tel Aviv con il marito Dudi, di origine irachena ed idee di destra; Tami, la più giovane è appena tornata da un grande viaggio in India come fanno tutti i giovani israeliani alla fine del servizio militare, lavoricchia ed ha iniziato gli studi universitari, il suo ragazzo non ricordo quale origine abbia, ma la sua famiglia è molto religiosa, giusto per aggiungere un'altra variante nel mish mash familiare come direbbe mia madre. Non racconto della gioia di ritrovare Miriam e delle nostre chiacchierate, è un fatto privato, ma ia sua è proprio una bella famiglia e si vogliono molto bene, vivono in modo semplice ed essenziale, alla israeliana e tengono sempre la porta aperta, della casa e del cuore.

Tel-Aviv mi piace molto, ci potrei abitare, è informale, curiosa, cosmopolita, vivace,

diverse manifestazioni culturali dovunque, anche a cielo aperto, le parti vecchie con stradine e viali alberati, le case tipiche su piloti col giardino o le macchine sotto, le parti nuove, con grattacieli mozzafiato, università modernissime, musei ed auditori firmati dagli architetti più prestigiosi. Ho subito le mie abitudini: al mattino in pigiama davanti al caffè chiaccherata metafisica con Emilio, poi in giro con lui , parchi vari, la stupenda ( dal punto di vista architettonico) università religiosa di Bar Ilan attaccata a casa loro,

(quella dove ha studiato il giovane Igal Amir, l'assassino di Rabin ora in prigione e diventato papà, povero bambino che nasce con un'eredità così pesante), l'auditorium di Liebeskind,

con le finestre a tagli e fessure come il museo dell'Olocausto a Berlino oppure da sola in autobus a Tel Aviv fino alle 4 del pomeriggio quando Miriam finito il lavoro mi raggiunge e mi fa scoprire angoli sconosciuti della città. Visitiamo nell'arco della settimana le belle vie del centro, la Gordon, la Rothschild con le stupende dimore Bauhaus, il quartiere Neve Tzedek, prima vecchio e dissestato ora restaurato nel rispetto della sua storia di centro originario della città e tornato di moda con negozietti, gallerie d'arte e ristoranti, il museo di arte moderna

in una zona tutta rifatta e con collezioni importanti, il grande mercato Karmel. Il primo fine settimana nel moshav di Daniela, accanto un villaggio circasso (popolazione caucasica, in Israele non manca proprio nessuno), il secondo sempre in Galilea a En Hod, villaggio tutto artistico, dove persino la pattumiera lo è

e dove anche un tristissimo rifugio antibombe si riempie di colore

Qui hanno vissuto e vivono tuttora artisti provenienti da tutto il mondo, fra cui il grande cubista Marcel Janko; dimore particolari,

atelier d'arte e sculture dovunque
e poi Zikron, altro villaggetto grazioso, ma molto turistico.

Passo anche un giorno con Tami e Mino

( cugini da parte di mia madre) che mi portano a pranzare sul porto di Herzlia; stessa impressione negativa che ad Eilat, supercostruito e superchic, ma un'americanata pazzesca, niente a che vedere con la bellezza e la semplicità del nuovo lungomare di Tel Aviv, una lunghissima lingua di legno che accompagna il mare.

Parole chiave del mio viaggio: deserto, filo spinato e tubi d'irrigazione, tensione ideale, Israele oggi e domani.
Il deserto è una grande emozione, al di là delle bellezze naturali ho visto le più svariate forme di aggregazione, chi ci và per trasformarlo in giardino, chi per trovare se stesso, chi per scappare dalla civiltà, chi per confrontarsi con l'assoluto. A tutti il deserto regala generosamente la possibilità di tentare il suo sogno.
Dovunque filo spinato e tubi d'irrigazione; il primo sottolinea dolorosamente la necessità di perimetrare e proteggere territori, case, installazioni, i secondi testimoniano la volontà di andare comunque e sempre avanti, accettando la sfida di una terra difficile.
Nella vecchia Europa, personalmente non ho visto un ideale collettivo in azione, ho solo assistito al tramonto di quelli del passato. Nelle nostre manifestazioni si gridano molti slogan, ma poi rientrati a casa sul tavolo in cucina aspettano gli spaghetti caldi della mamma. Nel mio breve viaggio ho visto concretamente tanti giovani con le maniche rimboccate; non so se nella giusta direzione e se ce la faranno, ma almeno li ho visti.
Israele è un paese giovane, dalle grandi potenzialità, questo si sente. Le contraddizioni e le difficoltà sono molte, questo si vede. Qual è l'obbiettivo? Se è diventare un paese "normale"come gli altri, copia del modello occidentale con l'individualismo sfrenato, l' economia come principale parametro di valutazione, la corruzione, l'alto tasso di litigiosità politica, l'omogeneizzazione sociale, l'incapacità di discutere insieme un possibile modello di sviluppo futuro, non c'è problema, Israele purtroppo ci sta riuscendo perfettamente; se invece l'obiettivo è quello di diventare altro, delle idee nuove per vivere in pace con i vicini e con la difficile terra che li ospita tutti, bisogna forse ritrovare con coraggio e fantasia quella carica ideale, quel bagaglio di sogni che ne hanno permesso la nascita 60 anni fa.

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